IFE Italia

Povera Italia senza paga stipendi più bassi d’Europa

di Federico Pace
lunedì 27 febbraio 2012

dal sito http://miojob.repubblica.it/notizie...

in allegato le tabelle con alcuni dati (fonte EUROSTAT) sempre dal medesimo sito

immagine: riproduzione fotografica di un’opera di Georgia O’Keffe

Gli stipendi italiani sono quasi una miseria. Ciascuno ne ha da tempo una sensazione chiara. La busta paga di molti non basta a quel che dovrebbe. Ora la conferma, a quella che era qualcosa di più di una sensazione, l’ha offerta Mario Draghi, il governatore di Bankitalia, che ha lanciato l’invito a fare tornare a crescere le retribuzioni. Così come accade altrove in Europa.

“I livelli retributivi - ha detto il governatore in occasione di una lezione all’Università di Torino - sono in Italia più bassi che negli altri principali paesi dell’Unione europea”. E a supporto ha fatto riferimento ai dati di un’indagine di Eurostat che confronta le retribuzioni dei paesi europei tenendo conto anche dell’evoluzione dei prezzi.

L’analisi effettuata del centro di studi statistici dell’Unione, seppure pubblicata qualche tempo fa, è la più recente comparazione dell’evoluzione degli stipendi in Europa. Prende in considerazione gli anni compresi tra il 1996 e il 2002 e si riferisce ai dipendenti dei comparti dell’industria manifatturiera. E l’Italia non ne esce affatto bene.

Dal 1996 al 2002 le retribuzioni italiane nette (colate a parità di potere di acquisto, di prestazione lavorativa e di tipologia professionale) sono rimaste al palo acuendo in qualche mondo le distanze dagli altri paesi. Nessun miglioramento di alcun tipo. Mentre infatti da noi la busta paga rimaneva “congelata”, in altri paesi le retribuzioni invece si muovevano. In Francia, Germania o Regno Unito, il potere d’acquisto degli addetti dei settori coinvolti ha avuto una andamento nettamente migliore.

Per quanto riguarda la categoria dei “single” nel 2002 la sua busta paga è rimasta a 16.426 euro. Pressoché lo stesso di quanto prendeva nel 1996, ovvero 16 mila e 393 euro l’anno (vedi tabella). Nel Regno Unito, nello stesso intervallo di tempo si è registrata una crescita pari al 21,6 per cento. Così in Olanda (+27,3%) e in Francia (+23,4%).

Da noi ad incidere è anche il peso del cuneo fiscale che preleva ai lavoratori dipendenti una quota maggiore di quanto non accada in altri paesi europei. Secondo un’indagine Eurispes del marzo di quest’anno, gli stipendi lordi in Italia, tra il 2000 e il 2005, sono cresciuti molto meno che altrove (solo l’11 per cento) e il cuneo fiscale "appare particolarmente gravoso nel nostro Paese". E l’Italia in questa speciale classifica viene "preceduta solo dal Belgio, dalla Svezia e dalla Germania" (vedi qui).

Più in particolare il cuneo fiscale, dati 2004, in Italia pesa per un dipendente senza familiari a carico per oltre il 45 per cento e per il 36,6 per cento per un lavoratore con moglie e due figli a carico.

Ma l’evoluzione retributiva in Italia non ha danneggiato solo i single. A perdere il confronto con i partner europei sono anche le retribuzioni complessive di una coppia con due figli (vedi tabella). In questo caso a incidere su quanto finisce in tasca ai dipendenti ci sono anche le politiche di sostegno alle famiglie (strumenti come gli assegni famigliari e gli sgravi fiscali). Anche qui l’Italia ha la maglia nera. La retribuzione complessiva è cresciuta tra il 1996 e il 2002 solo del 3,4 per cento.

L’evoluzione sembra confermata anche in anni più vicini a noi. Secondo i dati Eurostat relativi agli stipendi lordi, tra il 2002 e il 2005, in Italia le retribuzioni sono cresciute solo del 5,4 per cento. Peggio di noi hanno fatto solo Germania, Polonia e Malta. La media dell’Ue a 15 è del 10,8 per cento. Più alti i valori nel Regno Unito (+10,5 per cento) e in Spagna (+6,1 per cento).

Senza contare poi che in questi anni in Italia, la disparità retributiva è cresciuta in maniera significativa. Certo non è solo un fenomeno italiano. Secondo i dati contenuti nell’Employment Outlook 2007, pubblicato a giugno di questo anno, tra il 1995 e il 2005 in 18 dei 20 paesi dell’Ocse, le retribuzioni del dieci per cento dei lavoratori pagati più profumatamente sono cresciute così da aumentatare la distanza da quel dieci per cento che rimane nel fondo della scala degli stipendi. A rimetterci quindi sono quei lavoratori che stanno all’interno dell’arena globale del mercato del lavoro con meno strumenti di altri e che rischiano di avere posizioni sempre più deboli.

Ma in Italia le cose sembrano peggiori che altrove. Solo Giappone e Regno Unito hanno mostrato un andamento simile al nostro. Da noi, dal 2001 al 2006, la proporzione tra le retribuzioni delle figure dirigenziali e quelle impiegatizie è cresciuta passando da un rapporto di tre a uno fino ad un rapporto di quattro a uno (vedi qiu). Anche, o persino, l’Ocse ha raccomandato i governi nazionali "di fare di più per ridurre le diseguaglianze".

A questo va aggiunto che i salari d’ingresso - come ha messo in evidenza Draghi - sono sempre più magri e i giovani nei primi anni di lavoro sono costretti ad accettare retribuzioni che difficilmente superano i mille euro mensili con contratti atipici la cui natura "flessibile" non sempre trova giustificazioni. Retribuzioni quasi mai agganciate ad alcun minimo contrattuale di categoria. Giova infine ricordare che, ad agosto 2007, erano in vigore, per la parte economica, solo il 27 per cento dei contratti nazionali mentre il 73 per cento aspettava ancora il rinnovo. In un mercato del lavoro drasticamente mutato, sembrano sempre più necessari nuovi, e più efficaci, strumenti di tutela del potere d’acquisto dei lavoratori.


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