IFE Italia

Argentina Bonetti Altobelli

di Renata Borgato
mercoledì 30 aprile 2014

Fonte: http://www.enciclopediadelledonne.it

Per augurare a tutte/i un buon primo maggio pubblichiamo la biografia di Argentina Altobelli, socialista, sindacalista, femminista ante litteram.

Argentina nacque il 2 luglio 1866 mentre il padre stava combattendo con Garibaldi per l’Unità d’Italia. Anche la madre condivideva l’ideale del marito. Quando aveva 7 anni le nacque una sorella ed ella fu affidata allo zio paterno e a sua moglie, che vivevano a Bologna. Visse con loro fino al matrimonio «amata come una figlia». Ciononostante ella osserva «la mia infanzia non fu lieta né spensierata, avevo troppa sensibilità: ogni piccola contrarietà mi faceva soffrire profondamente. Non amavo i giochi infantili; ero invece appassionata alla lettura che preferivo al gioco… appena mi si regalava qualche soldo correvo nella bottega di un libraio… Mi formai una biblioteca, nella quale si ammucchiavano i libri più svariati e poco adatti alla mia età e alle mie comprensioni intellettuali. I miei zii, illetterati, come erano in quel tempo la maggior parte dei romagnoli, non erano in grado di sorvegliare e scegliere le mie letture. A volte si compiacevano della mia erudizione, preoccupati soltanto che non danneggiasse la mia salute. Ero assai gracile e la lettura continua pregiudicava il mio sviluppo fisico, tanto che i miei zii cercarono di impedirmi specialmente la lettura di notte. Per irrobustirmi fisicamente e togliermi la passione della lettura fui, per consiglio medico, mandata in campagna da parenti ove non era possibile trovare o acquistare un libro…» Anche una vicina di casa, molto ascoltata in famiglia, spinse gli zii ad allontanare Argentina dalla lettura «che ella riteneva avere un’influenza deleteria per la mia anima. Essa fece pressione sui miei zii perché non mi avviassero agli studi superiori, ai quali aspiravo». Fu questa vicina, pare, durante la sua assenza, a convincere anche la zia a bruciare i libri.

Dato che non poteva seguire studi regolari, ma era molto curiosa e assetata di conoscenze, Argentina acquisì da autodidatta una notevole, anche se disordinata, cultura. In lei si sviluppò presto il bisogno di impegnarsi a favore degli umili e soprattutto delle donne «il fuoco sacro ardeva sempre in me contro i pregiudizi e le superstizioni che incatenavano il cuore e la mente della donna, e e cercavo il mezzo di manifestare il mio pensiero e fare qualcosa che poteva essere utile alla partecipazione delle donne alle opere civili, oltre a quelle familiari»

Si avvicinò ai giovani mazziniani e ben presto iniziò la sua opera di propaganda: tenne il suo primo discorso importante nel 1884, a Borgo San Donnino dove si inaugurava un monumento a Garibaldi. Successivamente si riconobbe nelle idee socialiste, soprattutto grazie agli scritti di Andrea Costa. «mi attrasse con tutto il fervore ardente e l’entusiasmo giovanile di fare qualcosa di utile e proficuo ad una classe diseredata, e specialmente per le donne, che erano maggiormente avvilite e sfruttate». Dopo due anni di attività propagandistica nel parmense ritornò nel 1886 a Bologna a casa degli zii ed ebbe incarichi importanti. Nello stesso anno conobbe di persona Andrea Costa: «Mi aspettavo una parola di elogio, o meglio, di incoraggiamento per l’opera che davo con tanta fede al socialismo. Egli, invece, guardandomi mi sorrise e mi disse: ‘una figliola come te deve fare all’amore e non occuparsi di politica, perché essa è pericolosa e chissà dove potrebbe trascinarti» E in effetti accadde proprio così: Argentina in breve tempo divenne così nota per la sua attività di propaganda che le venne dedicato un fascicolo nel Casellario politico centrale della Direzione generale di Pubblica sicurezza in cui di lei si dice «si occupa sempre con slancio ed attività speciale nell’organizzazione del proletariato agricolo locale ed è conosciuta prima di tutto nel Basso bolognese. È sempre in giro per vari comuni a catechizzare le turbe che l’accolgono con grande simpatia (specie le donne). Giovane piacente e disinvolta parlatrice, esercita un autorevole ascendente sulle masse ignoranti che l’ascoltano e ne seguono gli ordini e i consigli».

Nel 1889 conobbe Abdon Altobelli, che sarebbe diventato suo marito. Egli aveva 17 anni più di lei ed era scrittore e uomo di vasta cultura : «l’amore aveva fatto breccia nel mio cuore. Avevo avuto simpatie profonde, scacciate con forza di volontà, perché volevo essere libera e indipendente e poter proseguire nelle mie opere, con i miei compagni che mi amavano e mi rispettavano; ma comprendevo che se avessi scelto uno di essi, tutto sarebbe crollato. Abdon era un uomo serio, profondo di studi, simpatico nella conversazione e piacente, sebbene non bello. Lo trovai diverso dagli altri. Tanto diverso che mi penetrò nel cuore profondamente» Dopo due anni di «alterne vicende d’amore» lo sposò e di quel giorno scrisse: «quel giorno fu il più bello della mia vita». Da allora usò sempre il cognome del marito, come peraltro si usava allora. Il marito non solo l’appoggiò nella sua attività, ma, dopo la nascita del primo figlio, Demos, nel 1890, la stimolò a non lasciare l’impegno, come lei sembrava intenzionata a fare per meglio accudire il figlio. E infatti tra il 1890 e il 1905 Argentina Altobelli riprese in pieno l’attività sia di propaganda che di organizzazione delle leghe bracciantili, anche se nel 1892 era divenuta nuovamente madre di una figlia, chiamata Trieste e affettuosamente detta Triestina...

Fece parte del Consiglio Direttivo della Cgdl (Confederazione Generale del Lavoro) fin dalla fondazione e, nel 1901, in occasione del Congresso di Bologna contribuì alla nascita della Federazione nazionale dei lavoratori della terra, una delle più importanti categorie organizzate dal sindacato, di cui fu ininterrottamente segretaria fino al suo scioglimento ad opera del fascismo, nel 1906. Durante il suo mandato, gli iscritti passarono da 75.000 a un milione.

Quanto si sentisse sostenuta dal marito è reso evidente dalle lettere che si scambiavano. È del 1904 una lettera da Berlino dove si era recata per partecipare al Congresso Internazionale delle donne in cui ella scrisse: «so mio caro Abdon quanto è grande il sacrificio che mi fai, ma credi pure che anche per me è stato immenso; e tutto ciò che mi circonda è interessante ma non mi desta entusiasmo per il fatto che tutto il mio cuore, tutta l’Argentina, è per i suoi cari e per il suo ideale»

Nell’ambito della tradizione socialista fu sempre convinta che una giusta posizione della donna nella società fosse direttamente collegabile alla più vasta lotta per la trasformazione dei rapporti sociali che rendevano possibile lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In particolare si impegnò in sostegno del progetto di Anna Kuliscioff per una legge del lavoro delle donne e sostenne sempre che la posizione delle donne fosse la più infelice: «ho sempre ritenuto che la posizione della donna sia stata, e sia tuttora doppiamente subalterna, rispetto sia all’uomo che alla considerazione sociale… il proletariato femminile non dava segni di risveglio. Ciò mi faceva pensare che le donne fossero ancora schiave del pregiudizio e della falsa morale che vorrebbe farne dei ninnoli di lusso nelle alte classi sociali e delle serve nella classe operaia. Bisognava che le donne assurgessero alla coscienza della propria dignità di creature umane. Esse soffrivano più degli uomini le ingiustizie sociali, perché erano pagate peggio degli uomini, e dovevano nutrire in mezzo a mille privazioni i figlioletti procreati nel dolore. Quei moralisti che sogghignavano sulle donne che partecipavano alla vita politica e che le avrebbero volute mandare a fare la calzetta, non pensavano che alle operaie mancavano persino i soldi per comprare il pane ai loro bambini»

Nel 1909 il marito morì e in quello stesso anno Argentina entrò a far parte della Direzione nazionale del Partito Socialista. Si batté per il riconoscimento degli infortuni anche ai lavoratori della terra. Nel 1912 fu tra i fondatori della Cassa Nazionale Infortuni. Continuò la sua attività fino al 1922, quando i fascisti la costrinsero a lasciare le attività politiche e sindacali. Riparò allora a Roma dalla figlia, mantenendosi con umili lavori. La sua coerenza la spinse a rifiutare sdegnosamente la proposta di Mussolini che, in un tentativo di pacificazione con i socialisti dopo il delitto Matteotti, le offerse di fare il Sottosegretario all’Agricoltura: «la vera rappacificazione era il ripristino della libertà».

Nel 1941 morì suo figlio, un dolore terribile, cui sopravvisse solamente per un anno.


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