IFE Italia

Se è la donna a tirare la carretta

di Chiara Saraceno
mercoledì 27 maggio 2015

Le donne italiane hanno mantenuto i, bassi, livelli occupazionali precedenti la crisi, a differenza degli uomini che invece hanno perso centinaia di migliaia di posti di lavoro e sono lontani dal recuperarli nonostante la piccolissima ripresa di questi mesi.

L’effetto di questo andamento opposto, secondo quanto emerge dal rapporto annuale Istat presentato ieri, è stato duplice. Da un lato si è ridotto il gap di genere nei tassi sia di occupazione sia di attività, nonostante non ci sia stato un effettivo miglioramento per le donne, che partivano da una situazione di forte svantaggio. Dall’altro lato è aumentata la percentuale di famiglie in cui l’unico percettore di reddito è una donna: dal 9,6 per cento del 2008 al 12,9 per cento del 2014, pari a circa due milioni e mezzo di famiglie. Il fenomeno è più netto nel Mezzogiorno, dove è più visibile la contestuale diminuzione delle famiglie non di pensionati in cui l’unico percettore di reddito è un uomo, stante la maggiore gravità della perdita occupazionale in quelle regioni.

Come era stato già rilevato nel rapporto annuale dello scorso anno, l’aumento delle famiglie in cui è una donna ad essere l’unica percettrice di reddito da lavoro è l’esito di due diversi fenomeni. Il primo è l’aumento delle famiglie monogenitore e delle donne adulte che vivono da sole. Dal 2008 al 2012 c’è stato un aumento delle separazioni di circa il 5 per cento, nonostante nel 2012 ci sia stata una piccola inversione di tendenza (non ci sono dati più recenti). Il secondo fenomeno è l’aumento delle famiglie in cui quello che era il principale percettore di reddito ha perso il lavoro e la sua compagna è riuscita a mantenere il suo, o se ne è cercato uno per poter far fronte ai bisogni della famiglia.

Già lo scorso anno si segnalava che la crescita delle donne uniche occupate in famiglia riguarda specialmente le madri in coppia, seguite dalle donne in coppia senza figli e dalle madri che vivono sole con i figli. Queste ultime sono le più numerose in termini assoluti, superando il mezzo milione.

A differenza che in altri periodi di congiuntura negativa, le donne non si sono ritirate ancora di più dal mercato del lavoro. Al contrario, vi sono entrate in percentuale maggiore, anche se sempre contenuta, nonostante le difficoltà, sia a trovare una occupazione, sia a conciliarla con le responsabilità famigliari. È un fenomeno che riguarda anche coloro che in circostanze più favorevoli non si sarebbero presentate sul mercato del lavoro perché prive delle necessarie qualifiche o perché sovraccaricate dal lavoro famigliare. In altri termini, proprio la scarsità della domanda e la vulnerabilità delle posizioni lavorative, oltre che dei rapporti di coppia, ha spinto molte donne ad affrontare il peso del doppio lavoro per poter garantire a se stesse e alla propria famiglia un reddito.

Si tratta spesso di redditi modesti, più modesti di quelli guadagnati dagli uomini. Basti pensare che il settore occupazionale femminile che ha tenuto di più è quello dei servizi alla persona, dove sono concentrate anche molte donne straniere: certo un settore non particolarmente ben pagato. È anche aumentato parecchio il part time involontario, ove pure c’è una forte concentrazione femminile. Il gap di genere, quindi, per ora si chiude prevalentemente al ribasso, per un peggioramento delle posizioni degli uomini. Ma la inattesa reazione delle donne alla crisi — condivisa per altro anche dalle donne in altri Paesi — segnala che qualche cosa è cambiato nel comportamento e nelle aspettative delle donne, tra le quali una proporzione crescente ritiene di non potersi più affidare, per la propria sicurezza economica e quella dei figli, esclusivamente alla capacità di guadagno degli uomini, dei propri mariti e compagni.


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