IFE Italia

Dona l’utero alla figlia "Ora serve più a lei"

di Andrea Malaguti
martedì 14 giugno 2011

A 56 anni l’imprenditrice svedese Eva Ottosson, titolare di un’azienda di illuminazione a Newcastle, Inghilterra del nord, ha deciso di accendere definitivamente la vita alla sua primogenita Sara con un dono piuttosto speciale: il suo utero. «Mi ha servito bene ospitando le mie due creature. Ma ormai per me è inutile. Lei ne ha bisogno, dunque glielo cedo». Un trapianto, semplice no? Sarà la prima madre al mondo a consentire alla figlia di avere un bambino utilizzando lo stesso straordinario terreno di coltura appartenuto a lei. Vuole un nipote, non capendo bene se si tratti di un modo per mettere fine alla sua inquietudine o a quella della sua piccola. Ma forse, in fondo, non c’è nessuna differenza. «Se l’operazione fallirà, allora tenteremo con l’adozione». Sara Ottosson, 25 anni, è nata con una malattia che colpisce una donna su cinquemila. Si chiama sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser, una patologia infida, che si manifesta tardi, quando la ragazza si accorge di non potere avere le mestruazioni essendo venuta al mondo senza organi riproduttivi. E una professoressa di biologia con i capelli rossi e occhi molto grandi. Ha coraggio. E tende a semplificare la storia, non ha intenzione di farsi seppellire dall’emozione. Ha la certezza che sarà bello amare qualcosa più grande di lei senza averne paura. «In questa vicenda l’unica preoccupazione è che mia madre non corra rischi». In fondo tutti noi siamo già un pezzo dei nostri genitori, che male c’è ad utilizzarli ancora per moltiplicare la vita?

Questa vicenda, come la chiama Sara, nasce a Góteborg, nel cuore della Svezia, do- ve il professor Matts Brannstrom, gigante dei trapianti, si è rivolto a un gruppo di volontari per tentare un esperimento che ha avuto un unico precedente, fallito, nel 2000. Un utero di una donna di 46 anni fu trapianto in Arabia Saudita su una ragazza di 26. L’organo dovette essere rimosso dopo meno di cento giorni. Undici anni dopo Branstrom è convinto di avere capito come superare i problemi e Sara e sua madre hanno deciso di fare da cavie. L’intervento di espianto, simile a un’isterectomia, dura quattro ore. Quindi l’organo viene impiantato nella ricevente dopo che le è stato amministrato un potente cocktail di farmaci allo scopo di evitare il rigetto. Se dopo un anno l’intervento dà i risultati sperati è possibile fare ricorso alla Fivet, anche se in realtà alcuni ovuli vengono collocati nell’utero nella speranza che si sviluppino naturalmente. «Tecnicamente è molto più difficile che trapiantare un rene o il cuore. D problema principale è quello di evitare emorragie. Ma sono ottimista». Il triplo carpiato rovesciato della chirurgia del terzo millennio. La Ottosson è una signora testarda, da sempre mossa da una voce interiore che esige da lei prodezze da Zorro. Ma quando si presenta alle telecamere della Bbc, racconta che l’idea di donare l’utero alla figlia a un certo punto le è sembrata bizzarra. «L’ho anche detto a Sara. Non faremo ricorso a una madre surrogata. Ci penseremo io e te. Ma non ti sembra curioso? Lei mi ha risposto: mamma, io non ci vedo implicazioni psicologiche di nessun tipo. L’utero è solo un organo come tutti gli altri». Forse un estremo appello alla scienza, forse la timidezza che si è confusa con il pudore. Un modo per rendere la cosa più oggettiva e distante. Eva si sistema l’orecchino a pendaglio. «Non sappiamo come finirà, speriamo bene. Ma per lo meno abbiamo attirato l’attenzione sulla sindrome di Sara. Abbiamo pensato a noi, certo, ma in fondo un po’ anche a questo popolo di donne silenziose». E lo dice con l’allegria muscolosa di chi è convinto di fare la cosa giusta.


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