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"Blair: Dio l’idea nuova per affrontare la crisi"

di Gianni Riotta su "La Stampa" del 10 novembre 2011
giovedì 10 novembre 2011

Un testo che getta una luce inquietante sul futuro che ci aspetta....

«We don’t do God», noi non ci occupiamo di Dio: così Alastair Campbell, l’ex braccio destro del premier inglese Tony Blair, interruppe una conferenza stampa del suo leader, davanti a una possibile risposta imbarazzante sulla religione. Oggi Blair, l’uomo che portò per la prima volta nella storia inglese la sinistra laburista al governo per tre volte consecutive, e che, da faro della New Left, fu criticato per l’appoggio a George W. Bush in Iraq nel 2003, «Does God», si occupa di Dio. Ed è anzi convinto che senza ridare un ruolo alla religione nel XXI secolo, non avremo né pace, né sviluppo: «La globalizzazione ha reso il mondo molto piccolo. Per questo uomini di fede e laici devono parlarsi. Basta aprire Internet e vedere come siamo vicini, basta capire che l’emigrazione mette nello stesso isolato urbano fedi diverse, come si fa a non confrontarsi? Dall’Africa all’Asia si chiede democrazia, ma abbiamo necessità di religioni amiche della democrazia e di democrazie amiche della religione». Nato protestante, convertito alla Chiesa Cattolica, Blair usa un tono diverso da quelli comuni in America, dove la religione è svilita a propaganda nelle primarie dei repubblicani, ma resta in sordina nel dibattito istituzionale per la separazione storica Chiesa-Stato, ma anche in Europa, dove il secolarismo sembra dominante, da Nord a Sud. Un tono che sorprenderà non pochi, ma che - se davvero le sinistre torneranno al governo in Francia. Germania e forse Italia come i sondaggi dicono - sentiremo molto più spesso. «Non si può comprendere quel che è accaduto in Nord Africa, la rivolta del mondo arabo, se non capisci il ruolo della religione in quel mondo - dice Blair, controcorrente rispetto alla lettura diffusa della primavera islamica - inutile insistere che, caduti i regimi, la religione cederà il posto alla democrazia secolare. Sono andato 73 volte in Medio Oriente da quando ho lasciato Downing Street e so che non è così. Guardate al successo dei Fratelli musulmani, finora. La religione è, e resterà, centrale in quel mondo, ci piaccia o no». Nel 2009 Blair, firmando il libro degli ospiti all’Ambasciata inglese a Washington, aveva indicato come «Gerusalemme» la sua residenza e ora usa proprio la Città Sacra delle tre religioni monoteiste come esempio per il suo Manifesto su religione e democrazia. «Davvero qualcuno crede ancora che il conflitto fra palestinesi e israeliani sia una questione di territori e basta? Ruota invece sulle diverse narrative che le religioni fanno del passato, e non si risolve senza ripartire dalla fede religiosa». Solo pochi anni fa la, poi naufragata, Costituzione europea non volle accogliere il riferimento alle «radici cristiane» del continente, per cui papa Giovanni Paolo II s’era tanto speso invano. Oggi Blair, ex premier dell’« antipapista» Gran Bretagna, propone un ruolo diverso, post-ideologico, per la religione: «Inutile negare che nel terrorismo islamico c’è una forte componente religiosa. Inutile restare legati al passato, come il secolarismo francese che fece bocciare nella Costituzione il riferimento alla religione, anche se non è episodio da sopravvalutare. Oggi la democrazia fiorisce in paesi islamici come la Turchia o cattolici come l’Italia. Ma dobbiamo renderla libera di farci agire, non relegarla in un cantuccio». Chi accuserà Blair di fervore da convertito, sbaglia, perché il suo tentativo è chiudere con il muro contro muro, Secolari contro Religiosi, o peggio Noi Cristiani contro Loro Musulmani: «Troppi sono abituati a denunciare solo le persecuzioni, gravi, subite dai cristiani da parte di musulmani, e restare indifferenti davanti a tutte le altre minoranze religiose oppresse. Nel mondo chi soffre di più sono islamici e cristiani, le due religioni più diffuse. Ma una ricerca del Pew research center - e qui Blair se la prende con troppe ipocrisie nei media - dimostra che dal Medio Oriente al Nord Africa, spesso patiscono più i musulmani di ebrei e cristiani. Ovunque la libertà di religione non è rispettata, la dignità umana è travolta». Per questo il cattolico Blair indica al mondo una lista di sofferenze che non va in prima pagina: «Gli uomini di fede soffrono nell’Asia centrale, nel Sud del Caucaso, e in Corea del Nord. Tutti noi dobbiamo ricordarci dei musulmani nel Gujarat indiano, dei cristiani non ortodossi in Moldova, del culto Baha’i’ in Iran, degli Ahmadis in Pakistan, di tutti i cristiani in Nord Africa, degli Hindu in Sri Lanka, degli sciiti in molti paesi islamici a maggioranza sunnita». Il vero illuminista del nuovo tempo non si commuove alle pene dei suoi e ignora quelle altrui, e di questo oggi parla il «nuovo» Blair. L’ex leader del partito laburista è cosciente che qualcuno lo criticherà, parlare di religione nel bel mezzo della possente crisi dell’euro, mentre l’economia domina le preoccupazioni di tutti, ma ribalta sorridendo la questione: «Al contrario, proprio perché la crisi economica e la globalizzazione esasperano gli animi, il secolarismo da solo non basterà. Se il mercato globale si riduce a rivoluzione dei consumatori non vedremo che crescere rancore e populismo. Tocca ai leader prendere decisioni anche dure, ma alla società civile serve poi un dialogo che leghi le comunità con obblighi reciproci e ci permetta di oltrepassare la crisi. L’Europa ce la farà, malgrado il pessimismo di tanti miei connazionali. A patto però di ricordare il monito di Benedetto XVI: se secolarismo significa disprezzare la religione, il risultato non sarà che violenza e rabbia. E in Europa ne abbiamo già avuta troppa nel passato». Tony Blair arriva oggi in Italia, ma non lo sentirete parlare di bilanci di Silvio Berlusconi, di spot, pro o contro, i successori di cui si parla e che ben conosce, da Giuliano Amato che ha seguito un percorso parallelo al suo dal socialismo alla religione, a Mario Monti di cui ha condiviso le battaglie liberiste. Ha scelto un passo diverso, non troppo preoccupato di critiche o sorrisi. «So che mi chiederanno della crisi politica ed economica italiana. Dirò solo che l’Italia è un Paese colmo di talento, di entusiasmo, che quando vedo le piazze dei ragazzi alla domenica mi si riempie il cuore. Ce la farete, per il resto certo mi faranno domande, ma cosa dire?». Qualunque cosa dirà Sir, le daranno addosso da noi lo sa, meglio schivare. «Già vero, meglio schivare direi per ora...». E Blair scoppia a ridere, di cuore, per la prima e sola volta del nostro colloquio.


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