IFE Italia

Prato. La Donna derubata del nome

di Stefania Cantatore (UDI NAPOLI)
martedì 3 dicembre 2013

Riceviamo dalla mailing list e volentieri pubblichiamo.

Otto persone senza nome sono morte a Prato, tranne una, a causa di un incendio sul lavoro. Se si può chiamare lavoro. Il lavoro è una facoltà, come lo è l’amore, come lo è il generare, come lo è spostarsi. A causa del furto dei diritti, l’esercizio delle facoltà umane diventa troppo spesso causa di morte. Una delle vittime del rogo di Prato ha proteso un braccio fuori da una finestra, a cercare di liberarsi dalla trappola-fabbrica, e invece della via di fuga ha trovato un’inferriata. Quella persona col braccio proteso, nella sua morte atroce, dà vita all’emblema, non del lavoro, ma della schiavitù. Di fronte a tanta evidenza, non si possono aver dubbi sulla parola da usare. Se però, per la logica della riduzione dei costi, è il lavoro regolare ad uccidere, come uccide, il vocabolario della politica si inceppa. Eppure il lavoro è un diritto ed è l’unità di misura della qualità della vita. La qualità dell’esistenza non può non essere misurata sulla qualità dei mezzi per provvedere ai bisogni. Se come ora il lavoro retribuito è poco, quel poco che c’è diventa scadente, perché è lì che la minaccia della disoccupazione si trasforma in ricatto. Il lavoro delle donne è un paradigma di tutto questo sia quando nascosto e non retribuito, sia quando luogo di ricatto perché “vanno contenuti i costi”. E il lavoro si sta trasformando in una servitù sempre più diffusa, che viene importata ed esportata molto più facilmente quando le persone sono private del nome. Come le vittime di Prato. Non bisogna dire che quelle sette, più una, vittime ci hanno dato una lezione. Non ha fatto scuola la tragedia della Thyssenkrupp, dove chi è morto aveva un nome, non farà scuola questa tragedia di senza nome. Né fanno scuola le tragedie diluite, e per questo enormi, della Terra dei fuochi e di Taranto. Per la politica, da quella delle grandi intese fino al M5S, è sempre tempo di finte guerre dove, come in quelle vere, la vita “degli altri” vale poco. La vita delle donne, all’interno di ogni elemento sociale, è valutata ancora meno del poco. Ma la valutazione non è il valore: sono infatti le donne ad aver proposto da protagoniste e in termini radicali una vertenza sui diritti umani, da protagoniste. È la nostra lotta contro la violenza sessuata che fa di quello in cui viviamo un sistema iniquo dove la vita vale poco. È una lotta di cui essere protagoniste e non comprimarie, perché troppe volte nella lotta di tutti è venuto il momento nel quale “i giusti” hanno escluso una parte fingendo di nominarla “nel tutto”. Una parte che si chiama donne. Ci siamo decise a chiamare le cose che ci succedono per nome. Per nome vogliamo chiamarci perché non siamo la donna, ma le donne. Si deve dire e lo diciamo: quello che è avvenuto a Prato è l’effetto della tolleranza verso l’illegalità dei capi. Quelle Persone vittime rappresentano una strage del malgoverno intenzionale. A Prato, tre giorni fa, in un campo coltivato è stato casualmente dissotterrato da un trattore un corpo di donna, di una giovane donna, che era lì da mesi chiuso in un sacco nero. Il caso non ha fatto poi rumore: era cinese e forse non è stato il marito ad ucciderla. Un femminicidio che il potere non chiamerà così. Forse un incidente sul lavoro, o era forse una prostituta. Succede, in un universo dove le regole sono dettate in nome degli uomini astratti, in nome dei ruoli e non delle Persone. Come alle sette persone uccise dalla caduta delle regole, bisogna restituire il nome, il suo, a quella donna, altrimenti lei e loro saranno morti come mai esistiti. Questo si deve: restituire il nome, almeno, per interrompere la nauseabonda consuetudine di svisare i nomi, di rinominare senza affetto cancellando storie e identità, di chiamare per colori e provenienze. Derubati. Per noi Lei sarà la Donna derubata del nome, finché non lo conosceremo. Per noi saranno, ognuno, Persona derubata del nome, finché per ognuno non lo conosceremo. Se mai li conosceremo.


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