IFE Italia

2 giugno 1946: le donne votano per la prima volta.

Breve storia del diritto di voto alle donne.
domenica 1 giugno 2014

Il 2 giugno 1946 si vota per il Referendum fra monarchia e repubblica che vede l’affermazione di quest’ultima.

Ed il 2 giugno del 1946 é anche la prima volta che le donne in Italia possono esercitare il diritto di voto.

Festeggiamo entrambi ricordando brevemente la storia del diritto delle donne al voto.

Fonte: www.pbmstoria.it/dizionari/s...

SUFFRAGIO FEMMINILE .

La lotta per i diritti politici scandì le tappe della questione femminile nel corso degli ultimi due secoli. Benché l’origine del movimento femminista risalga all’epoca della rivoluzione francese, alle petizioni inviate da Marie-Olympe de Gouges (1748-1793) all’Assemblea costituente e alla spietata repressione dei primi club femminili ordinata da Robespierre (1793), il tema del suffragio femminile acquistò rilievo nel dibattito intellettuale solo verso la metà dell’Ottocento, in coincidenza con l’emergere del principio di indipendenza economica della donna.

IL MOVIMENTO PER IL DIRITTO DI VOTO.

Antesignane della battaglia per l’emancipazione furono le statunitensi che nella Convenzione di Seneca Falls (1848) avanzarono per prime la richiesta del diritto di voto alle donne. Al termine di una dura campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica orientata, a partire dal 1889, dall’International Council of Women, il suffragio delle donne statunitensi fu riconosciuto solo nel 1920. In Gran Bretagna, il processo fu più rapido. Ammesse al voto per i consigli municipali (1869) e per i consigli di contea (1880), le inglesi, che fin dal 1867 avevano rivendicato la completa parità di diritti politici, furono protagoniste di una battaglia assai violenta, guidata dalla Women’s Social and Political Union (1903), la cui leader fu Emmeline Pankhurst. Il movimento delle suffragette si dimostrò ben presto un’associazione assai attiva e radicale: furono organizzati cortei, conferenze, petizioni, che talvolta sfociarono in disordini, causando arresti e condanne, cui le imputate reagirono con un celebre "sciopero della fame". Nel 1907 le donne furono dichiarate eleggibili alla carica di sindaco, ma solo nel 1918 ottennero il voto politico, che tuttavia fu esercitato in condizione di piena parità con gli uomini a partire dalle consultazioni del 1929. In Francia un’associazione in favore del suffragio femminile sorse nel 1870, alla caduta del Secondo impero, ma l’esercizio concreto del diritto fu concesso soltanto dopo la Seconda guerra mondiale, nel 1945. A parte il caso australiano, dove l’istituzione del suffragio femminile (1903) seguì di poco l’indipendenza, e quello dei paesi scandinavi (Finlandia, Norvegia e Danimarca lo adottarono fra il 1906 e il 1915), nella maggior parte degli stati il diritto di voto alle donne fu riconosciuto dopo la Prima guerra mondiale, quando la terribile esperienza del "fronte interno" aveva ormai alterato i costumi, gli stili di vita e le funzioni economiche femminili, seppellendo definitivamente le consuetudini ancora ottocentesche della belle époque. La legislazione della Russia rivoluzionaria lo recepì nel 1917, quelle di Germania, Austria e Cecoslovacchia nel 1918, la Svezia fra il 1919 e il 1921, l’Ungheria nel 1922, l’Olanda nel 1923, la Finlandia e la Romania nel 1929. Nel 1930, in Germania, le donne elette al Reichstag erano ben 39, contro le 11 che sedevano, in quello stesso anno, nel parlamento di Vienna.

IL VOTO ALLE DONNE IN ITALIA.

In Italia l’organizzazione di gruppi femministi favorevoli al voto politico seguì di poco l’istituzione delle grandi centrali internazionali di cui erano attive animatrici le anglosassoni: il Consiglio nazionale delle donne italiane fu fondato a Roma nel 1903; allo stesso periodo risale l’Alleanza femminile pro suffragio. Già da tempo, tuttavia, gli ambienti intellettuali influenzati dalle idee positivistiche e socialiste avevano cominciato a interessarsi alla questione femminile, benché la sensibilità del legislatore al riguardo continuasse ad apparire assai debole. Nella legge del 1882 l’esplicita esclusione delle donne dal diritto di voto non era prevista, in quanto la loro condizione di minorità politica era ovvia; le leggi sull’elettorato amministrativo, invece, le escludevano sfacciatamente perché, prima dell’unificazione del paese nel Lombardo-veneto e in Toscana, alle donne proprietarie era riconosciuta la facoltà di partecipare alla scelta degli amministratori locali, purché per mezzo di rappresentanti o di una "scheda suggellata". Su questa base fra il 1863 e il 1876 furono presentate varie proposte di modifica alla legge comunale e provinciale del 1859, tutte tendenti a sancire il principio dell’elettorato attivo delle donne possidenti. Ancora nel 1880-1882 con Depretis, e poi nel 1888 con Crispi e nel 1907 con Giolitti, il tema fu affrontato in sede parlamentare, senza tuttavia sfociare in alcun provvedimento legislativo. La questione del voto politico femminile riprese vigore durante il dibattito sul suffragio universale, aperto da Giolitti nel 1912; le resistenze a un allargamento eccessivo della base elettorale furono notevoli anche all’interno dell’estrema sinistra, dove prevalevano i timori di un’eccessiva influenza clericale sulle masse, al punto che solo l’intransigenza di Anna Kuliscioff consentì al Psi di tenere a Montecitorio una posizione coerente con l’impostazione etico-politica della tradizione socialista. Nel 1919 Nitti propose l’allargamento del diritto di voto politico e amministrativo alle donne, ma la crisi del sistema liberale impedì al progetto di approdare all’esame delle Camere. Fu Mussolini, nel 1923, a introdurre il suffragio amministrativo femminile, che tuttavia non trovò applicazione a causa della stessa riforma fascista degli enti locali; le suffragiste che avevano appoggiato il fascismo credendolo una forza di rinnovamento e modernizzazione nazionale videro così la loro aspirazione travolta dal sistematico smantellamento degli istituti di partecipazione individuale alla vita dello stato. Per un pieno riconoscimento dell’elettorato attivo le donne italiane dovettero attendere, dunque, la liberazione del paese dalla dittatura e l’instaurazione della democrazia: nella primavera del 1946 esse si recarono alle urne per la prima volta.


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