IFE Italia

Le frontiere interne

di Chiara Saraceno
sabato 20 giugno 2015

Fonte: La Repubblica / www.repubblica.it

Il rifiuto dei governatori delle Regioni del Nord ad accogliere anche un solo immigrato in più, la minaccia di Maroni di punire i Comuni non possono essere accantonate come un atto del conflitto maggioranza-opposizione e di quello interno al centrodestra.

È un vero e proprio atto di insurrezione, una secessione vissuta con tanto più gusto in quanto lascia il Sud, luogo di approdo dei migranti che vengono dal mare, a sbrogliarsela da solo. Non si tratta più di bruciare bandiere o di inveire contro Roma ladrona (anche perché si è scoperto che il ladrocinio non ha frontiere né geografiche né ideologico-partitiche). È l’annuncio di una disobbedienza sistematica, condita di minacce — illegali — a chi non si adegua. Qualsiasi privato cittadino chiamasse all’insurrezione verrebbe immediatamente denunciato.

Si può lasciar passare senza sanzioni che lo facciano dei governatori di Regione, incluso un ex ministro dell’Interno che chiede di disobbedire oggi a una norma che ha fatto ieri? In un’Italia sempre più frantumata nella difesa di diritti e interessi categoriali, sempre più impaurita da una crisi troppo lunga di cui, specie i ceti più modesti non vedono una via di uscita a tempi brevi, i flussi migratori incontrollati offrono il capro espiatorio perfetto. Lasciare che chi ha responsabilità di governo utilizzi questo capro espiatorio non solo per soffiare sulla xenofobia, ma anche per rompere il patto di solidarietà territoriale che costituisce l’Italia in una nazione, è doppiamente pericoloso.

Sia chiaro, i numeri di chi viene soccorso in mare e viene sbarcato sulle nostre coste — al di là delle importanti distinzioni tra profughi, richiedenti asilo e migranti economici — è davvero impressionante e pone problemi seri e per certi versi inediti. È una emergenza, non perché fosse del tutto imprevista, al contrario, stante il permanere e l’incancrenirsi delle cause che inducono migliaia di persone a lasciare il loro Paese. È una emergenza perché poco o nulla si è fatto sia per modificare le situazioni di partenza, sia per attrezzarsi a fronteggiare il flusso degli arrivi. La solidarietà dell’Europa è vergognosamente latitante e finora si manifesta nel paradosso delle navi inglesi che collaborano sì al salvataggio in mare, ma si lavano immediatamente le mani di chi raccolgono portando il loro carico nel più vicino porto greco o italiano. Anche lo striminzito accordo per redistribuire ventiquattromila dei potenziali rifugiati ora presenti in Italia tra i diversi Paesi è stato sconfessato dal rifiuto di molti Paesi di accoglierne qualcuno.

L’Europa così pronta ad imporre le proprie regole draconiane di austerity a Italia e Grecia, poco o nulla si interessa di come questi due Paesi possano fare fronte alla necessità di alloggiare, nutrire, offrire conforto alle migliaia che ogni giorno arrivano sulle loro coste. Certo non aiuta a chiedere maggiore solidarietà, in Europa e in Italia, scoprire che i finanziamenti — inclusi quelli europei — dati a questo scopo sono in larga misura finiti nelle tasche di faccendieri rapaci, che, come gli scafisti, hanno fatto della migrazione e del sostegno ai disperati un business che lascia ai destinatari solo briciole condite da inciviltà. Ma è paradossale che a pagare il prezzo di questa sfiducia siano proprio le vittime del malaffare. Ed è ancora più paradossale che i tre governatori motivino il proprio rifiuto di accoglienza anche con quello ricevuto dall’Europa. Dato che il governo non è riuscito ad ottenere solidarietà dall’Europa, le regioni del Nord destro-leghista la rifiutano a loro volta, confermando il cinico scarica barile dal Nord al Sud, da chi può permettersi di rifiutare (ma Germania, Inghilterra e Francia hanno molti più richiedenti asilo di quanti non ne abbiano in proporzione Lombardia e, soprattutto Veneto e Liguria) a chi non può farlo, salvo ributtare a mare chi arriva sulle sue coste.

La Sicilia, dove abita solo l’8,4% della popolazione residente, ospita nelle varie strutture di prima accoglienza il 22% dei migranti. La Lombardia, con il doppio dei residenti, ne ospita solo il 9%, poco più della Campania, che però ha solo il 9,7% dei residenti, e molto meno del Lazio, che con il suo 9,7% di residenti accoglie nei centri il 12% dei migranti. Il Veneto, con l’8,7% dei residenti, ospita nei suoi centri il 4% dei migranti, mentre la Liguria ha un rapporto quasi alla pari: 2,6% di residenti, 2% di immigrati nei centri di prima accoglienza. Saremmo un po’ più forti nelle nostre negoziazioni con l’Europa se il nostro record amministrativo nella gestione dei fondi per l’emergenza migranti fosse un po’ più specchiato, le condizioni dei centri di accoglienza più civili, la solidarietà territoriale interna più salda e visibile. Affrontare questa drammatica emergenza umana, prima che organizzativa, all’ombra di discorsi xenofobici e minacce secessioniste favorisce solo il malaffare, non certo la ricerca, difficile, di soluzioni praticabili nell’immediato e nel medio periodo.


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