IFE Italia

La donna? Un’invenzione

di Nicla Vassallo
lunedì 2 settembre 2013

La maggioranza di noi esseri umani, non disumani (almeno in apparenza), vive nella convinzione irragionevole di essere femmina o maschio, donna o uomo, convinzione che va di pari passo con quella per cui tra la femmina/donna e il maschio/uomo corrono differenze essenziali - sebbene poi non si sappia bene se idealizzare la donna-madonna o la donna-maddalena, e idealizzare l’uomo che non deve chiedere mai (slogan di uno spot pubblicitario di anni orsono, slogan di un’attualità impressionante) o l’uomo fragile, costretto (dalle donne, of course: sempre loro le colpevoli a partire dalla biblica Eva) a dispensare amore, dolcezza, tenerezza, addirittura a depilarsi (non si depilava pure, tra gli altri, il grande Giulio Cesare?), ovvero a ricusare la propria aggressività, pulsionalità sessuale, predatorietà: a ricusare, in parole povere la propria dura e pura mascolinità.

Eppure pare basta guardarsi attorno, o leggere qualche ostinato volumetto dell’antiquata filosofia femminista, dominante in Italia, quella della differenza sessuale, o quale volumetto «sfumato di grigio», per ricevere conferma della scellerata sicurezza: o sei femmina-donna, o sei maschio-uomo, cosicché se sei femmina (o maschio), donna (o uomo), lo sei per la tua intera esistenza e ciò ti impone di incarnare l’ideale (quando, invece, si tratta uno di un vero e proprio stereotipo, nonché pregiudizio) de la donna, se sei donna, e l’ideale de l’uomo, se sei uomo, il che, tra l’altro, comporta che tu donna non abbia altra alternativa sessuale a quella eterosessuale, con tanto di rapporti sessuali «naturali» e riproduzione «naturale».

Mi spiace: ben poco o risulta naturale in questo nostro mondo, soprattutto culturale, e a chi invoca la naturalità quale principio regolatore delle nostre esistenze, consiglio non la teoria, bensì la pratica: provate seriamente a immaginarvi femmine e maschi nella cosiddetta età della pietra: scommetto che lì vi trovereste ben poco a vostro agio.

La via di fuga non viene concessa. Anche quando si abbraccia un pensiero meno dogmatico, affermando che l’appartenenza sessuale (femmina o maschio) sia biologica e quella di genere (donna o uomo) sia socio-culturale, non solo non riusciamo più a riconoscere gli aspetti socio-culturali del sesso, ma si finisce pur sempre nel ricadere nella convinzione che tutte le donne appartengono al medesimo sesso femminile e tutti gli uomini al medesimo sesso maschile, incoraggiando di nuovo, seppur implicitamente, l’esistenza de la donna e de l’uomo.

Il mio compito di filosofo o filosofa (fate vo- bis) non consiste affatto nell’adeguarmi allo status quo del pensiero in auge, bensì nel tracciare strade nuove, addirittura rivoluzionarie per la nostra arretrata Italia: il Global Gender Gap 2012 la classifica all’ottantesimo posto, preceduta, per esempio, da Cipro, Perù, Botswana, Brunei, Honduras, Repubblica Ceca, Kenya, Repubblica Slovacca e dalla Cina al sessantanovesimo posto. Fare buona filosofia significa innanzitutto sbarazzarsi di stereotipi e pregiudizi, così, penso e sostengo che la donna (oltre che l’uomo) non esista, che sia una mera invenzione, poiché con l’articolo determinativo si vuole catturare un’entità universale che non c’è, un’entità deleteria nel costringerci ad azzerare le tante differenze che corrono tra le stesse donne, obbligandole a comportamenti e competenze uniformi, a precisi tratti psico-fisici, ruoli, atteggiamenti, vincolandole tradizionalmente e negativamente a irrazionalità, passività, naturalità, soggettività, mentre agli uomini vengono riservate positivamente razionalità, attività, culturalità, oggettività. E a salvarsi non è il corpo delle donne. Lo credo e lo scrivo da anni.

E da anni provo nausea per la sequela martellante di immagini de la donna perfetta, con un corpo perfetto, che tutte le donne dovrebbero possedere e che le conduce a provare sensi d’inferiorità e di colpa. Eppure - l’ho ben capito - se si sottraggono a inseguire l’ideale de la donna, troppe donne immaginano di correre il rischio di perdere la propria credibilità, se non addirittura la propria identità.

Identita? Stando alla mia filosofia, la nostra identità personale ci rende unici, diversi da ogni altro essere umano, perciò non si perde la propria identità, anzi la si sviluppa, quando ci si rifiuta di adeguarsi al modello costrittivo della donna.

Non mi ritengo una filosofa esente dall’osservazione dei fatti. Cosicché, se, da una parte, reputo innegabile che la donna sia un’invenzione e che tra le donne corrano di fatto tante differenze (cosa accomunerebbe una prostituta bambina a una bambina destinata a diventare regina?), dall’altra constato, purtroppo e altrettanto innegabilmente, che le donne vivono in società androcentriche, ove sperimentano su di sé varie forme di assoggettamento, con l’assoggettamento sessuale che di frequente prevale su ogni altro.

Benché spesso lo si nasconda, ogni donna subisce, in modi diversi, in diverse misure, molestie, pratiche, politiche, violenze sessuali, a ogni donna vengono attribuiti doveri erotici, procreativi e riproduttivi, ogni donna sottostà ad altrui proiezioni, dettate da interessi sessuali, interessi che hanno inventato la donna, interessi codificati in diverse religioni, spiritualità, sistemi politico-economici, vecchie filosofie.


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