IFE Italia

Il sessismo nel villaggio globale

di Nicoletta Gini
sabato 17 settembre 2016

Pubblichiamo con il consenso dell’autrice.

Immagine: it.dreamstime.com

Tiziana è morta, mentre la 17enne di Rimini scopre, dopo una sbornia, di essere stata violentata, mentre le amiche, invece di soccorrerla, riprendevano tutto con il cellulare e lo “condividevano” su Whatsapp. È sconcertante che in una frase che riassume la tristezza e il dolore di questi ultimi due giorni, siano compresi significati belli come “condividere” e “amicizia”. La vicenda di Tiziana, come quella della bambina violentata a Melito Porto Salvo, che pochi giorni fa si è finalmente liberata da un incubo durato tre anni, per poi trovarsi da sola di fronte al giudizio di paese, ci danno invece l’immagine di un mondo cinico e violento, in cui le parole che designano le relazioni – condividere, amici, gruppo – appaiono svuotate, o meglio risemantizzate. Si tratta di relazioni che mantengono l’etichetta, ma, inerti, non sono più pulsanti di fiducia.

Queste storie articolano una serie di problemi, che vanno dal sessismo – forse più semplice da sottolineare e da riconoscere – alla necessità di ridefinire i rapporti che si giocano in particolare sulla rete dove impera, in molti casi, la lotta del più forte, del più popolare (preso erroneamente per autorevole come ha suggerito Loredana Lipperini), dove le parole smettono di avere peso, e il narcisismo e la personalizzazione portata all’ossessione si contrappongono con l’impersonale responsabilità che sempre contraddistingue le dinamiche di gruppo.

Il primo problema, quello del sessismo, è evidente. Molti hanno scritto – come sul blog di Eretica (Abbatto i muri) – che se il protagonista della vicenda fosse stato di sesso maschile, probabilmente non sarebbe stato sottoposto alla pubblica gogna, il video non sarebbe stato condiviso o che probabilmente sarebbe stato ammirato. Ovviamente, tutto questo, se avesse corrisposto all’ideale di virilità – perché si sa che il rapporto sessuale è il banco di prova del maschio. Altrimenti, lo scenario sarebbe stato, presumibilmente, ben diverso. Un po’ come succede alle giovani vittime maschili delle violenze di donne più grandi: guai a sentirti vittima, approfitta della fortuna che hai, in una continua gara di virilità.

È però anche chiaro che la sessualità femminile è sempre connotata, e lo è stato anche in questo caso: tutti e tutte facciamo sesso orale, tutte e tutti abbiamo i nostri gusti e le nostre fantasie. Ancora, però, pare che la donna che si concede vivendo al massimo la libertà del proprio corpo e delle proprie scelte, in qualche modo “se lo cerchi”. Sapevi cosa poteva succedere, dovevi fare attenzione: in altre parole, sapevi che la tua fiducia poteva essere tradita, dovevi evitare di fidarti. L’ingenuità diviene più colpevole del colpevole stesso, in un giudizio supponente che considera gli effetti come naturali conseguenze, laddove naturali non sono.

Eppure qui non si tratta solo di cinismo dilagante che scorre veloce sulle onde invisibili della rete, canale di amplificazione di un pensiero tradizionale che rimbomba nelle piccole comunità paesane così come in ognuno di noi. Si tratta di una scomparsa totale della responsabilità, in nome dell’affermazione del sé che si rende più forte, più individuale, più interconnesso e popolare, ma meno riconosciuto come essere umano. Il cyber bullismo ne è una parte, ma non è tutto: si assiste a una concentrazione di attenzione attorno a un evento, a una parola detta, a un momento intimo reso pubblico, che non è fatta solo di commenti su Facebook: il privato è social, ma non politico.

La rete è potente nella misura in cui impone i temi anche agli altri mezzi di communicazione – come ha ben specificato Lipperini. Il villaggio globale si accentra su un elemento per poco, mezza giornata, tre giorni, poi se ne dimentica. Lascia però degli effetti. Se è vero, come ha scritto Zygmunt Bauman che il tempo dei social e della rete è l’eterno presente, dietro agli schermi le persone hanno una storia. Il commento, l’articolo, il video durano un minuto ma, allo stesso tempo, rimangono lì per sempre, per diventare il minuto di qualcun altro, e ancora e ancora, mentre per qualcuno, come per Tiziana, rimane biografia e lo caratterizza attraverso la condivisione di ciò che è stato detto di lui.

La complessità della relazione virtuale ha suscitato l’interessa di Nicola Lagioia che in un importante articolo su Internazionale ha provato a descrivere il meccanismo per il quale tutti rischiamo di essere “cyber bulli”. Proprio perché il web è eterno presente, mentre noi siamo esseri biografici e fragili, rischiamo – anche involontariamente – di cercare l’appoggio del branco, laddove in una relazione reale, di fronte alla presenza fisica dell’altro, probabilmente non lo faremmo, se non per empatia, almeno per mancanza di coraggio. La differenza è che gli effetti delle nostre azioni sulla vita dell’altro sono in questo caso ben evidenti, mentre il web li cela ai nostri occhi, arrivando a un punto forse, come per le bambine che hanno condiviso il video della ragazzina violentata su whatsapp, che nemmeno riusciamo a immaginarli.

Ora, tutto questo ci interroga come femministe: sia perché i giudizi sessisti assumono una portata smisurata, rispetto al pettegolezzo di paese, e fanno della reputazione di una persona la sua fama virtuale (che poi diviene reale negli effetti), sia perché abbiamo l’obbligo – per pensare una rivoluzione culturale femminista – di ragionare attorno alla qualità delle relazioni, in questo contesto sempre più social e personale ma mai così tanto individuale e impolitico.


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