IFE Italia

La subdola arma del terrore che vuole rubarci il futuro

di Donatella di Cesare
giovedì 22 gennaio 2015

Donatella Di Cesare è una filosofa italiana

Fonte:http://www.fondfranceschi.it/cogito...

Dipinto di Pablo Picasso

Può dunque succedere di andare al supermercato sotto casa e trovarsi d’improvviso, indifesi e inermi, sulla scena di un crimine planetario, vittime di una violenza frenetica, che vorrebbe essere sacra, di un terrore insieme lucido e incomprensibile.

All’indomani di un evento che fa epoca, che segna un prima e un poi nella storia, e muta radicalmente il paesaggio politico europeo, ci si potrebbe illudere di essere alla fine dell’incubo. Non resterebbe allora che elaborare il lutto per il crimine efferato. La vita potrebbe riprendere il suo corso normale. A un certo punto sarebbe lecito — come si dice in questi casi — voltare pagina.

Eppure ciascuno, almeno inconsciamente, sa che gli sforzi per attenuare o neutralizzare il trauma sono vani. Perché non siamo alla fine, bensì all’inizio dell’incubo. Quel che è accaduto potrebbe ripetersi — con la stessa crudele imprevedibilità. Noi continuiamo ad essere inermi, indifesi, consegnati, nella nostra nuda vulnerabilità, a una violenza asimmetrica e unilaterale che può sorprenderci e aggredirci ovunque. È una violenza che non si trincera dietro un fronte e non ha frontiere, che è evasiva e tuttavia inevitabile, che appare inquietantemente estranea, pur provenendo dall’interno. Perciò ci terrorizza.

Nel discorso politico, e in quello dei media, si parla sbrigativamente di «terrorismo» per indicare un fenomeno nuovo e sconosciuto che non si riesce né a definire né a nominare. L’ impasse della lingua è la spia di una difficoltà concettuale. Si ricorre a un’etichetta vaga, applicabile a fenomeni molto diversi che vengono così pericolosamente unificati. Per una sorta di pigrizia intellettuale ci si accontenta della riprovazione contenuta nel termine «terrorismo», senza descrivere il fenomeno. La filosofia più recente ha sottolineato sia l’ambiguità di quest’uso, sia la mancanza di coordinate e di punti di orientamento che possano contribuire a far luce sulla nuova violenza globale che congiunge fanatismo sacrificale e razionalità tecnologica.

Ma che cos’è il terrore? Che cosa lo distingue dalla paura, dal panico o dall’angoscia? L’etimologia di «terrore» rinvia alla reazione fisica, al corpo che trema e tenta di fuggire dinanzi alla minaccia improvvisa e inspiegabile. Sono presenti ancora, nella memoria di tutti, le immagini degli ostaggi che si precipitano fuori, in preda al panico. Ma il terrore, al contrario della paura, non è solo un’emozione spontanea. Piuttosto ha una dimensione collettiva e nasce dalla coscienza diffusa di un pericolo imminente. Ecco perché è potuto diventare, nel corso della modernità, un’arma politica usata nel modo forse più raffinato dal nazismo, quell’ordine del terrore in cui è stata riconosciuta l’essenza del dominio totalitario.

Nel terrore che incombe oggi sulla nostra vita quotidiana, e subdolamente si propone di cambiarla dal profondo, c’è però qualcosa di inedito, più grave e insieme più sfuggente. È un terrore che mira al futuro, che non si esaurisce in quel che è stato. Punta a produrre effetti sulla psiche di tutti, a infliggere, nelle coscienze e negli inconsci, un trauma destinato a restare aperto. Perché fa credere che il peggio non sia passato, ma sia di là da venire.

Il terrore attuale è un’arma che viene dal futuro ed è rivolta al futuro. L’attacco non è mai finito, il rischio è sempre in agguato. L’anonima invisibilità del nemico, l’indeterminatezza della causa, la difficoltà di localizzare l’aggressione, che potrebbe scatenarsi ovunque, anche nello spazio virtuale del web, rendono ancor più indecifrabile e inquietante la minaccia. Siamo allora inermi anche perché subiamo la ferita di un futuro preceduto dai segni terrificanti del peggio che deve ancora avvenire.

Se si produce nella collettività, il terrore colpisce tuttavia i singoli, divide e isola, provoca indifferenza, disinteresse, passività, depressione. La richiesta di maggiore sicurezza viene dalla somma delle paure individuali. Ma i mezzi di protezione e controllo, che spesso limitano la libertà di ciascuno, non fanno altro che rasserenare temporaneamente. La democrazia, messa a repentaglio dal terrore, colpita nel suo cardine, può difendersi solo rinsaldando il legame sociale, l’essere-insieme, la convivenza.


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