IFE Italia

Crocifisso, un paese a laicità limitata

di Chiara Saraceno
giovedì 24 marzo 2011 par ifeitalia

La Cassazione ha depositato la sentenza con cui conferma la rimozione del giudice di pace di Camerino che rifiutava di tenere udienza in tribunali dove c´è il crocifisso.

Il giudice Luigi Tosti considerava la presenza di questo, unico, simbolo religioso una lesione della libertà di coscienza dei cittadini, particolarmente grave perché attuata in un luogo - il Tribunale - dove l´uguaglianza, la non discriminazione, la neutralità di fronte agli orientamenti di valore dovrebbero essere proclamati in modo esplicito.

Non entro in merito alla correttezza della decisione relativa al giudice "obiettore", ovvero al giudizio di non legittimità circa il suo rifiuto ad esercitare i suoi obblighi professionali in circostanze da lui considerate inaccettabili non solo per sé, ma per i cittadini. Mi auguro solo che tale rigore venga esercitato anche nei confronti di quei medici o farmacisti che, in nome delle loro opzioni di valore, si rifiutano di prescrivere o vendere la pillola del giorno dopo.

È la motivazione della sentenza che trovo inaccettabile per ciò che dice non sul giudice, ma sul rispetto della libertà di coscienza dei cittadini e sulla laicità delle istituzioni pubbliche. I giudici della Suprema Corte, infatti, da un lato propongono una duplice definizione di laicità: una per addizione (pluralismo di riferimenti religiosi) e una per sottrazione (assenza di riferimenti). Laddove è solo la seconda che configura un atteggiamento laico, specie nello spazio pubblico: che deve essere per definizione neutrale in un contesto non solo di pluralismo religioso, ma anche di persone che non hanno alcun riferimento religioso.

Dall´altro lato, i giudici affermano che «la presenza di un Crocifisso può non costituire necessariamente minaccia ai propri diritti di libertà religiosa per tutti quelli che frequentano un´aula di giustizia per i più svariati motivi e non solo necessariamente per essere tali utenti dei cristiani». La contorta formulazione «può non costituire necessariamente minaccia» lascia di fatto aperta la possibilità che, invece, per alcuni o per molti, la costituisca, il che dovrebbe preoccupare chi ha la responsabilità di garantire l´imparzialità.

Soprattutto, la Corte non offre elementi a dimostrazione che l´esposizione del crocifisso in un´aula di tribunale non lede «necessariamente» la libertà di coscienza dei non cristiani. Afferma semplicemente che è così, con buona pace di chi viceversa si sente leso nella propria libertà. Lo Stato, la Suprema corte, non se ne preoccupano. Tanto meno stanno dalla sua parte. Si limitano a dirgli che si sbaglia.

Con la sua affermazione, più che rovesciare l´onere della prova su chi percepisce la presenza di un simbolo religioso come una lesione alla neutralità dello spazio pubblico, la Corte ha sottratto lo stesso terreno del contendere. Una ennesima conferma che siamo un Paese a laicità limitata.

La Repubblica 15 marzo 2011


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