IFE Italia

Lo sciopero femminista parte dai territori

di Valentina Moro
martedì 15 gennaio 2019

Un articolo da leggere!

Tratto da: https://jacobinitalia.it/

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Sono un’attivista del movimento globale Non Una Di Meno, che a Padova come in tante altre città elabora e attua pratiche di resistenza contro le molteplici forme della violenza maschile sulle donne, della violenza di genere, della violenza dei generi e dei ruoli sociali imposti. Scrivo queste riflessioni, secondo una pratica femminista, a partire da me, dalla prospettive di chi attraversa i percorsi dall’interno. Intendo questo posizionamento non nei termini identitari – appartenenti solitamente a una prospettiva politica che si muove nel quadro della rappresentanza – ma in quelli della partecipazione a un percorso territoriale che si regge sulla condivisione e il confronto costante in assemblea.

Solo una riflessione sul metodo che caratterizza Nudm consente di comprendere appieno il laboratorio politico che è stato avviato in vista dello sciopero internazionale dell’8 marzo. Laboratorio di pratiche che richiede in primis l’elaborazione teorica di ciò che intendiamo per sciopero femminista, alla luce di quanto emerso dalle assemblee nazionali del 6 e 7 ottobre a Bologna e del 25 novembre a Roma. Si è trattato di momenti fondamentali di confronto condiviso a livello nazionale, ma anche e soprattutto di costruzione di uno spazio assembleare che Nudm intende come qualcosa che ciascuna di noi si porta dietro nella propria quotidianità, attuando ogni giorno pratiche femministe di lotta e sorellanza.

Verso lo sciopero

Nata in Italia nel 2016, negli ultimi anni Nudm ha fatto dello sciopero una pratica centrale e, insieme, un percorso da costruire, a livello assembleare, riappropriandosi del concetto stesso di sciopero, ridefinendone il significato in quanto pratica femminista, come scritto nel Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere: «[…] sciopero insieme vertenziale, sociale e politico, per rifiutare la violenza neoliberale dello sfruttamento e della precarietà, per sovvertire le gerarchie sessuali, le norme di genere, i ruoli sociali imposti – in tal senso lo abbiamo definito anche sciopero dei e dai generi».

La scelta di costruire insieme la giornata dell’8 marzo nei termini di uno sciopero consente a Nudm, anzitutto, di porre come centrale la questione del lavoro. La violenza patriarcale risiede, infatti, nelle strutture stesse che stanno alla base dei luoghi della produzione e della riproduzione sociale, a livello sia simbolico sia materiale. È qui che si manifesta quotidianamente un disciplinamento del lavoro, della posizione e della presa di parola femminile. L’assenza di tutele del lavoro delle donne (e delle lavoratrici stesse), la precarizzazione e il difficile accesso al mercato del lavoro determinano la vulnerabilità delle donne anche nelle relazioni familiari e nello spazio domestico, dal momento che si trovano molto spesso a dipendere in parte o interamente da un partner maschio (o in generale da una figura maschile) dal punto di vista economico.. I dati Istat 2018 parlano chiaro: si veda l’indagine sui centri antiviolenza in riferimento all’anno 2017 e l’articolo di Daniela Piazzalunga, con una sezione riguardante nello specifico “Molestie e ricatti sul lavoro”.

Considerato il nesso tra dipendenza economica e violenza, il movimento fa sua la rivendicazione da un lato di un salario minimo europeo, dall’altro di un reddito di autodeterminazione. Richieste prodotte da una riflessione sulla necessità di welfare e servizi, della garanzia per ogni donna e per tutte le soggettività non binarie (ossia che non si riconoscono nella rappresentazione canonica di due soli generi e che rimarcano come il binarismo sia una costruzione e un’imposizione) di lavorare in maniera sicura, e per tutte coloro che sono madri di avere le tutele per poter mantenere il proprio posto di lavoro, o per poterlo trovare, ma anche la possibilità di non lavorare quando implica una condizione di sfruttamento o degradante.

Un’altra caratteristica fondamentale della tipologia di reddito che Nudm chiede è l’assoluta indipendenza dal requisito della cittadinanza o del fatto di risiedere sul territorio italiano da un certo numero di anni. Queste restrizioni, caratteristiche del reddito di cittadinanza per come è configurato nell’agenda dell’attuale governo, si accompagnano infatti all’attribuzione o alla revoca dei permessi di soggiorno come ricatto esercitato sul piano giuridico. L’assegnazione mensile di reddito sulla base dei criteri proposti dal Movimento 5 Stelle andrà a consolidare le gerarchie patriarcali che stanno alla base della struttura costitutiva dei luoghi della produzione e della riproduzione, poiché penalizzerà ulteriormente, consolidando la loro condizione di precarietà e povertà, proprio quelle soggettività che hanno meno tutele lavorative, o che fanno più fatica a ottenere un posto di lavoro, o il cui lavoro non è retribuito – e fra queste, per l’appunto, le donne coprono una percentuale assai rilevante.

Tutti i fronti di resistenza

A Padova l’attività di Nudm si è occupata largamente anche della salute riproduttiva, opponendosi alle mozioni antiabortiste, cavallo di battaglia della giunta comunale leghista veronese e poi proposte per mezzo di una diffusione a macchia d’olio anche a Milano, Roma, Ferrara, Sestri Levante e Trieste finalizzate a colpire la legge 194, e alle politiche della famiglia che ambiscono a riconsolidare il mai tramontato modello patriarcale. Si tratta solo di alcune fra le proposte giuridiche, a volte largamente strumentalizzate a livello politico, che osteggiano la possibilità per le donne di autodeterminarsi dal punto di vista economico e da quello delle relazioni domestiche (e in particolare coniugali) e della salute stessa. È una logica perversa che non può che venire agevolata qualora un provvedimento come il Ddl proposto dal senatore leghista Simone Pillon in materia di separazione, affido condiviso dei figli e delle figlie e mantenimento di queste/i (qui il testo completo), diventi legge. Il Ddl trova i suoi fondamenti nei presupposti del binarismo sessuale e della patria potestà; impone il criterio della bigenitorialità perfetta, introducendo il mantenimento diretto dei/lle figli/e, un ricatto economico per le donne (si pensi ai gap salariali, alle disoccupazione femminile e alla difficoltà di permanenza continuativa, per una donna, nel mercato del lavoro a seguito di un congedo per maternità). Comporta inoltre la mediazione obbligatoria a pagamento in tutti i casi di separazione, anche quelli in cui sia stata in precedenza rilasciata una denuncia di violenza sui/lle minori o sulla madre il cui iter processuale non sia ancora completo. Riduce ulteriormente la credibilità della parola della donna che denuncia le violenze domestiche, la quale può essere ritenuta responsabile di una “sindrome da alienazione parentale”. Si tratta della Pas, Parental Alienation Syndrome, che colpirebbe i minori coinvolti in cause di separazione dei genitori, il cui fondamento scientifico, tuttavia, è stato fortemente messo in discussione, per quanto venga utilizzata di frequente come principio in ambito giudiziario. Tutto ciò ostacola in maniera molto rischiosa il lavoro del centri antiviolenza (già ampiamente osteggiato dai costanti tagli ai finanziamenti da parte di varie amministrazioni sul territorio).

Si tratta di derive fasciste e fondamentaliste che questo governo sta portando avanti con una ratio la cui pervasività è evidente nel connubio tra le politiche securitarie e quelle finalizzate a preservare e a riprodurre tutte le strutture “tradizionali” e patriarcali che costituiscono la base della nostra società, in primis la famiglia. Le politiche di governance neoliberale si sono tradotte nel cosiddetto “decreto sicurezza”, che introduce provvedimenti altamente preoccupanti fra i quali, come recentemente denunciato anche da Amnesty International, la sospensione del diritto dei migranti e delle migranti alla protezione umanitaria, che al momento rappresenta uno strumento giuridico fondamentale anche nel caso delle donne vittime di tratta o che hanno subito violenza nei paesi d’origine o di transito, consentendo loro di richiedere il permesso di soggiorno in maniera “agevolata” sulla base di questa casistica legale. La promulgazione del decreto si lega a doppio nodo al Ddl Pillon in materia di separazione e affido, ma anche al provvedimento giudiziario del quale sta facendo le spese il sindaco di Riace Mimmo Lucano. Si tratta, per l’appunto, di una ratio che passa per la codificazione, la giuridicizzazione e la mediatizzazione, al fine di ridurre alla minorità e a precarizzare le donne così come tutt@ i soggetti migranti – ovvero tutte quelle soggettività che si ha interesse a rappresentare come “eccedenze” rispetto al riprodursi della società patriarcale, nazionalista e sicura. Una ratio che, se presa in considerazione solo in riferimento a politiche e provvedimenti distinti fra loro e sconnessi, rischia di essere sottovalutata nella sua portata politica complessiva e strutturale. La riappropriazione del linguaggio giuridico

A Padova abbiamo attuato una mobilitazione dal punto di vista dell’informazione, nell’intento di rendere accessibile il testo giuridico del Ddl Pillon, di mettere in evidenza la gravità e la pericolosità di tutti gli aspetti fra loro interconnessi che la proposta, qualora diventasse legge, comporterebbe. Sulla base di quanto emerso nel tavolo dedicato al tema del Ddl nell’assemblea bolognese di Nudm del 6 e 7 ottobre, nella quale sono stati evidenziati i punti più problematici del testo e le misure che possono essere prese preventivamente per contrastarlo, abbiamo “spacchettato” il testo, nell’intento di aprire un dibattito e un confronto con la cittadinanza sul tema. Abbiamo organizzato, il 24 ottobre scorso, un incontro pubblico all’Università di Padova, in occasione del quale è intervenuta anche un’avvocata dell’Aiaf (Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minori). Siamo infatti convinte che sia necessario adottare la prospettiva di un “femminismo giuridico”, affinando la capacità di confrontarci da vicino con testi che spesso fanno dell’opacità del linguaggio una carta vincente per sottrarsi alla critica. Una lettura femminista dei testi giuridici ambisce a una riappropriazione degli strumenti di critica anche nell’ambito (fondamentale) del diritto.

Ci siamo poi attivate per una comunicazione diretta e individuale con le persone, presenziando in vari luoghi della città con un banchetto e rivolgendoci in particolare alle donne. Molte/i si sono fermate/i e hanno parlato con noi, molto spesso dicendoci di essere all’oscuro del testo del Ddl. Infine, abbiamo preso parte a un partecipatissimo corteo a Verona il 13 ottobre scorso. La città della povera Giulietta si rivela (da sempre, ma in particolar modo in un periodo recente) una sede decisamente congeniale alla costruzione di alleanze estremamente pericolose tra l’ultra-destra xenofoba e un fondamentalismo cattolico che ama definirsi pro life (il che comporta, vien da sé, l’essere contra la salute riproduttiva delle donne – per quanto questo non venga ovviamente esplicitato).

La Carta della città femminista

Anche quest’anno, in vista dello sciopero femminista dell’8 Marzo, l’assemblea padovana ribadirà i temi descritti nella “Carta della città femminista”, redatta per mezzo di una scrittura collettiva nel 2017 e nata come proposta di adattamento territoriale del piano nazionale contro la violenza. È organizzata su quattro punti: percorsi di fuoriuscita dalla violenza; spazio pubblico, sicurezza e decoro; diritto alla salute e all’autodeterminazione; lavoro e welfare. Si legge nella carta: «in una città che da anni sperimenta politiche di controllo sociale e securitarie, è nata una discussione su nodi e tematiche fondamentali, proprio nei luoghi chiave del territorio cittadino». La Carta è un documento prodotto interamente dall’assemblea padovana di Nudm, a partire da un confronto, in più gruppi di lavoro, sulle necessità delle donne in un contesto urbano specifico, e sulle pratiche che possono essere attuate per far fronte alla violenze e per costruire reti di solidarietà e di mutualismo. A partire dalla Carta e dalle riflessioni elaborate nei tavoli di confronto all’assemblea nazionale del 25 novembre, i due temi sui quali Nudm ha scelto di concentrarsi sono le molestie sul lavoro e la salute riproduttiva (in particolare si farà riferimento a una mappatura dei servizi forniti dai consultori sul territorio e al tema dell’obiezione di coscienza).

La creazione di spazi femministi

Nei giorni scorsi abbiamo avuto modo di confrontarci con delle compagne di Ni Una Menos a Madrid, che ci hanno parlato di come sono riuscite a portare avanti un percorso di costruzione dello sciopero femminista che l’anno scorso ha consentito loro di far scendere in piazza milioni fra donne e soggettività alleate. Da parte loro, si sono mostrate molto interessate al fatto che, in vista dell’8 marzo, a Padova si intenda portare avanti una riflessione sulle molestie sul lavoro e sulle violenze domestiche proseguendo la raccolta di testimonianze di denuncia. Quest’ultimo è un percorso che a Padova Nudm ha iniziato l’anno scorso, a partire da una campagna condotta posizionando scatole in luoghi simbolici della città (ospedali, sedi di consultori, il centro antiviolenza, università) nelle quali sono state raccolte testimonianze di violenza (subita all’interno di quegli stessi luoghi) redatte da donne in forma anonima. La scatola simboleggiava uno spazio femminista, lo spazio nel quale potersi riappropriare di una presa di parola che espone a un rischio, spesso negata; uno spazio che ciascun@ potesse sentire come proprio, ma che fosse anche spazio di elaborazione politica. Le scatole erano pensate come qualcosa che ciascuna poteva costruire e dunque riprodurre, collocandole nei luoghi di lavoro o frequentati nel quotidiano, in modo da consentire alla campagna una diffusione capillare.

A partire da queste esperienze, porteremo avanti una riflessione, avviata da tempo, sulla necessità di uno spazio in città individuabile come spazio safe e accessibile per tutte e tutti coloro che si identificano con l’assemblea di Nudm. . È una riflessione ancor più rilevante se consideriamo che uno dei punti salienti emersi dall’assemblea nazionale romana è proprio la necessità di costituire nei territori delle “case dello sciopero”, perché il confronto assembleare e il processo di costruzione dello sciopero femminista richiede spazi di visibilità significativi per l’intera città, che la caratterizzino anche in maniera simbolica comunicando in maniera chiara che Non Una Di Meno è un’assemblea della e per la città. Divenendo uno spazio aperto di mutualismo e confronto, anche il percorso verso lo sciopero sarà tale, in modo che la giornata dell’8 marzo, per quanto sia un fondamentale vettore di visibilità sulle mobilitazioni di Nudm a livello transnazionale, non rappresenti che uno snodo di un percorso lungo e continuativo. Un tale percorso parte dal confronto di esperienze, vissuti, desideri e porta avanti una riflessione collettiva di soggettività che condividono un progetto e un impegno politico che si connota come transfemminista, e costituisce laboratorio vivo di pratiche e saperi. Tutta la mia vita è femminista, recita uno dei cori intonati più di frequente nell’enorme corteo che ha percorso le strade di Roma il 24 novembre scorso. Questo è il messaggio che ciascun@ può rendere visibile portando con sé ogni giorno uno dei pañuelos fucsia divenuti simbolo del movimento.


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