IFE Italia

Chi ha paura della morale laica

di Michela Marzano
mercoledì 26 settembre 2012

Michela Marzano insegna Filosofia morale presso l’università Paris Descartes.

Dal quotidiano "La Repubblica" del 4 settembre 2012

Si può insegnare la morale come si insegna la grammatica o l’aritmetica? Spetta alla scuola pubblica spiegare ai cittadini di domani “cosa è giusto”, oppure uno stato liberale non dovrebbe permettersi di intervenire nell’ambito del “bene” e del “male”?

In Francia, in questi ultimi giorni, il dibattito sulla morale a scuola è estremamente vivo. Visto che, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, il ministro dell’Educazione Vincent Peillon ha detto che il compito della scuola non può più essere solo quello di trasmettere una serie di nozioni, ma anche quello di educare all’etica, per permettere ai più giovani di capire che «alcuni valori sono più importanti di altri: la conoscenza, l’abnegazione, la solidarietà, piuttosto che i valori del denaro, della concorrenza e dell’egoismo».

E così il linguaggio dei valori, rifiutato per anni dalla sinistra in quanto sinonimo di un ritorno all’ordine morale, fa la sua comparsa “scandalosa”. Provocando polemiche. Rilanciate, all’indomani delle dichiarazioni di Peillon, dall’ex- ministro del governo sarkozista Luc Chatel, che accusa il socialista di utilizzare argomenti “ pétainistes”. Chiedere alla scuola di inculcare nei giovani la morale, perché il risanamento di una nazione non può essere solo materiale, ma anche spirituale, significa, per Chatel, fare un passo indietro nella storia: solo il Maresciallo Pétain, negli anni 1940, aveva osato fare dichiarazioni di questo genere.

Come se parlare di decadenza spirituale fosse all’appannaggio della destra. Oppure della Chiesa. Visto che anche da parte del mondo cattolico si sono sollevate alcune obiezioni, per paura che questi famosi valori da insegnare non siano in conformità con il magistero della Chiesa. Ma di quale morale stiamo allora parlando?

Per Peillon, la sola morale che la scuola può insegnare è una “morale laica”. Non si tratta di tornare alle nozioni tradizionali di “patria” e di “famiglia”, né ai concetti di “ordine” e di “disciplina”, ma solo di stimolate la capacità di ragionare, di dubitare e di criticare dei più giovani. È per questo che a scuola si dovrebbe tornare a parlare di libertà, di rispetto, di dignità e di giustizia. Come non dar ragione al ministro dell’educazione, quando si sa che anche solo per formulare correttamente un giudizio critico si devono avere alcune basi? Certo, all’era dell’autonomia individuale, qualunque forma di ritorno al paternalismo sarebbe incongrua.

Non si tratta di dare agli studenti un breviario delle azioni da compiere e di quelle da evitare, né di insegnare cosa si debba o meno pensare della vita, della morte, o della sessualità. Si tratta solo di spiegare il significato preciso dei valori che giustificano l’agire umano. Nozioni come il rispetto, la dignità, la responsabilità o la libertà, che sono alla base di ogni etica pubblica contemporanea, non possono essere utilizzate a casaccio. Ognuna di loro ha una propria “grammatica”; per utilizzarle correttamente si devono conoscere le regole del gioco linguistico.

Ecco quale è lo scopo della scuola oggi: insegnare di nuovo ad utilizzare correttamente le parole della morale per permettere l’organizzazione del “vivere-insieme”; evitare che alcuni radicalismi religiosi interferiscano nella sfera pubblica; alimentare il dibattito democratico, senza che la violenza prenda il posto della critica. Esattamente il contrario di ciò che voleva fare Pétain. Ma anche l’opposto di quello che sognerebbero oggi i nuovi integralisti della morale.


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