IFE Italia

Ho sfidato il potere, sono una strega.

di Monica Di Bernardo
giovedì 15 giugno 2017

Chi erano le streghe? Donne sapienti o perfide megere come tante fiabe raccontano? Sono realmente esistite o si tratta di una mera accusa intentata dalla società patriarcale per ricondurre all’ordine donne troppo ribelli?

Queste sono alcune delle domande che mi sono posta leggendo le uniche fonti che abbiamo a disposizione quando si parla di streghe: gli atti e le sentenze dei processi, redatti dai notai che rendicontavano sullo svolgimento delle udienze nei tribunali ecclesiastici e laici che, per diversi secoli, dal XV al XVIII si sono occupati di questo reato. Mi sono anche chiesta più volte dove fosse in quei testi la voce delle imputate e se ciò che leggevo riportasse l’effettivo svolgersi degli eventi o se non fosse esclusivamente il punto di vista degli accusatori. È davvero difficile dare una risposta esauriente, soprattutto perchè ciò che leggiamo, i documenti giunti fino a noi, sono stati redatti dai persecutori, da coloro che hanno trascinato le donne accusate nelle aule dei tribunali e hanno fatto di tutto per condurle sui roghi.

Ma perché si diventava streghe? Queste donne pretendevano un potere all’interno di una società che cercava di estrometterle in tutti i modi possibili dalla vita pubblica, relegandole all’interno delle case, sotto il rigido controllo delle figure maschili della famiglia. Molte di loro hanno pagato con la morte sul rogo quello che si può definire un atto di disobbedienza nei confronti del potere costituito, laico e non; nessun ricordo della loro superbia infatti avrebbe dovuto serbarsi nell’immaginario delle generazioni successive. Di qui la vera e propria damnatio memoriae a cui sono state soggette, tanto che lo stereotipo della strega vecchia e arcigna megera, fattucchiera, incantatrice e frequentatrice di boschi e grotte, luoghi nascosti e tenebrosi, donna pericolosa e misteriosa è creazione di un immaginario arcaico ma ancora fortemente condiviso. Pur essendo frutto di un caso di vera e propria manipolazione creata ad arte.

Infatti, a differenza di ciò che si è tramandato fino a noi, le donne etichettate come streghe in realtà esercitavano un potere effettivo e riconosciuto dalla comunità di appartenenza. Innanzitutto svolgevano un ruolo di intermediazione nel rapporto con il sacro, retaggio di epoche passate, di quando praticavano in maniera esclusiva questa funzione, nelle antiche società che popolarono l’Europa mediterranea nel Neolitico, comunità a caratterizzazione matrifocale, secondo gli studi di M. Gimbutas.

Non si può certo dubitare, quindi, del fatto che si trattava di donne sapienti (a questo allude l’etimologia dell’inglese witch e del tedesco hexer), seppure spesso appartenenti ad un ceto sociale basso, ma indipendenti e sole, quindi prive di difesa, cioè del controllo di un uomo della famiglia. Inoltre ricoprivano un ruolo determinante nelle loro comunità, curavano con le erbe i mali del corpo e dell’anima, erano levatrici e dominae herbarum; a loro si rivolgevano donne soprattutto, ma anche uomini di varie estrazioni sociali: cavalieri e contadini. Erano esperte conoscitrici della farmacologia arcaica, e si avvalevano sia di scongiuri che di pratiche alchemiche. Tale attività conteneva, in nuce, il seme della futura scienza medica, divenuta in seguito appannaggio esclusivo delle elite maschili dominanti.

Le streghe inoltre insegnavano – contravvenendo a un preciso precetto evangelico – si tramandavano un sapere esoterico l’una con l’altra; disponevano di un patrimonio conoscitivo empirico, pragmatico, ma per nulla confuso e casuale. Erano in grado di manipolare l’immaginario, pertanto avevano una profonda conoscenza delle pulsioni umane, capacità di intuizione e penetrazione psicologica. Erano donne colte potremmo dire, anche se si trattava di cultura orale naturalmente, dal momento che la sapienza femminile circolava attraverso le parole e non la lingua scritta, la cui comprensione era preclusa alla maggior parte di loro, in quanto illetterate.

In più le streghe talvolta agivano come delle vere e proprie imprenditrici. È il caso di Laura Malipiero e sua madre prima di lei, ad esempio, che esercitavano in proprio la loro attività di levatrici e medichesse nella Venezia del ‘600, riscuotendo peraltro un discreto successo, fin quando la loro attività non venne segnalata al tribunale dell’Inquisizione.

La demonizzazione della strega si definisce nel Rinascimento, con il proliferare dei processi antistregonici in Europa, si afferma l’armamentario teorico della demonologia elaborata dai teologi cristiani; così la strega, donna libera, che esercita un potere importante e riconosciuto nella comunità (si è infatti streghe per pubblica fama, bastava solo questo per essere accusate) assume progressivamente una connotazione negativa. Chiesa e Stato insieme, responsabili entrambi della persecuzione, rafforzano la loro identità in crisi in un periodo in cui l’Europa affronta grandi cambiamenti, attraverso l’eliminazione della strega, capro espiatorio, elemento pericoloso e destabilizzante, proprio perché anomalo e fuori controllo.

Tuttavia non solo queste donne ribelli sono state espropriate del loro potere con un atto di forza che ha visto alleati potere laico ed ecclesiastico (e non solo la chiesa cattolica) e a migliaia hanno pagato con il rogo il loro atto di ribellione, ma l’immaginario è stato modificato a livello tale che ancora oggi l’idea che serbiamo della strega in quanto tale è quella di un potere oscuro e malvagio, negativo e pericoloso.

Intervista immaginaria a una donna accusata di stregoneria

Cerchiamo di andare oltre, di lasciar spazio alla fantasia, laddove la storia non concede strumenti e spazi di interpretazione, non avendo a disposizione testi scritti da donne/streghe, immaginiamo perciò di intervistare una donna accusata di stregoneria, tale Bellezza Orsini di Collevecchio (nel territorio laziale della Bassa Sabina) strega per pubblica fama, processata nel 1528 a Fiano romano.

Bellezza perché ti hanno accusato?

Sono accusata di essere la causa della morte inspiegata di alcuni bambini e di praticare la «medicina», cosa che alle donne è vietata. Molti testimoni confermano l’accusa, dicono che tanti lutti hanno colpito le loro famiglie a causa delle mie strearie. Molte sono le deposizioni contro di me.

Di cosa ti occupi?

Curo e medico ogni male, ogni infermità, curo il mal francese(la sifilide) e le ossa rotte e libero dalle «ombre» Non ho mai ucciso nessuno. Le tecniche per guarire le prendo da un libro dove stanno tutti i segreti del mondo, buoni e cattivi, oppure utilizzo un certo olio che ho, si chiama olio fiorito. Io capisco se una persona è malata semplicemente guardandola. Ho fatto tanto bene in vita mia. Per curare uso anche un certo piombo e faccio vedere certe figure a chi è ammaliato o affatturato e mi rivolgo a Dio e faccio il segno della croce. Io non sono strega, sono solo una guaritrice. Sono orgogliosa della mia arte.

Sei stata torturata?

Si, numerose volte sono stata sottoposta alla tortura della corda e interrogata negli intervalli tra le torture. Le tortura consisteva nell’essere legata per i polsi ed essere sollevata a tratti per mezzo di una carrucola. Solo allora ho confessato di essere strega e come si entra a far parte della setta delle streghe. Il giudice mi incalzava con domande e accuse, la tortura era insopportabile, raccontare tutto ciò che volevano sentire da me era l’unico modo per provare a sfuggire ai tormenti.

Da chi hai imparato l’arte della stregoneria?

Un’altra donna più anziana mi ha insegnato l’arte della strearia, una che ho conosciuto quando, da giovane, ero a servizio in una casa. Anch’io ho insegnato la stessa arte a molte altre donne. Siamo tante, tantissime e unte con un unguento durante certe notti andiamo in volo al noce di Benevento e lì facciamo tutto ciò che vogliamo, rinunciamo alla fede e al battesimo e prendiamo per signore il diavolo…

Arrivati a questo punto è il caso però di fermarsi, da qui in poi le parole della strega ricalcano le confessioni di mille altre donne, estorte sotto tortura; racconti simili, spesso identici, riferiscono del volo a Benevento, del sabba e del patto diabolico (l’oscolum infame) e si richiamano da un processo all’altro, nonostante i secoli. Gli inquisitori, infatti, utlizzavano tutti come un vero e proprio prontuario di domande da seguire durante l’interrogatorio e la confessione delle accusate lo stesso famigerato strumento: quel Malleus Maleficarum, summa di tutti i trattati di demonologia, opera dei domenicani Institutoris e Sprenger e pubblicato nel 1486, intriso di misoginia e odio verso il genere femminile.

Ma la nostra fantasia può assisterci ancora una volta! Immaginiamo di dare la parola ad una strega che ci racconta, come tra vecchie amiche/i il suo sogno giudicato colpevole. Proviamo a dar voce al non detto e all’immaginario e a fantasticare un’altra storia possibile, senza giudici e senza torture…

Una strega racconta:

È successo ancora una volta. Stanotte. Mia nonna me lo aveva rivelato prima di lasciarmi. “Accadrà alcune precise notti di luna, non temere, nel lasciarti andare, è nella nostra natura, sarà il tuo intuito a guidarti e non potrai che trarne piacere”. Io non avevo ben capito cosa volesse dirmi allora, è nel tempo che ne sono divenuta consapevole. Mi sono svegliata come al solito trepidante, con il cuore in tumulto e in preda a mille emozioni diverse… cerco di attutire i palpiti del cuore, per paura che lui si svegli, come spiegare ciò che accade talune strane notti in cui la luna piena si circonda di un alone grigio che trascolora il paesaggio intorno? Come spiegare l’estasi del corpo e dei sensi? Come spiegare il desiderio di libertà e l’intensa inappagata voglia di lasciarsi andare? Non capirebbe. Ne sono certa. Arrivo alla radura del noce, ma non so bene come lì sono giunta, io che non ho gran senso dell’orientamento, è come se qualcosa di innato, di ancestrale, una sapienza antica che mi appartiene e di cui non sono pienamente consapevole mi conducesse al luogo convenuto per l’incontro con altri uomini e donne, amici e amiche che come me sognano. Stiamo facendo lo stesso sogno!

Non conosco i loro volti, eppure ci sorridiamo e lo sguardo è d’intesa, come tra vecchi amici, è bello sentirsi accolti nel cerchio e cominciare a girare sentendo la mano dell’altro stringersi sulla tua, così, senza alcun bisogno di parole. Lei, la Signora che conduce il gioco a cui tutti partecipiamo, ci guida nella danza fino a diventare una cosa sola, un solo unico grande ritmo che batte in armonia con la terra. Stiamo facendo lo stesso sogno!

È un vortice la danza a spirale intorno al fuoco e ci lascia stremati ma in preda ad una strana euforia che è molto vicina alla gioia pura, come quella che ti coglie inaspettata, d’improvviso, davanti ad un tramonto di fuoco sulla valle, quando il sole sembra incendiare il bosco e poi, d’un tratto, sparisce sulla linea dell’orizzonte, quando meno te lo aspetti, o quando un arcobaleno distratto squarcia l’orizzonte dopo un violento temporale. “Si può signor giudice sentirsi in colpa per la gioia? Per averla così intensamente provata? O per il desiderio di libertà? Non penso si possa punire qualcuno per questo!”.

I giudici del tribunale mi osservano dall’alto del loro scranno, avvolti nei loro abito talare, nel saio che Francesco avrebbe voluto tra i poveri e che ora si erge a giudice degli ultimi e dei loro colpevoli sogni!

Poi qualcuno tra la folla grida “Al rogo! Al rogo!”. Ma allora è proprio questo che mi aspetta? La punizione per un sogno colpevole? O per aver alleviato le sofferenze di qualche amica che alla virtù di alcune erbe ha fatto ricorso per alleviare i morsi della fame dei suoi figli o per disfarsi di una nuova bocca da sfamare? Chissà se mio marito aveva previsto tutto questo quando ha lasciato la sua denuncia anonima nella cassetta dell’inquisitore durante il tempus gratie, preso da un impeto di gelosia, non trovandomi al risveglio di buon mattino …”

Ancora una volta il sogno di libertà di una donna si era infranto davanti alla cattedra di un tribunale di uomini.

(...)


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