IFE Italia

Emancipazione, liberazione, libertà

di Elisabetta Teghil
venerdì 12 dicembre 2014

Pubblichiamo volentieri con il consenso dell’autrice

C’è una domanda fra le tante che occorre porsi, senza giochi di parole, in forma diretta. Perché un decennio di lotte femministe negli anni ’70 permettono ad alcune di accettare il presente omettendone la violenza e la miseria e magari tessendone le lodi? Sicuramente influisce l’aver ripudiato il materialismo storico, il materialismo dialettico, la lotta di classe, la lotta di genere, oggi ritenute obsolete, per cui il punto di approdo è un emancipazionismo liberale, un liberalismo umanitario che santifica lo stato delle cose presenti e, quindi, la vittoria della cultura della stanchezza, della ripetitività e dell’asservimento quando non del silenzio e della complicità.

Si potrebbe disegnare una topografia di questo magma, ma sicuramente spiccano le figure di quelle che dichiarano superato il patriarcato e la società divisa in classi. Magari attraverso il politicamente corretto , la presunta incorreggibilità della natura umana, l’impossibilità antropologica della felicità, per concludere, in ultima istanza, che le donne stanno bene e che ,comunque, sono in un continuo progredire. In definitiva la profondità del genere si è capovolta in un’estrema banalità. Per rispondere alla domanda che ci siamo poste possiamo dire senza se e senza ma che la responsabilità non esclusiva, ma principale, è delle socialdemocratiche e riformiste, il cui pensiero e le cui azioni camminano con le gambe delle patriarche. Anziché prendere consapevolezza della complessità sociale, delle fratture che, per certi versi, si sono accentuate mascherate dietro un cambio di abito di scena, interiorizzano i valori di questa società e ci vorrebbero far girare a vuoto cercando di sopprimere in tanti modi le alternative. Si prestano, così, a perpetuare il dominio di classe e di genere e sono approdate a colonizzare amministrativamente la vita privata, l’esperienza individuale e collettiva. Disoccupazione, precarizzazione, lavoro sempre più monotono, servile, disumano è il paradosso della realtà.

E’ qui il carattere propriamente tragico degli anni che viviamo che ha le radici dentro le condizioni sociali nei rapporti fra gli esseri umani e che, nella sua ultima versione, si manifesta con la femminilizzazione del mondo del lavoro. La violenza, la gerarchia, l’alienazione che era propria della famiglia, oggi viene proiettata e fatta vivere alla società tutta. E’ il principio guida del neoliberismo. Siccome alcuni non hanno dei diritti, questi si tolgono a chi ce l’ha. Il loro impegno è avere legittimazione abrogando il conquistato e rimuovendo e demonizzando il nuovo. Vogliono toglierci quello che è l’assunto fondante del femminismo, il sogno , l’ipotesi, la costruzione di un mondo in cui autorealizzarsi.

L’emancipazione è lo strumento, la liberazione il progetto, la libertà il soggetto. La libertà, solo la libertà, è l’esplicitazione del sapere , delle possibilità intellettuali ed affettive e, quindi, di una vita completamente alternativa al plus-valore capitalistico e alla società patriarcale. La libertà è il presupposto, la condizione di una vita degna di essere vissuta e occasione della costruzione dell’essere. La libertà si afferma, dunque, dentro il rapporto dialettico tra lavoro materiale, lavoro immateriale, lavoro vivo e attività sociale. E’ liberarsi dal peccato, dalla pesantezza del reato e del reale, è sottrarsi agli orizzonti stabiliti dal potere, è produzione di soggettività, è costituzione di nuove realtà, è alternativa totale alla colonizzazione neoliberista della vita. E’ la capacità, il desiderio di rompere con il comando patriarcale e di dispiegare una vita affettiva, autofondante, insieme autoappagante ed autonoma.

Questa società dà per scontate e ci fa interiorizzare la solitudine, la miseria, la paura, la rassegnazione, l’idea che non ci può essere niente di meglio, in definitiva naturalizza tutto questo e rompere con tutto questo è il primo atto di libertà. La libertà è ribellione, è forza di dire no, è rifiuto della negatività che impregna i valori dominanti, passa attraverso una figura che riesce a rappresentarsi in tutte le sfere del divenire dell’essere. E’ un elemento positivo della costruzione di un essere che si cala nella sua singolare esistenza.

Le difficoltà, gli ostacoli creati dalla struttura del potere neoliberista e patriarcale non cancellano e non sminuiscono l’affermazione della libertà come elemento essenziale della vita. Una libertà che è quella dei corpi, della costruzione materiale di una vita possibile e degna. La libertà ha ed è un fondamento materiale. Essa è lì, come l’hanno creata le lotte di classe e di genere, è produzione di soggettività, è lavoro e vita viva. La libertà si presenta immediatamente come potenza costruttiva, positiva, come costituzione alternativa, come potenza materiale, In definitiva la libertà significa liberare la liberazione.


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