IFE Italia

8 marzo di lotta femminista. Sempre e ancor di più

di Nicoletta Pirotta
giovedì 9 marzo 2023

Aver assistito in pochi mesi all’ascesa di due donne nelle stanze dei bottoni potrebbe dare l’impressione che sia in atto, anche nel nostro Paese, una svolta di non poco conto. Per la prima volta nella storia d’Italia abbiamo una Presidente del Consiglio, capo della maggioranza che governa il Paese, che dovrà confrontarsi con la segretaria del PD cioè del maggior partito dell’opposizione. Sembra quindi che anche nei luoghi istituzionali della politica si sia finalmente rotto, per usare una frase abusata, “il tetto di cristallo” e che quindi alle donne si aprano ulteriori possibilità e opportunità. Come ho già avuto modo di scrivere, non posso che guardare con attenzione e simpatia all’elezione di donne nei luoghi dove si esercita potere. Sul piano dell’immagine questo fatto aiuta superare stereotipi vetusti ma ancora radicati. C’è un ma, però.

Resto convinta, parafrasando l’indimenticabile Asor Rosa, che rimuovere, in ciò che accade, quel che di contraddittorio esiste non può che condurre ad esiti moderati. Per esempio vorrei ricordare che a capo del Governo è andata Giorgia Meloni, una donna che mentre sulla spiaggia di Cutro si schiantavano le vite e i sogni di decine di persone (un dramma con evidenti responsabilità politiche che spero vengano accertate) ha preferito volare negli Emirati Arabi a parlare di affari e investimenti. Una donna espressione di una destra feroce che vuole colpire ulteriormente il welfare pubblico accentuandone la dimensione familista e frammentandolo attraverso il progetto di autonomia differenziata che lede il principio costituzionale di solidarietà, che considera il reddito di cittadinanza un regalo a chi non ha voglia di lavorare, che si caratterizzeranno in modo particolare sui temi che riguardano il corpo delle donne e l’aborto, sull’orientamento sessuale, sulla repressione contro qualsiasi persona o cosa non omologati mentre rispolvera il mito della famiglia patriarcale e l’esaltazione dei confini. Temi “pesanti” che riguardano il principio di autodeterminazione sul proprio corpo e sulla propria vita ed attaccano frontalmente i diritti e le libertà per le quali lottiamo. È qui che verrà giocata la restaurazione conservatrice delle destre. Le donne, in particolare, pagheranno un prezzo altissimo in termini di libertà di scelta ed autonomia economica. Si sarà anche rotto il tetto di cristallo ma i pezzi di vetro rischiano di farci molto male!

Per quanto riguarda Elly Schlein, come ho già avuto modo di scrivere, giudico la sua elezione a segretaria del PD un elemento di novità, anche perché inatteso (“non c’hanno visto arrivare” ha dichiarato dopo essere stata eletta). Non nutro al contempo aspettative magiche nei suoi confronti salvo la speranza che almeno provi a fare del PD un partito meno chiuso nelle stanze del potere. Se sono rose fioriranno ma per ora il mio giudizio resta sospeso. Aggiungo che spesso l’arrivo di alcune donne nei luoghi del potere si associa all’elogio di un “femminile” che avrebbe caratteristiche di bontà, generosità, empatia, innocenza contrapposte alla rudezza del “maschile”. Un “femminile” così inteso è stato funzionale al patriarcato per relegare le donne nella sfera del “materno” e del “casalingo” e condizionarne la concezione di sé (“Donne non si nasce” ebbe a dire Simone De Beauvoir svelando come le donne siano obbligate a essere l’altro dall’uomo, senza avere a loro volta il diritto di costruirsi come Altra).

Carla Lonzi scrisse opportunamente che si cambia per davvero il senso di noi stesse e del mondo solo “prendendo coscienza dei condizionamenti culturali, di quelli che non sappiamo, non immaginiamo neppure di avere (…) Per questo la presa di coscienza è l’unica via, altrimenti si rischia di lottare per una liberazione che poi si rivela esteriore, apparente, per una strada illusoria”. L’aspetto non elegiaco ma interessante di queste due elezioni sta in quello che scrive opportunamente Lea Melandri: “Direi che adesso la questione di genere è sotto gli occhi di tutti e perciò inaggirabile. Abbiamo due donne in un ruolo di primo piano che ripropongono il binarismo maschile-femminile: una segretaria e un presidente”. Che siano le donne a “svelare” che la definizione di ciò che attiene a un sesso e all’altro non ha nulla di “naturale”, la dice lunga su un dominio che deve il suo radicamento e la sua durata alla colonizzazione del pensiero, oltre che del corpo, di chi lo ha subito.

Si potrà ancora ignorare quel salto della coscienza storica che è stato il femminismo nella sua intuizione più radicale: l’interiorizzazione della rappresentazione maschile del mondo da parte delle donne stesse? Imposta, certamente, ma “fatta propria” da chi ne conosce e patisce ancora oggi la violenza. Giorgia Meloni e Elly Schlein ci costringono a interrogare oggi la politica da molti punti di vista: non ultimo, la relazione tra uomini e donne rimasta a lungo un fenomeno considerato “naturale”, “non politico”. Questo sarebbe il vero elemento di novità che potrebbe produrre effetti forse anche trasformativi del reale. E poiché nulla cade dall’alto dovremmo impegnarci per renderlo inevitabile. Anche per questo l’ 8 marzo è bene che resti ancora e sempre di più una giornata di lotta. Altre ragioni di fondo ne spiegano ancor meglio il perché.

Ha fatto bene il movimento femminista “Non Una Di Meno” (NUDM), in Italia e non solo, ad aver lanciato di nuovo lo sciopero femminista e transfemminista (in stretto legame con quello per il clima di qualche giorno fa) e ad aver indicato nell’appello che lo sostengono i tanti motivi che ancora rendono complicata e difficile la vita delle donne (specie se impoverite e/o migranti). Disoccupazione, lavori precari, violenza domestica, femminicidi, un welfare ridotto a carità, la quasi totale sparizione dei consultori pubblici, un’insopportabile diffusione dell’obiezione di coscienza che rende meno esigibili i diritti previsti dalla 194 (una legge che pure va difesa!). Denunciare tutto ciò non è fare del vittimismo ma indicare i terreni e la materialità della lotta. Una materialità capace di cogliere, grazie alla chiave di lettura intersezionale, gli intrecci fra crisi sanitaria post pandemia, economica, climatica e con i focolai di guerra accesi in tutto il pianeta, che rendono evidente quanto la guerra aumenti “l’intensità e la pervasività della violenza patriarcale”. Un segno tangibile che il movimento sta costruendo, soprattutto per le nuove generazioni, un’importante coscienza individuale collettiva (quella di cui parlava Lonzi) ed un luogo non neutro di formazione politica. Aspetti non certo banali in un contesto nel quale sembra impossibile modificare gli attuali rapporti di forza, raggiungere risultati concreti, immaginare un altro modo di stare al mondo.

Come hanno svelato alcune femministe statunitensi la “rottura del tetto di cristallo” non ha avuto nessun effetto di trascinamento. A fronte di poche donne che hanno saputo raggiungere posizioni di comando è aumentato esponenzialmente le donne che un lavoro non lo trovano, o vivono condizioni di precarietà e sfruttamento, che subiscono violenze. Nel “Manifesto per un femminismo del 99%” Nancy Fraser, Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya sottolineano come l’oppressione di genere non è causata da un unico fattore, il sessismo, ma è il prodotto delle intersezioni di sessismo, razzismo, colonialismo e capitalismo. Per il femminismo per il 99% non è sufficiente assicurare all’1% delle donne i privilegi riservati ai maschi mentre il 99% è ancora soggetto all’oppressione anche per il colore della pelle, per lo Stato in cui vivono, per la precarietà economica. Le autrici dell’appello invitano a guardare oltre le questioni di genere, valutando l’impatto della violenza di genere razzializzata, dei fallimenti del neoliberismo, degli attacchi ai diritti dei lavoratori, delle ingiustizie riproduttive, dell’omofobia, della transfobia e della xenofobia.

Dentro le guerre che infiammano il pianeta, quella scoppiata poco più di un anno fa, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si conferma sempre più come costituente di un nuovo ordine mondiale. Una guerra che provoca, come tutte le altre, morte e devastazione ma va oltre. Sulla pelle del popolo ucraino (nonostante ipocritamente si dica di volerlo salvare) si stanno ridisegnando poteri a livello geopolitico ed economico (la ricostruzione del martoriato Paese fa gola a molti). Ed intanto la militarizzazione della società e delle coscienze procede spedita e la guerra diventa sempre di più paradigma di conflitti non solo bellici ma sociali, generando ulteriore violenza. Dentro un simile quadro è bene che l’8 marzo serva a dare la massima visibilità alla lotta femminista e transfemminista (in moltissime città si manifesterà nelle strade e nelle piazze grazie all’appello di NUDM ) per riaffermare la volontà di vivere in pace e avere diritti, il desiderio di potersi autodeterminare, la pretesa di essere liber3. La strada per Tipperary è ancora lunga.

Buon lotto marzo dunque.


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