IFE Italia

I veri diritti di mamma e papà

di Michela Marzano
martedì 15 aprile 2014

A proposito di quanto stabilito dalla Consulta sulla fecondazione eterologa

dal sito http://www.fondfranceschi.it/cogito...

Con la decisione presa ieri dalla Consulta sulla fecondazione eterologa è caduto l’ultimo paletto imposto dalla tristemente celebre legge 40. Non si potrà più impedire la fecondazione a chi, per avere figli, ha bisogno di ricorrere a un dono di gameti (ovuli o sperma).

E non si potranno quindi più discriminare alcune coppie sterili. Perché d’altronde focalizzarsi sui legami genetici esistenti o meno tra genitori e figli senza accettare l’evidenza del fatto che non è certo il patrimonio genetico che rende una donna “madre” o un uomo “padre”? Come diceva lo scrittore francese Marcel Pagnol, quando un bimbo nasce, pesa tre o quattro chili. Poi cresce, e mette su i “chili amore” dei propri “ parents”, termine che in francese designa i “genitori sociali”, da non confondere con la parola “ géniteurs” che indica invece i “genitori biologici”. Ancora una volta, però, l’Italia è vittima di un provincialismo culturale che impedisce a molti di capire che la genetica non potrà mai spiegare la complessità dei legami familiari, e che le questioni “eticamente sensibili” dovrebbero essere affrontate con rigore e lucidità. Ci si immagina che rendere possibile l’inseminazione eterologa significhi trasformare la maternità e la paternità in una sorta di marketing con compravendita di gameti. Si fantastica che il dono di gameti possa introdurre in una coppia il “fantasma dell’adulterio”. Si invoca il primato dell’interesse dei bambini rispetto a quelli degli adulti, ricordando il diritto dei figli a conoscere le proprie origini. Nessuno di questi argomenti, però, è decisivo. Anzi. Basta analizzarli con serenità - guardando anche come gli altri paesi europei hanno affrontato la questione della fecondazione eterologa - per rendersi conto della loro inconsistenza.

Nel momento in cui si organizza il dono di gameti sulla base dei principi di gratuità e di anonimato, come accade ad esempio in Francia già dal 1994, vengono meno molti pericoli: non è la coppia che sceglie i donatori, ma i medici, che decidono sulla base di criteri strettamente sanitari; i donatori non vengono mai remunerati per il dono che fanno e non acquisiscono alcuna relazione giuridica parentale con i bambini; il dono è solo “dono di materiale genetico”, e non ha né “volto”, né “nome”. Per quanto riguarda poi la questione delle origini, basterebbe ricordare la sentenza del 18 novembre 2013 della Corte Costituzionale, in cui si spiega come permettere ad un figlio di conoscere le proprie ori- gini significhi permettergli di “accedere alla propria storia parentale”. Ma quando si parla di storia, non si parla certo di “codice genetico”, a meno di immaginare che il codice genetico ci racconti la storia dei nostri genitori. Quella storia che li ha portati a desiderarci o meno, a volerci crescere e darci o meno affetto, a trasmetterci o meno valori e principi.

Il caso dei bambini adottati, in questo senso, non ha niente a che vedere con quello dei bambini nati grazie ad un’inseminazione eterologa. Nell’adozione, c’è sempre la storia di un abbandono. Storia cui è sicuramente importante avere accesso, anche solo per poter fare il lutto di quest’abbandono. Ma quale abbandono ci sarebbe nel caso di chi è nato grazie ad un dono di gameti? La storia parentale, in questo caso, non è forse quella di chi, sterile, desiderava a tal punto avere un figlio che è ricorso ad un dono di gameti? Chi si oppone con accanimento alla fecondazione eterologa forse dimentica (o fa finta di dimenticare) che non c’è bisogno di ricorrere alle tecniche procreative per trattare i figli come “oggetti” a propria disposizione. Basta desiderare un figlio per colmare un vuoto oppure perché i propri sogni e i propri desideri possano un giorno realizzarsi, per trasformare i figli in “cose”. E lo stesso vale per tante altre motivazioni che spingono ad avere un figlio, che si tratti del conformismo o del desiderio di avere una discendenza.

Ma questo, appunto, vale sempre, non solo nel caso in cui si ricorra ad una fecondazione eterologa. Diventare genitori è sempre complesso: si tratta di accogliere un’altra vita riconoscendola come “altro” rispetto a sé; significa aiutare a crescere chi dipende in tutto e per tutto da noi; significa amare incondizionatamente e senza ricatti. Poco importa, poi, se ci siano stati ostacoli o incidenti di percorso o se, per far nascere un figlio, ci sia stato bisogno di ricorrere ad un dono di gameti. Chi può anche solo immaginare che avere lo stesso patrimonio genetico dei propri genitori metta al riparo dalle difficoltà della vita?


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