Femminismo fra cambiamenti e mutazioni
Report del Congresso Femminista "Le feminisme a l’epreuve des mutations geo-politiques", Parigi dicembre 2010
"Negli anni ‘70 del secolo scorso un grande movimento di donne ha attraversato le strade dell’occidente, mettendo a soqquadro l’universo patriarcale che assegnava il privato al femminile ed il pubblico al maschile.....Migliaia di donne coraggiose, insolenti ed immaginative hanno messo a nudo le molteplici forme di oppressione e i mille volti della dominazione maschile, hanno disfatto gli strumenti analitici che supponevano di esprimere la realtà dimenticandosi del “secondo sesso”, si sono inventate nuovi spazi di eguaglianza e libertà, hanno riscoperto (ereditiere che ignoravano di possedere un’eredità) una storia non trasmessa : la lunga storia delle donne, una storia emancipazione ed anche di liberazione, fatta di successi e di cadute, di avanzamenti e di retrocessioni” Comincia così il testo che ha tematizzato il Congresso Femminista “Il femminismo alla prova dei mutamenti geopolitici”. organizzato dal “Mouvement de Liberation des Femmes”, insieme ad altre associazioni di donne e con il patrocinio comunale , che si è tenuto il 3-4-5 dicembre scorso a Parigi, presso il Palais de la Femme. Ho partecipato al Congresso come IFE (Iniziativa Femminista Europea). Ho fatto proprio bene perché è stato molto interessante. (il programma completo si trova sul sito http://re-belles.over-blog.com/) Un filo rosso ha legato le differenti sessioni tematiche attraverso cui si è articolato il Congresso e cioè la consapevolezza che 40 anni dopo quel grande movimento il mondo è profondamente cambiato e che di fronte a questi mutamenti i femminismi non possono che interrogarsi su cosa significhi oggi dirsi femminista. Femminismo e globalizzazione 30 anni di applicazione del modello neoliberista globalizzato hanno mutato le condizioni economiche, sociali, politiche e culturali a livello mondiale sia su un piano di forma che di struttura. Viviamo oggi in un “paese globale” dove convivono uniformismo e desideri identitari e dove le differenze culturali vengono usate per mettere in discussione l’universalità dei diritti. Su questa scena mondiale le donne, e i loro corpi, sono al centro della società e dei conflitti geopolitici. Vengono riconosciuti, almeno sul piano formale, i diritti delle donne ma spesso essi vengono utilizzati per sostenere politiche di ogni sorta : si parla delle donne non con le donne, si parla a nome delle donne ma non si dà loro parola, si desidera di volta in volta dominarle, proteggerle, o liberarle… In questo quadro il congresso ha voluto porre una serie di domande: che cosa significano nel tempo della globalizzazione neoliberista l’”eguaglianza fra i sessi” e la “libertà delle donne”? Come si traduce oggi lo slogan “il nostro corpo ci appartiene” all’interno della divisione sessuata del lavoro fra lavoro produttivo e di riproduzione sociale? Che cosa sono diventate le conquiste delle donne nel “mercato globale” e nel riaffacciarsi di fondamentalismi religiosi? A che cosa servono e come si muovono le istituzioni nazionali e internazionali incaricate delle “politiche di parità”? In un’epoca “post” (post colonialista, post comunista, post modernista,…) cosa deve intendersi per “politica femminista”? Le relatrici chiamate ad animare il confronto esprimevano provenienze professionale, culturali, geografiche e generazionali differenti e ciò ha consentito uno stimolante “pacthwork” intellettuale., se posso dire così. Verranno pubblicati gli atti e quindi non mi soffermo sulle singole sessioni attraverso cui il programma del congresso si è articolato. Mi interessa, al contrario, mettere in luce alcune questioni di fondo, che consentono di dare qualche fondamento teorico ad un femminismo del XXI secolo. Femminismo come categoria di lettura del mondo e come pratica radicale e sovversiva Nell’attuale epoca globalizzata ancora agisce, anche se contraddittoriamente l’onda lunga dei movimenti delle donne degli anni settanta. La globalizzazione neo-liberista ha saputo inglobare “l’emancipazione delle donne” nel proprio orizzonte di senso trasformandola però in uno “dei ritornelli della solita musica “, quella , appunto, dei poteri dominanti. Proprio per questo diventa importante non svuotare il femminismo del suo carattere conflittuale. Il femminismo cioè non deve “accompagnare” i processi in atto ma sovvertirli. Se, al contrario, il femminismo si “accoda” acriticamente alla ripetizione di ritornelli e slogan svuotati del loro carattere conflittuale rischia di non essere più capace di leggere e comprendere la realtà e quindi di non essere più in grado di promuovere un processo di soggettizzazione critica sia a livello individuale (presa di coscienza della propria realtà materiale e simbolica) che a livello collettivo (costruzione di una soggettività politica in grado di leggere il mondo con categorie proprie, promuovere senso condiviso e pratiche conflittuali con l’obiettivo di trasformare l’esistente) Per sviluppare un simile processo di soggettivizzazione, e quindi di politicizzazione, sono necessari nuove “strategie” e un cambiamento di categorie e paradigmi. Ma può esistere una politica femminista? Quale? A questo proposito la filosofa Genevieve Fraisse ( intervenuta l’ultima giornata nella sessione su “quale politica femminista oggi?”) ha proposta interessanti suggestioni che provo a illustrare, sinteticamente, per punti. Una politica femminista oggi dovrebbe: • saper tenere insieme il soggetto e l’oggetto perché nello stesso momento in cui astrattamente si riconosce alle donne lo status di soggetto i loro corpi vengono fatti oggetto di consumo, di scambio, di battaglia ideologica; • risignificare il principio di “eguaglianza”. Oggi questo principio viene utilizzato, in modo strumentalmente “pacificato”, per “falsificare la concorrenza” fra i sessi . Questa risignificazione dovrebbe partire dall’idea che il principio di eguaglianza non è una norma ma “un operatore di pensiero” e “un organizzatore di politica” che va riempito di quel carattere conflittuale che gli ha consentito di animare le lotte delle donne in ogni parte del mondo; • riconoscere e ri-analizzare , nell’oggi, l’ubiquità e la natura della dominazione maschile. Possiamo, per esempio, cominciare a riflettere seriamente sul fatto che, dentro i processi globalizzati che mettono a confronto differenti culture e società, il termine ”patriarcato” non è più sufficiente a “nominare” questa dominazione perché oggi il conflitto fra i sessi non è più “solo” verticale (”in nome del padre”) ma anche orizzontale ( “in nome del fratello”) • riaffermare l’”universalismo” dei diritti senza abbandonare o dimenticare il nostro sesso. Un universalismo, quindi, capace di contenere le contraddizioni, materiali e simboliche, fra l’eguale ed il diverso, fra l’uno ed il multiplo. Un’universalismo che consenta a “tutte le donne del mondo” di considerare il femminismo una “misura comune” , una medesima lotta nella quale implicarsi. Contributi differenti per una causa comune Dalle numerose relazioni e dal dibattito sono venuti altri stimolanti contributi quali la necessità , per le donne, di tenere insieme, in particolare nei paesi arabi, il principio di eguaglianza e quello di libertà, soprattutto la libertà di coscienza. Alcune, fra cui io stessa, hanno invitato a riflettere sullo svuotamento, operato dalla classi dominanti di alcuni paesi europei, del termine”libertà” invitando a riflettere sul desiderio di “liberazione” intesa come processo di risignificazione del nostro impegno per la libertà. Altre ancora hanno insistito sulla necessaria “decostruzione” delle “caricature” e degli stereotipi che pensano sul movimento femminista e che ne condizionano l’azione. Le più audaci si sono spinte a domandare se non è tempo che il progetto femminista entri in una nuova fase di maggior radicalità diventando progetto politico a tutto tondo o se, al contrario, debba restare “per sempre” una componente dei movimenti sociali. Voglio citare , infine , l’intervento della giovane sociologa iraniana Chala Chafiq che rifiutando la distinzione , utilizzata nei paesi arabi e non solo , fra “femminismo islamico” e “femminismo laico” (inteso come “occidentale” ) ha invitato a ritenere l’impegno delle donne in ogni parte del mondo, pur nelle differenti forme e nei diversi contenuti nel quale si articola, come espressione di una medesima lotta. Chafiq si è detta convinta che la realtà è certamente “complessa” ma non necessariamente “complicata” ed ha quindi auspicato un impegno comune indipendentemente dalle provenienze ed appartenenze. E in Italia? Per chiudere una nota personale: alla fine del congresso alcune delle organizzatrici hanno affermato, forse con un po’ di “supponenza” alla francese, che un congresso così non si sarebbe potuto fare in altri luoghi, in particolare in Italia dove la “diaspora” femminista renderebbe difficilissimo un confronto così ampio ed articolato. Il mio inguaribile ottimismo mi fa dire che ciò è vero solo parte. Per questo mi auguro che il “Punto G:genere e globalizzazione” di Genova , del prossimo giugno, possa diventare un’occasione di incontro e di confronto fra le tante amiche che esprimono femminismi differenti ma non necessariamente contrapposti.
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