IFE Italia

Verso il seminario di IFE Italia "Donne di fronte alla crisi economica ed alla mutazione del sistema di welfare"

di IFE Italia
sabato 19 gennaio 2013

Ecco il testo condiviso dal Direttivo di IFE Italia, che tematizza il seminario del 2 febbraio 2013 a Bergamo

Donne di fronte alla crisi economica ed alla mutazione del modello di welfare

Seminario interno di IFE Italia

Bergamo 2 febbraio 2013

Testo di tematizzazione dell’incontro

Premessa

Al Forum Sociale Europeo “Firenze 10+10” dello scorso novembre nell’atelier “Donne di fronte alla crisi, al debito ed alle politiche di austerità: pratiche di resistenza e alternative femministe” le donne greche hanno denunciato che nel loro paese il sistema sanitario pubblico, ormai al collasso per le “austere” politiche di classe imposte dalla Troika europea, non garantisce più l’assistenza ospedaliera al parto , il cui costo (intorno ai 1500 euro) deve essere coperto integralmente dalle donne stesse.

Qualche settimana fa due lavoratrici dell’ospedale San Raffaele di Milano sono salite sul tetto per rendere visibile la loro lotta in difesa del posto di lavoro messo a rischio dai debiti, cumulati dalla precedente gestione della struttura (Don Verzè), che l’attuale proprietà (gruppo Rotelli) vuole scaricare sulle lavoratrici e sui lavoratori ridimensionando fortemente gli organici e con essi la qualità del servizio offerto.

Il governo Monti nelle ultime due settimane, per bocca dello stesso premier, ha sostenuto che, stante le dimensioni del debito pubblico e l’obbligo del pareggio di bilancio posto addirittura in Costituzione, le e gli italiani devono abituarsi all’idea che lo Stato non possa garantire la coperatura dei costi del sistema sanitario pubblico.

Qualche giorno fa infine è stata riproposto dal ministro della sanità il superamento dei ticket e l’introduzione della franchigia, secondo la quale dopo una certa soglia (calcolata su base reddituale) tutte le prestazioni sanitarie di cui si necessita dovranno essere integralmente pagate dalle e dai cittadini.

Pare di poter dire con quasi assoluta certezza che in Europa, divenuta l’epicentro della crisi del modello neoliberista, i sistemi pubblici di protezione sociale (sanità ed educazione in primis), dentro i quali sono cresciuti intere generazioni, sono minacciati se non addirittura a rischio di estinzione. Inquieta ricordare che nella scorsa estate è circolato un testo del Fondo Monetario Internazionale intitolato “I rischi della longevità” secondo il quale il costante aumento, in Occidente, dell’aspettativa di vita risulta essere, in tempi di crisi, poco “conveniente” al mercato …..

La messa in discussione dei sistemi pubblici di welfare mette a rischio la democrazia stessa (come abbiamo sostenuto più volte come IFE Italia, concordando con quanti/e hanno sottolineato questo aspetto) perché quando si spezzano i fili fra questione democratica e questione sociale, quando il lavoro diventa merce così come la salute, l’istruzione oi beni comuni, quando il mercato è la misura non solo dell’economia ma della vita stessa, le ineguaglianze sociali si approfondiscono alimentando sentimenti quali l’insicurezza,la pura, il rancore, l’invidia che possono consentire il riapparire in Europa di demoni antichi ….. Pertanto, a partire dalla natura sistemica e dalla portata storica della crisi attuale, si pone all’ordine del giorno la necessità di comprenderne la logica per svelare la violenza intrinseca e predatrice che può condurci verso la barbarie. Come femministe di IFE Italia vogliamo, in questa prospettiva e dopo aver riflettuto sulle trasformazioni del lavoro produttivo e di riproduzione sociale/domestica/biologica, analizzare l’intreccio fra crisi economica/precarizzazione del lavoro/decostruzione dei sistemi pubblici di protezione sociale, a partire da quello sanitario, per meglio comprendere i processi in atto e proporre, se ne saremo capaci, qualche alternativa.

1) Il quadro generale

1.a) Alcuni dati.

· Con le due manovre finanziare del 2011, come ben descritto da Silvana Cesani, assessora al Comune di Lodi ed attivista di IFE Italia, “le risorse a disposizione del sistema delle autonomie locali, (comuni, province, regioni) tra il 2011 e il 2014 verranno tagliate per più di 40 miliardi di euro: 12 miliardi in meno ai comuni, 2,8 alle province, 27 alle regioni (sanità). A questi si aggiungono i tagli prodotti dalle nuove manovre del governo Monti e la mannaia del patto di stabilità che mette in ginocchio tutti i Comuni”: · alle manovre di cui sopra vanno aggiunti i tagli già operati ai Fondi nazionali per le Politiche Sociali/familiari/giovanili che, per fare alcuni esempi, riguardano tra l’altro :

  • il fondo nazionale politiche sociali (decurtate di un milione di euro nel 2012 quelle che sarebbero dovuti arrivare ai Comuni e al terzo settore per i piani socio-sanitari di zona)
  • il fondo nazionale non autosufficienza: negli anni 2009-2010 erano 400 milioni annui, totalmente cancellati nel 2012;
  • il fondo di sostegno alla famiglia: nel 2008 era di 330 milioni, nel 2012 di 53;
  • il fondo per l’inclusione e per l’immigrazione: nel 2008 c’erano 100 milioni nel 2012 zero.

Un ulteriore elemento peggiorativo della situazione riguarda il pareggio di bilancio imposto a livello europeo e inserito repentinamente in Costituzione. L’obiettivo deciso a livello europeo, utilizzando lo strumento del pareggio di bilancio è quello di portare il deficit di tutti gli stati al 60% entro i prossimi 20 anni. Il debito pubblico che grava sul nostro Paese costringe al pagamento di interessi nella misura del 120% sul PIL mentre l’introduzione del pareggio di bilancio obbliga a tagli consistenti della spesa pubblica ( per l’Italia parliamo di 48,5 miliardi nel 2012 , 75,6 nel 2013 e 81,3 nel 2014!) . La sanità sembra nel mirino ( si veda “Il sistema sanitario in controluce” Rapporto 2012/Fondazione Censis, Cergas - Bocconi) dei prossimi tagli “perché dei 295 miliardi di spesa pubblica ritenuta “aggredibile” o “ rivedibile” nel medio periodo, la sanità ne copre circa un terzo”. Per garantire il pareggio di bilancio quindi nel giro di 2-3 anni il sistema sanitario pubblico potrebbe essere non più sostenibile. Come appunto sostenuto dal premier Monti.

1.b) Le trasformazioni del sistema.

· La modifica del Titolo V della Costituzione (L. 3/2001) ha introdotto la regionalizzazione di alcune competenze in materia sanitaria, socio-sanitaria e sociale, riducendo significativamente il ruolo Stato sia come regolatore del sistema sia come erogatore di servizi. L’introduzione del principio di sussidiarietà nella gestione dei servizi) ha determinato la presenza di una pluralità di soggetti “erogatori” (cooperative sociali, associazionismo no profit, fondazioni, …) finanziati con denaro pubblico. Il modello di riferimento è stato quello lombardo, cioè la “sussidiarietà in salsa ciellina” che richiamandosi alla dottrina sociale più integralista della chiesa cattolica ha postulato l’equiparazione fra soggetto pubblico e privato sostenendo che chiunque svolga una funzione pubblica è da considerarsi “de facto” soggetto pubblico (superando dunque a piè pari l’importante distinzione fra natura e funzione del soggetto erogatore). La sussidiarietà in chiave ciellina ha avuto altresì un risvolto familista in senso deteriore: la famiglia non è stata sostenuta in quanto luogo privilegiato di relazioni affettive ma è stata considerata strumentalmente uno degli “erogatori” di servizi;

· la precarizzazione del lavoro salariato ha fatto saltare lo schema del “salario complessivo” ,nelle sue forme di salario diretto , sociale (rete pubblica dei servizi), differito( pensioni). L’affermazione “pago le tasse per avere in cambio i servizi” oggi è in larga parte obsoleta. Al contrario oggi si pagano le tasse per contenere/sanare il debito pubblico;

· il lavoro precarizzato ha fatto altresì diminuire la base materiale ( il numero di coloro che pagano le tasse) su cui poggiava il sistema di protezione sociale. Una base, in Italia, quasi completamente coincidente con il numero delle e dei lavoratori dipendenti vista la percentuale di evasione fiscale. La crisi economica, con l’esponenziale aumento di licenziamenti, mobilità, cassa integrazione acuisce formidabilmente la situazione generale.

1.c) La dimensione europea delle trasformazioni in atto.

· La sottoscrizione, nel 1997, del patto di stabilità o "Trattato di Amsterdam" cioè l’accordo, fra i paesi membri dell’Unione Europea, che riguarda il controllo delle politiche di bilancio pubbliche, al fine di rafforzare il percorso d’integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht, che nei fatti riduce le risorse a disposizione degli Enti Locali costringendoli a ridurre la rete territoriale dei servizi pubblici alla persona;

· l’introduzione della cosiddetta “regola d’oro” (una delle regole contenute nel Fiscal compact, il patto di bilancio recentemente firmato da tutti i Paesi dell’Unione europea) ovvero il pareggio di bilancio introdotto in Costituzione con legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 aprile 2012) che obbliga lo Stato ad “assicurare “l’equilibrio” tra quello che incassa e quello che spende. Se si considera che secondo il Fondo Monetario Internazionale,l’Italia non raggiungerà il pareggio di bilancio almeno fino al 2017, si può immaginare quanto sarà drammatico il taglio alle spese pubbliche a sostegno del sistema di welfare. I dati citati poco sopra ne sone triste conferma.

2) Le donne al centro dell’uragano.

Il processo di femminilizzazione del lavoro, inteso sia come aumento quantitativo di manodopera femminile ( anche in Italia nonostante il gap fra generi sia rimasto più alto rispetto alla media europea) sia come generalizzazione delle condizioni di lavoro storicamente prerogativa delle donne (part-time, flessibilità, precarietà, bassi salari) è stato una delle caratteristiche strutturali del modello neo-liberista affermatosi negli ultimi 30 anni ed oggi, in occidente, investito da una crisi profonda.

Come IFE Italia, sulla scorta delle riflessioni condivise, ci siamo dette che la crisi economica avrebbe scombinato le carte producendo una drastica riduzione dei posti di lavoro salariato (licenziamenti, ristrutturazioni, delocalizzazioni, chiusure di aziende), un’ulteriore scomposizione dei diritti del lavoro con la diffusione sempre più consistente di lavoro precario, instabile e sotto pagato insieme ad un aumento esponenziale del lavoro gratuito di riproduzione sociale determinato dal fatto che la crisi economica, i vincoli di Maastricht e la follia del pareggio di bilancio in Costituzione avrebbero costretto gli Stati ad un draconiano taglio dei sistemi pubblici dei servizi alla persona. C’eravamo anche dette che la crisi economica avrebbe acuito le condizioni di disparità fra donne ed uomini a partire dalla constatazione che già nel 2007 il rischio di povertà delle donne (17%) superava quello degli uomini (15%) e che il divario era particolarmente marcato tra le persone anziane (22% delle donne rispetto al 17% degli uomini) e nelle famiglie monoparentali (34%).

Tutto ciò sta puntualmente avverandosi determinando un aumento del lavoro di cura e di riproduzione sociale gratuiti a carico del genere femminile e, sempre a scapito delle donne, una considerevole contrazione della possibilità di occupazione stante la diminuzione dei posti di lavoro nei servizi pubblici laddove la manodopera femminile è sempre stata significativamente alta.

Mai come ora è dunque fondamentale tenere sempre presente l’’intreccio fra lavoro produttivo e “riproduzione sociale /biologica/domestica”. In caso contrario si rischia di non comprendere appieno la natura della crisi attuale consentendo che venga utilizzata per riaffermare un “ordine gerarchico”, di genere e di classe, sia nei rapporti produttivi che in quelli sociali. Per esempio, l’intreccio fra lavoro produttivo e “riproduzione sociale/biologica/domestica” consente di capire meglio la natura delle politiche di “austerità” utilizzate dai governi nazionali e dalla Commissione europea per rispondere alla crisi. Politiche il cui obiettivo, di genere e di classe, è quello di tagliare tutele, diritti, servizi e reti di protezione sociale. Cioè tutto ciò che, in Europa, aveva reso meno difficile la vita delle donne ed alluso,quantomeno, ad una possibile socializzazione dei lavori di riproduzione sociale e domestica.

Ed al centro anche del conflitto.

Queste considerazioni però non devono tradursi in vittimismo o rassegnazione. Al contrario noi crediamo che mai come oggi le donne siano al centro del conflitto scatenato dai poteri “forti” e poiché il femminismo “le ha rese soggettivamente meno disponibili e pazienti, esse possono divenire un soggetto collettivo capace di trasformare l’esistente” (come scrivevamo nel testo che ha tematizzato l’incontro del forum sociale europeo di Firenze “10+10”). Per farlo però c’è bisogno che si comprenda meglio e di più la realtà che ci circonda e la gravità del contesto in cui viviamo. Comprendere meglio e di più per agire consapevolmente, dando corpo ad un femminismo capace di misurarsi con le sfide che questa crisi pone.

3) Provare ad agire, almeno sul piano dell’analisi.

Per questo, come IFE Italia, abbiamo pensato di organizzare un seminario pomeridiano di riflessione e confronto (Bergamo, 2 febbraio 2013, dalle ore 15.00 persso la sede dell’Arci Colognola ).

Il seminario prevede: a)un introduzione da parte nostra sulle dinamiche in atto (a partire da quanto quotidianamente registriamo sul campo); b)un brain-storming fra le partecipanti; c)una parte finale condotta da Giovanna Vertova, economista, e Alessandra Vincenti , sociologa, attraverso la quale definire, sulla base della discussione, le domande da porsi, i nodi da sciogliere e le possibili alternative sui quali impostare un secondo momento, pubblico, di confronto.

Il direttivo di IFE Italia

Gennaio 2013


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