IFE Italia

La via del ritorno allo Stato nazionale

di Matteo Zola *
venerdì 16 dicembre 2016

Un attenta analisi sulla situazioni di alcuni paesi dell’est europeo per capire meglio e di più ciò che si muove in Europa. E per avere più chiaro la posta in gioco che riguarda direttamente anche le donne.

Tratto da : http://comune-info.net/2016/12/la-v...

Una rivoluzione contro l’Europa”, è quanto invoca Jaroslaw Kaczynski, leader del partito Diritto e Giustizia (PiS), al governo in Polonia dall’ottobre 2015. Lo dice senza mezzi termini al ritorno da un viaggio in Ungheria, dove il suo sodale, Viktor Orbán, sta mettendo a punto quella che lui stesso ha chiamato “democrazia illiberale”: un modello esportabile, a quanto pare, e utile al progetto di “controrivoluzione” che i due leader stanno mettendo a punto al fine di “tornare allo stato nazionale, sola istituzione capace di garantire democrazia e libertà”. Tuttavia, il concetto di democrazia di Kaczynski è assai peculiare: lo è nei contenuti, con proposte di legge quali l’abolizione del diritto all’aborto che, limitando le libertà individuali, riducono la dimensione liberale della democrazia polacca; ma lo è anche nella forma, con la delegittimazione del ruolo della Corte Costituzionale, fattore che porta la Polonia verso una primazia dell’esecutivo sugli altri poteri dello stato, avvicinando la democrazia polacca a una “democratura”.

Aria di (contro) rivoluzione

La vicenda polacca non può essere presa singolarmente, ma va inserita in un contesto politico mitteleuropeo dominato da quello che alcuni hanno voluto chiamare “orbanismo”, un modello che unisce conservatorismo radicale, nazionalismo, oltranzismo religioso, dando luogo a un’ideologia che trova nell’anti-europeismo ideale compimento. Un’ideologia in nome della quale si può, e si deve, sacrificare laicità, pluralismo, eguaglianza di diritti, attraverso un progressivo smantellamento di quell’insieme di meccanismi politico-istituzionali finalizzati a mantenere l’equilibrio tra i vari poteri all’interno dello Stato (check and balance) anche attuando, come nel caso ungherese, radicali riforme costituzionali. Questa è, nella sostanza, la “controrivoluzione” invocata da Orban e Kaczynski, ma c’è dell’altro.

In Europa Occidentale il termine “controrivoluzione” fa subito pensare alla Vandea, alle guerre contro i giacobini, o al tradizionalismo cattolico alla Plinio Corrêa de Oliveira. Nel nostro immaginario il concetto si lega al conservatorismo, a coloro che si opponevano a “liberté, egalité, fraternité”, persino alla Restaurazione. Ma in Europa centro-orientale il termine assume un significato più sottile, poiché “controrivoluzione” venne chiamata quella ungherese del 1956, o quella di Velluto del 1989, e in generale tutti i movimenti di opposizione al socialismo reale promossi da forze liberali e democratiche, ansiose di restituire alla nazione l’indipendenza perduta durante la cattività sovietica. “Controrivoluzione” è stata l’attività di Solidarność o del Magyar Demokrata Fórum, impegnati nella lotta contro i regimi socialisti in Polonia e Ungheria, come anche quella del Fiatal Demokraták Szövetsége (Fidesz) l’alleanza dei giovani democratici fondata dal venticinquenne Viktor Orbán nel 1988. Si trattava di movimenti che proponevano un’alternativa democratica per il proprio paese, la cui ispirazione – confessionale e patriottica – si è sviluppata nel nazionalismo e nel conservatorismo radicale di oggi. Il termine “controrivoluzione” ha dunque un’accezione positiva, che propone il cambiamento. Ma quale cambiamento ha in mente Jaroslaw Kaczynski, eminenza grigia della politica polacca, e quali saranno i risultati di questa nuova “controrivoluzione”?

Il “golpe” costituzionale

Fin dal suo insediamento, il governo del PiS si è contraddistinto per le sue politiche reazionarie. Grazie al supporto di Andrzej Duda, eletto presidente della repubblica nel 2014, fedelissimo di Kaczynski, il governo ha lanciato un’offensiva nei confronti della Corte Costituzionale, un “golpe” nelle parole di Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo. Il caso si sviluppa a partire dal giugno 2015, con la nomina di cinque giudici della Corte operata dall’allora governo di Piattaforma Civica e che il presidente Duda ha tergiversato nel ratificare finché, nell’ottobre dello stesso anno, il suo partito (il PiS) ha vinto le elezioni nominando così altri cinque giudici in luogo dei precedenti. Un caso su cui la stessa Corte, per mandato, ha dovuto esprimersi invalidando la nomina effettuata dal PiS. Il governo, guidato da Beata Szydło, altra figura legata a Kaczynski, si è però rifiutato di accogliere la decisione della Corte.

La “controrivoluzione” in atto non sarà indolore, e il rischio di una deriva autoritaria è concreto.

Il paese si è quindi trovato ad avere una doppia Corte Costituzionale, la prima nominata dal governo, la seconda emendata dalla stessa Corte. Un pasticcio su cui si è espressa anche la Commissione di Venezia, sanzionando la Polonia per avere prevaricato il principio di separazione dei poteri. L’Unione Europea, accusata da Varsavia di “interferenza”, ha avviato procedure per indagare la sussistenza di minacce alla stato di diritto sulla base della Rule of Law Framework che, introdotta nel 2015, è stata usata per la prima volta proprio con la Polonia. Scopo delle autorità europee è indagare la salute della democrazia polacca, intervenendo eventualmente con gli strumenti a disposizione tra cui il più grave è la sospensione del paese, in virtù dell’art.7 del Trattato dell’Unione Europea.

L’attacco alle libertà individuali: aborto e libertà di stampa

Il governo è stato inoltre protagonista di alcune iniziative controverse. Su tutte, la proposta di legge per abolire il diritto d’aborto che, in Polonia, è regolato da una legge già molto restrittiva che lo consente solo nei casi in cui la vita della madre sia a rischio, o qualora la gravidanza sia frutto di stupro o incesto, oppure il feto sia gravemente malformato. La campagna per l’abolizione dell’aborto si è sviluppata su impulso della Conferenza episcopale polacca ed è stata fatta propria dal governo che ha licenziato un disegno di legge secondo il quale l’aborto sarà consentito unicamente in caso di grave pericolo per la vita della donna, e indica in cinque anni di reclusione la pena per chi ricorrerà o praticherà l’aborto al di fuori dei limiti imposti. Malgrado le ricorrenti proteste di piazza, la maggioranza dell’opinione pubblica sembra d’accordo con il governo il quale, invece di tutelare le minoranze e garantire la più ampia libertà di scelta individuale, interpreta un ruolo paternalistico e patriarcale, cadendo vittima del bigottismo diffuso.La campagna abolizionista ha goduto del supporto dei media pubblici nazionali i cui vertici sono stati nominati dal governo. In particolare è il ministro del Tesoro che, secondo le nuove disposizioni approvate dal PiS, può procedere alla nomina e alla sostituzione dei vertici dirigenziali delle quattro emittenti televisive e dei duecento canali radiofonici pubblici che si dimostrino inaffidabili e critici nei confronti del governo.

La paranoia di Kaczynski

Jaroslaw Kaczynski, benché sia presidente del partito Diritto e Giustizia (PiS), non ricopre alcun incarico governativo. Tuttavia egli è il deus ex machina della politica polacca. La sua influenza ha convinto l’esecutivo a riaprire il caso dell’incidente aereo di Smolensk, in Russia, che costò la vita al fratello gemello, Lech Kaczynski, all’epoca presidente della repubblica. Le dinamiche di quell’incidente, che uccise l’intero stato maggiore polacco, decapitando lo Stato, è da sempre oggetto di speculazioni. I giornali conservatori non hanno mai smesso di parlare di complotto. Lo stesso Jaroslaw Kaczynski non ha mai riconosciuto i risultati delle commissioni di inchiesta, accusando i russi di avere deliberatamente abbattuto il velivolo. Oggi che il suo partito è di nuovo al potere, Kaczynski ha ottenuto che venisse istituita una nuova commissione di inchiesta, da lui indicata. Le prime risultanze delle indagini parlano di “manomissioni delle prove”. A operarle sarebbe stata la commissione precedente, nominata dall’allora primo ministro Donald Tusk, oggi presidente del consiglio europeo. Risultato, il governo ha accusato Tusk di “tradimento”. Un’accusa enorme, temeraria persino, che testimonia il grado di tensione politica e sociale del paese. La “controrivoluzione” in atto non sarà indolore, e il rischio di una deriva autoritaria è concreto. L’Unione Europea, indicata come nemico da Varsavia, dovrà necessariamente spendersi per garantire almeno il mantenimento dello stato di diritto nel paese. Timidezze in questa direzione potrebbero rivelarsi fatali.

*Matteo Zola, classe 1981, collabora, occupandosi di politica estera, con vari giornali italiani e con Osservatorio Balcani e Caucaso.

L’articolo è stato pubblicato originariamente con il titolo “Restaurazione alla polacca” su Il tascabile.


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