IFE Italia

Rapporto ISTAT sulla povertà in Italia

di Loredana Massaro
venerdì 7 settembre 2012

"Rapporto ISTAT sulla Povertà in Italia (2011): leggerlo non è facile, ma rende una visione complessiva drammatica. La speranza e la possibilità è in una cultura del riequilibrio e della solidarietà"

dalla rivista on line di "NOI DONNE" http://www.noidonne.org/

E’ stato pubblicato quest’estate il Rapporto ISTAT sulla Povertà in Italia relativo all’anno 2011. Leggerlo non è facile. Si tratta di dodici pagine che tra percentuali, numeri e schemi rendono una visione complessiva della povertà nel nostro paese. E malgrado spesso le statistiche non rendono giustizia della complessità delle situazioni reali, i dati tuttavia parlano chiaro.

Proviamo a chiarirli insieme. Nel 2011, l’11,1 % delle famiglie è relativamente povero e il 5,2% lo è in termini assoluti. La soglia di povertà relativa si calcola su un campione di una famiglia di due componenti con reddito pari a 1.011 euro. La povertà assoluta è calcolata in base alla spesa minima necessaria ad acquisire i beni e i servizi considerati essenziali per una famiglia, atta a conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. In genere la soglia di povertà assoluta varia in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza.

Nel 2011 sono 2 milioni 782 mila le famiglie in condizioni di povertà relativa cioè 8 milioni 173 mila persone povere, il 13,6% dell’intera popolazione. Si divarica la tra famiglie in cui non vi sono redditi da lavoro o vi sono operai e famiglie di dirigenti o impiegati. Nelle prime aumenta la povertà, nelle seconde il contrario. La povertà aumenta quando il capofamiglia non lavora più o è in pensione, se il capofamiglia ha un basso profilo professionale e bassi titoli di studio. Peggiora la condizione delle famiglie con un figlio minorenne a carico, in particolare al Centro; le coppie con un figlio hanno un’incidenza di povertà relativa che passa dall’11,6% al 13,5%. Un aumento di povertà si registra anche tra gli anziani, nel 90% anziani soli o coppie di anziani. Un leggero miglioramento solo laddove la pensione percepita riesce a sostenere il peso economico di chi non lavora, spesso sono giovani senza lavoro e in questa situazione, tanti di loro non tentano più di cercarlo.

Aumenta la povertà nel Mezzogiorno che passa dal 21,5% al 22,3%. La spesa media delle famiglie povere del Sud si attesta a 786 euro di contro agli 827 euro del Nord e agli 809 del Centro. Sempre nel Mezzogiorno è segnalato un peggioramento in quelle famiglie dove non esiste un reddito né da ritiro dal lavoro né da occupazione; qui l’incidenza di povertà assoluta passa dal 40,2% al 50,7%. Nel Mezzogiorno le grandi discriminanti relative alla povertà sembrano essere profili professionali bassi e titoli di studio bassi. Famiglie di dirigenti o impiegati con almeno un diploma di scuola media superiore godono di maggiore disponibilità economica. La povertà è dunque meridionale. Chi ha basso profilo professionale e bassi livelli di istruzione è maggiormente escluso dal mercato del lavoro.

Livelli di povertà superiori al 50% si osservano tra le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro: anziani soli senza una storia lavorativa o persone escluse dal mercato del lavoro che vivono in coppia con figli o che sono genitori soli. E’ probabile si tratti di persone che vivono di soli sussidi sociali o di disoccupati o licenziati che lo stato lascia senza aiuti di alcun genere. Le situazioni più gravi si osservano in Sicilia e in Calabria. Le famiglie con cinque o più componenti sono in condizioni di povertà relativa pari al 28,5%, al Sud raggiungono il 45,2%. Più povere quelle con figli minori a carico. Evidentemente è questa la risultante delle scarse politiche sociali e di aiuto e sostegno alle famiglie, quasi inesistenti in Italia. Al Nord sono più povere le famiglie costituite da coppie di anziani e le famiglie monogenitore, mentre è meno diffusa tra i single e le coppie giovani senza figli. La diffusione della povertà è superiore tra le famiglie con a capo un operaio rispetto a quelle con a capo lavoratori autonomi o imprenditori o liberi professionisti. Grave al Nord la situazione delle famiglie senza occupati dove la povertà si attesta al 38,2%. Si tratta di coppie con figli adulti dove una pensione proveniente da cessata attività lavorativa rappresenta l’unica fonte di reddito familiare. In generale le famiglie con occupati mostrano incidenze di povertà più contenute, ma solo se si tratta di famiglie con un figlio, se i figli sono due, tre o più non sempre i redditi da lavoro o da pensione garantiscono risorse sufficienti a sostenere il peso economico dei componenti a carico.

Le famiglie povere sono infine 1 milione 272 mila famiglie. Le famiglie “sicuramente” non povere sono il 90,5% al Nord, l’87,5% al Centro e il 63,8% nel Mezzogiorno, tra queste esistono molti gruppi a rischio. Le famiglie in situazione di povertà assoluta sono 1 milione e 297 mila con segnali di peggioramento in caso di disoccupazione, pensionamento, in cerca di occupazione, basso livello professionale, basso titolo di studio, coppie con un figlio minore a carico. In questo Rapporto dell’ISTAT, che abbiamo esaminato, i campioni non prendono in considerazione le differenze tra uomini e donne, ma sono intuitive e facilmente deducibili da chi ha un po’ di dimestichezza circa la condizione sociale delle donne in Italia. Le donne hanno più difficoltà a trovare un impiego, se lo trovano sono spesso inquadrate in profili professionali più bassi, difficilmente sono dirigenti o imprenditrici. Molte anziane non hanno una storia lavorativa e vivono della sola reversibilità del marito. Per quanto riguarda il livello di studio, sono le donne, oggi soprattutto le ragazze, a studiare maggiormente e a raggiungere maggiori livelli di scolarizzazione e quindi sono anche quelle che patiscono una maggiore frustrazione all’interno di un mercato del lavoro così ristretto e disorganizzato e che offre poche opportunità di impiego.

Sul versante affettivo invece incide il fatto che se si fanno figli ci si espone fortemente al rischio di povertà e questo anche se si decide di avere un solo figlio; lo confermano i dati sulle coppie con un solo figlio minore a carico. Restare single o stare in coppia ma senza formare una famiglia, è auspicabile per poter avvicinarsi alla condizione di “sicuramente” non poveri. Questo dato attesta la forte riduzione di libertà e di scelte autonome affettive che le donne possono fare in merito alla propria vita. Le donne anziane a carico del marito, quelle in pensione con figli a carico disoccupati, quelle occupate con figli a carico e quelle in cerca di prima occupazione sono “donne povere”.

Questi dati così avvilenti, sembra suonino anche come avvertimento per le giovani su come regolarsi nel loro futuro più prossimo. Ma sul lungo periodo? NOI DONNE auspica che al più presto in Italia ci sia una inversione di rotta. Che il lavoro torni ad essere non una zavorra da tirarsi dietro a fatica ma un valore atto a realizzare ogni singolo individuo, il benessere e la vera ricchezza della nazione e il primo motore di sviluppo sociale innanzitutto e poi anche di ripresa economica. Che i bambini tornino ad essere la speranza del mondo.

Ma questo può realizzarsi solo se tutti contribuiranno al risanamento del paese secondo le proprie risorse e il proprio reddito. Non deve essere questo un atto di bontà, di elemosina o misericordia ma un obbligo imposto per legge, soprattutto in Italia dove evasione, corruzione e criminalità hanno un’incidenza molto alta. Instaurare una “nuova cultura”, una cultura del riequilibrio e della solidarietà è la nostra vera sfida, l’impegno prioritario. Sono le giovani e i giovani la vera risorsa del futuro, il nostro vero sogno, perché la povertà è solo una costruzione dell’uomo, è il frutto del suo egoismo e del suo individualismo, della sua rabbia e del suo dolore ma si può sconfiggere.


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