IFE Italia

Melfi, la lotta delle operaie Fiat (FCA)

di Eliana Como
sabato 17 ottobre 2015

Fonte: anticapitalista.org/

Riceviamo dalla rete e volentieri pubblichiamo

Nelle fabbriche metalmeccaniche italiane, le donne sono circa il 20% della forza lavoro, anche nei reparti di produzione. Se è vero che è raro trovare donne alla catena di montaggio del trattore piuttosto che in una fonderia o nei cantieri di costruzione delle grandi navi, non altrettanto può dirsi di altri comparti – soprattutto quelli manifatturieri – dove le operaie in produzione sono la maggioranza o quasi. Basti pensare all’elettrodomestico, all’elettronica, al motociclo ma anche all’automobile, in particolare sulle linee di montaggio, dove, guarda caso, le operazioni sono meno qualificate e i livelli salariali più bassi. Eppure il mondo metalmeccanico è tradizionalmente ancora legato a una sorta di aurea machista e maschilista, in cui raramente riescono a emergere le rivendicazioni e le battaglie delle donne.

Anche per questo, l’iniziativa delle operaie di Melfi che si ribellano al colore della tuta è bella e importante! Su iniziativa di alcune brave e coraggiose delegate, le operaie della FCA di Melfi hanno raccolto centinaia di firme per chiedere alla azienda di cambiare le ormai famose tute bianche con quelle classiche di colore scuro. Da sempre, la tuta blu è sinonimo stesso della parola operaio, ma non dentro gli stabilimenti Fiat (ora FCA), dove si lavora come dappertutto in mezzo a olio e grasso ma la direzione fa finta, a buon uso di spot televisivi, di essere in una modernissima sala operatoria.

Oltre all’assurdo colore bianco delle tute, che fa a pugni con le condizioni di lavoro da primo Novecento, il problema per le operaie è che durante il ciclo, capita che la tuta si sporchi. Anche perchè si lavora in condizioni pessime, sempre in piedi e con pochissime possibilità di fermarsi (peraltro su turni a ciclo continuo, sabato e domenica compresi!).

Alla valanga di firme che sono state raccolte, su iniziativa delle nostre compagne, l’azienda ha risposto in un modo che ha del ridicolo. Una commissione (composta ça va sans dire tutta da maschi) ha deciso che le tute restano bianche, perchè cambiarle costa troppo e alle donne che hanno il ciclo verrà data una culotte! Non è uno scherzo! Subito le promotrici dell’iniziativa hanno dichiarato che non ci stanno perché, giustamente, si sentono offese due volte e vanno avanti nella loro protesta.

La loro lotta è giusta e esemplare e va sostenuta, anche per un motivo più generale. Fermo restando ogni giusta rivendicazione su migliori condizioni di lavoro per tutti, uomini e donne, questa protesta è un bellissimo esempio di autodeterminazione delle donne, che sulle loro condizioni di lavoro, sulla loro dignità e sullo sfruttamento dei loro corpi in fabbrica hanno deciso autonomamente di dire la loro, chiamando con il loro nome le cose, stat rosa pristina nomine (la rosa esiste solo nel nome). Credetemi, non è facile parlare di mestruazioni in fabbrica! Tanto che per anni, le operaie di Melfi hanno sopportato senza ribellarsi. D’altra parte, nell’immaginario pubblicitario di questo paese retrogrado e maschilista, le donne che hanno il ciclo vestono eleganti abiti da cocktail e tacco 12! Non sono in linea di montaggio in tuta bianca!

Allo stesso modo, più in generale, non è facile parlare in fabbrica di salute riproduttiva, fertilità e impotenza. Tutti fenomeni che sono invece ampiamente in relazione con la condizione di lavoro e con i rischi determinati dalle condizioni ergonomiche, dall’organizzazione del lavoro, dai ritmi e in generale dallo stress psicofisico legato al lavoro. Di cui però non si parla o si parla pochissimo e rispetto al quale, in ogni modo, fa fatica a emergere un punto di vista di genere.

Sarebbe invece ora che si affrontassero tutti questi problemi, chiamandoli appunto con il loro nome – anche quando, come in questo caso, crea imbarazzo – e declinandoli a seconda del genere, che non è mai neutro. Sì, perchè le condizioni di lavoro, la sicurezza, la salute non sono neutre! C’è differenza tra i corpi degli uomini e delle donne. Eppure non soltanto il colore (e la forma!) delle tute è uguale, ma persino i DPI (dispositivi di protezione individuale: guanti, occhiali, cuffie, ecc). E quando si dice che sono neutri, cioè senza differenze tra uomini e donne, si sta in realtà dicendo che sono pensati per gli uomini, poi le donne si adatteranno. Una logica sbagliata e, a volte, rischiosa anche per la salute e per la sicurezza, non solo, come in questo in caso, per l’imbarazzo.

Per questo la vertenza delle operaie di Melfi è bella e giusta e va sostenuta in ogni iniziativa che decideranno di intraprendere per proseguirla. Anche perché è tanto che manca, anche nel sindacato, la capacità di esprimere un punto di vista, una pratica e un’azione collettiva di genere. Quando accade, come in questo caso, bisogna dare appoggio a chi la promuove e prendere da loro esempio. Anche per questo mi piacerebbe sapere che opinione hanno e come pensano di sostenerle sindacaliste che hanno incarichi ben più importanti del mio e che finora non mi pare di aver sentito.


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