IFE Italia

Aleppo, città della musica e della guerra

di Nihad Siris
martedì 27 dicembre 2016

Ogni volta che ascolto le notizie sugli scontri ad Aleppo, vado nel panico e corro al telefono per cercare di rintracciare i miei cari. Già da un po’ non ci vivo più e la situazione diventa sempre più inquietante.

Chiamo sempre più spesso, ma il telefono non funziona mai quando serve. Provo a chiamare mio figlio al cellulare per sapere come stanno lui e la moglie. Si sono sposati otto mesi fa e lui allora mi spiega che hanno dovuto aumentare il volume della musica per coprire il frastuono dei bombardamenti e degli spari. Per il matrimonio aveva reperito candele e batterie a sufficienza per l’impianto acustico. Mi preoccupo anche di mia madre che ha ottantasei anni e in passato cantava per noi con la sua commuovente voce. Mia madre era una donna attraente e quando un gentiluomo (che sarebbe poi diventato mio padre) si presentò da mio nonno per chiederne la mano, quest’ultimo gli chiese per prima cosa se amasse la musica e il canto. Temendo di commettere un errore e perdere così la futura sposa, mio padre non sapeva cosa rispondere. Allora mio nonno spiegò che la figlia possedeva una voce molto toccante e che, dal momento che lui amava ascoltarla, non voleva affatto che lei sposasse un uomo che le tarpasse le ali impedendole di cantare. Mia madre in passato cantava anche prima di addormentarsi, mentre ora dorme col rumore dei cannoni e degli spari da arma da fuoco. Cerca sempre di rassicurarmi che sta bene e si trova al sicuro.

Aleppo è famosa per il suo amore per la musica. Nel passato faceva concorrenza ai centri musicali più rinomati quali Tunisi e Il Cairo, quando si trattava di preservare la tradizione musicale orientale e di scoprire tonalità inedite. Si diceva che in ogni casa ci fosse uno strumento musicale. Oggi capita spesso che l’aria sia attraversata da frammenti di un liuto arabo colpito da una granata. Mio nonno era un uomo di chiesa che amava la musica, cosa tutt’altro che rara. Molti cantanti e compositori che oggi sono famosi, un tempo erano uomini di chiesa -lo scheicco Omar Al-Batsch, Bakri Kurdi e Sabri Mudallal- e ancora oggi si intonano le loro canzoni. Anche Dschalal Al-Dini Rumi ha un ruolo di rilievo nei cuori degli abitanti di Aleppo e dei suoi sceicchi, dato che il suo flauto orientale ha avuto un ruolo fondamentale per il suo ordine mistico. In passato gli sceicchi si preoccupavano di andare in pellegrinaggio nella città turca di Konya per pregare sulla sua tomba.

Questo stretto legame con la musica ad Aleppo non era una prerogativa degli uomini. Mio nonno non era l’unico ad aver spronato le sue sette figlie ad imparare a suonare uno strumento musicale o a cantare e non di rado le donne venivano incoraggiate a dedicarsi alla musica. Pertanto ad Aleppo c’erano molte cantanti famose e in numerose dimore si organizzavano concerti in cui le donne erano le protagoniste. Si ritrovavano le personalità femminili di spicco della città e si esibivano famose cantanti e musiciste. Per questo motivo la mia preoccupazione per la città e le mie paure nell’ascoltare le notizie sulla sua distruzione si legano profondamente alla preoccupazione per la sua eredità culturale legata alla musica e a chi di essa vive.

Nel 1997 per il mio romanzo A case of Passion* avevo fatto delle interviste ad Aleppo. Il romanzo parla delle Banat Al-Ischra, donne che coltivavano stretti rapporti con altre donne, che cantavano, ballavano e chiacchieravano insieme per intere serate. Ogni donna si sedeva accanto alla propria amica. L’atmosfera era intrisa di amore, gelosia, civetteria e biasimo e ogni cantante si rivolgeva alla propria compagna quando era il suo turno. Le canzoni venivano chiamate Al-Ataba, una parola che unisce lamento e lagnanza.

Questo fenomeno era molto diffuso ad Aleppo nella prima metà del XX secolo. Degno di nota è anche il fatto che gli uomini non mostrassero alcun fastidio per la partecipazione delle donne a queste cerimonie Banat Al-Ischra. Sono venuto a conoscenza di due donne che vi partecipavano e vivevano insieme. Determinato a conoscerle, fissai un appuntamento telefonico. La loro casa costruita nel tipico stile arabo si trovava vicino la cittadella in un vecchio quartiere di Aleppo. Un’anziana domestica mi aprì la porta e mi fece accomodare nel giardino della casa in mezzo al quale si trovavano una piscina, dei gelsomini e alcuni vasi di fiori. Sorseggiavo il caffè che mi aveva portato la domestica e osservavo la casa. Era un luogo calmo e piacevole che lasciava intuire il suo passato. Molte di queste case nel tradizionale stile arabo erano state acquistate negli ultimi anni e ristrutturate con l’aiuto di architetti specializzati in modo che l’acquirente potesse vivere al loro interno come in una favole de Le mille e una Notte. Mezzora più tardi spuntarono le due donne che si erano recate al vicino Hamam: la splendida Ahlam dagli occhi scuri e la sua compagna che si faceva chiamare Hamid – nome tipicamente maschile – e mi ricordava i forti eroi dei film egiziani degli anni Sessanta.

Hamid coi suoi capelli corti, il suo abbigliamento e il suo modo di camminare, sedere e fumare sigarette rendeva onore al suo nome. Ed essendo effettivamente il marito di Ahlam, le aveva anche comprato un salone da parrucchiera. Doveva garantirle una fonte di reddito, qualora Hamid – che Dio non voglia – fosse morta prematuramente. Hamid era una cantante di grande talento che si esibiva specialmente durante i matrimoni ed era rinomata in tutta la città. Quando compariva, le donne si affrettavano per ascoltarla. E dal momento che si chiamava come un uomo, le donne salivano sul palco per danzarle vicino e poterla toccare mentre lei cantava per i novelli sposi. Mi piacevano queste due donne e le andavo a trovare ogni volta che mi era possibile. Ascoltavo le storie che Hamid, la più grande ed esperta fra le due – raccontava di Banat al-Isahra. Quando uscì il mio romanzo, andai nuovamente a trovarla e le regalai una copia con dedica perché la protagonista della storia le somigliava molto. Dieci anni dopo venni a sapere che l’incallita fumatrice Hamid era morta in seguito ad una breve lotta contro il cancro ai polmoni. In occasione della mia visita di condoglianze, il cortile della casa era pieno di uomini smarriti ed affranti e dalla camera di Hamid giungevano i lamenti delle sue ammiratrici.

In seguito, dopo aver abbandonato Aleppo, tentai spesso di raggiungere telefonicamente Ahlam. A volte la linea non dava segni di vita, altre semplicemente non rispondeva nessuno. Alla fine immaginai che il numero non esistesse più o che Ahlam fosse andata via. Stavo per perdere ogni speranza quando riuscii a sentire la meravigliosa voce di Ahlam dall’altro capo del telefono. Quando le spiegai chi ero, rimase un attimo in silenzio. Nel frattempo sentii il rumore degli spari e una esplosione non troppo lontana. Ahlam balbettava e tremava di paura mentre parlava. Chiacchierammo per un’ora, o meglio, la lasciai parlare per farle dimenticare la paura. Quando riattaccai, ero così agitato che era impossibile pensare al mio lavoro. Ahlam mi aveva confidato di sentirsi sola e abbandonata. Viveva sola…

Non aveva più un luogo dove andare dato che il salone che le aveva comprato Hamid per offrirle una sicurezza economica era stato distrutto durante gli scontri. L’intera casa era stata colpita da varie granate e il salone totalmente incendiato. Vicino il luogo in cui viveva era caduta una granata e una parte del muro che collegava le due case era crollata. Mi spiegò che le pietre cadevano nel suo cortile come se piovesse e che lei non era rimasta ferita solo perché si era fermata in mezzo alla casa. All’entrata del quartiere il governo aveva piazzato un tiratore scelto che sparava dall’alto agli uomini e talvolta anche alle donne. Quel cecchino le metteva talmente tanta ansia che piuttosto preferiva rimanere a casa e morire di fame piuttosto che uscire e andare a comprare qualcosa da mangiare.

Tuttavia un giorno udì qualcuno bussare alla porta e col cuore in gola si risolse ad aprire. Un bambino di otto anni che abitava nel vicinato e che credeva di aver visto prima le si parò davanti. Era stato mandato dal padre per chiederle se avesse bisogno di qualcosa: voleva aiutarla. E da quel giorno il bambino le comprò pane, verdura e altre cose in negozi lontani dalla loro zona. Un giorno Ahlam sentì il rombo di un aereo seguito da una esplosione. Una strana paura si impossessò di lei trasmettendole la sensazione che fosse successo qualcosa di terribile, mi raccontò scoppiando in lacrime. Da quel giorno il bambino non si presentò più e a lei non rimase altra scelta che uscire di casa, se non voleva morire di fame. Uscì sfidando il cecchino e mentre comprava da mangiare venne a sapere l’orribile verità: l’aereo che aveva sentito aveva bombardato le persone in fila davanti una panetteria. Molte persone erano rimaste uccise, bambini soprattutto. Uno era proprio quello che la aiutava. Il tempo della gioia è finito per sempre, mi disse. Non ascolta più musica e negli incatevoli quartieri di Aleppo non riecheggia nessuno strumento musicale. Per fortuna in passato avevano ballato e danzato per i propri cari perché adesso il frastuono degli scontri e delle bombe copre la melodia dei violini.

(.....)


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