IFE Italia

I russi contro la guerra

Ilya Budraitskis e Ilya Matveev
giovedì 10 marzo 2022

La Russia ha attaccato l’Ucraina. I peggiori timori si sono avverati. Vladimir Putin ha chiarito l’obiettivo militare dell’operazione: la resa completa dell’esercito ucraino. Il piano politico rimane poco chiaro, ma è molto probabile che si punti all’insediamento di un governo filorusso a Kiev. La leadership russa presume che la resistenza sarà spezzata rapidamente, e che la maggior parte degli ucraini si sottometterà al nuovo regime. Le conseguenze sociali per la stessa Russia saranno ovviamente gravi. Già nella mattinata del 24 febbraio, anche prima che le sanzioni occidentali fossero annunciate, le borse russe sono crollate e la caduta del rublo ha battuto ogni record.

Il discorso di Putin del 23 febbraio, in cui ha annunciato lo scoppio della guerra, ha reso manifesto il linguaggio dell’imperialismo e del colonialismo. Il suo è l’unico governo che usa apertamente le parole che avrebbe adottato una potenza imperialista del primo Novecento. Il Cremlino non è più in grado di nascondere dietro altre rimostranze – compreso l’allargamento della Nato – il suo odio per l’Ucraina e il desiderio di darle una «lezione» punitiva. Queste azioni vanno oltre gli «interessi» razionalmente intesi e si trovano da qualche parte nel regno della «missione storica», come la intende Putin.

Dopo l’arresto di Alexei Navalny nel gennaio 2021, la polizia e i servizi di sicurezza hanno praticamente schiacciato l’opposizione organizzata in Russia. L’organizzazione di Navalny è stata bollata come «estremista» e smantellata, le manifestazioni in sua difesa hanno provocato circa quindicimila arresti, e quasi tutti i media indipendenti sono stati chiusi o etichettati come «agenti stranieri», limitando gravemente il loro funzionamento. Manifestazioni di massa contro la guerra sono improbabili – non c’è una forza politica in grado di coordinarle e la partecipazione a qualsiasi protesta di strada, incluso anche il picchetto di una sola persona, viene punita rapidamente e severamente. Gli ambienti di attivisti e intellettuali in Russia sono scioccati e demoralizzati dagli eventi.

Ma un segno rassicurante è che nella società russa non si percepisce un chiaro sostegno alla guerra. Secondo il Centro Levada, l’ultima agenzia di sondaggi indipendente (essa stessa bollata come «agente straniero» dal governo russo), il 40 per cento dei russi non sostiene il riconoscimento ufficiale delle « repubbliche popolari» di Donetsk e Luhansk da parte delle autorità russe, mentre il 45 per cento dei russi sì. Certo, sono inevitabili alcune tendenze a « stringersi attorno alla bandiera», ma bisogna ammettere, ed è un fatto notevole, che nonostante abbia il controllo completo sulle principali fonti di informazione, e nonostante un drammatico sfogo di demagogia propagandistica in televisione, il Cremlino non è riuscito a fomentare entusiasmo per la guerra. Nulla di simile alla mobilitazione patriottica che seguì l’annessione della Crimea nel 2014 sta accadendo oggi. In questo senso, l’invasione dell’Ucraina smentisce la vulgata in base alla quale un’aggressione esterna, da parte del Cremlino, rafforza sempre la legittimazione interna. Al contrario, se non altro, questa guerra destabilizzerà il regime e in qualche misura minaccerà persino la sua sopravvivenza, perché il «problema del 2024» – la necessità di mettere in piedi uno spettacolo convincente per la rielezione di Putin, quando i russi saranno chiamati a votare per la presidenza – è ancora sul tavolo.

La sinistra di tutto il mondo ha bisogno di unirsi intorno a un semplice messaggio: no all’invasione russa dell’Ucraina. Non c’è alcuna giustificazione per le azioni della Russia; esse porteranno sofferenza e morte. In questi giorni di tragedia, chiediamo la solidarietà internazionale con l’Ucraina.

*Ilya Matveev è un ricercatore e docente di San Pietroburgo. Ha fondato Openleft.ru ed è membro del gruppo di ricerca Public Sociology Laboratory. Ilya Budraitskis è uno scrittore di sinistra, e vive a Mosca. Questo articolo è uscito su JacobinMag, la traduzione è di Davide Orecchio.


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