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L’antidemocrazia senza frontiere

di Laura Carlsen
sabato 14 aprile 2018

Negli ultimi anni il mondo intero ha assistito ad un preoccupante deterioramento della democrazia. Anche se non si tratta di una tendenza a senso unico, le recenti elezioni in Italia ci forniscono un esempio. Non è un caso se una delle ragioni principali dell’avanzata dell’ultradestra sia la feroce campagna anti-migranti. Nonostante queste forze arrivino al potere passando per le urne, le politiche esclusiviste e razziste che promuovono – in molti casi apertamente neofasciste – sono per definizione antidemocratiche.

Nella nostra regione, il progetto antidemocratico è rappresentato da Donald Trump, il leader dello Stato egemonico nel continente. Trump è salito al potere con il sistema del Collegio Elettorale (...), dopo aver perso per quasi tre milioni nei voti popolari. Da quel momento, non solo si è dedicato ad escludere, ma anche a tormentare grandi settori della popolazione, nell’ambito di un progetto a lungo termine volto a rafforzare il modello neoliberale ed il controllo assoluto esercitato da quell’1 per cento della popolazione di cui fa orgogliosamente parte. Mentre i media si concentrano sulla sua personalità e i suoi tweet, questo progetto antidemocratico sta avendo delle gravi ripercussioni per gli Stati Uniti e per il resto del mondo.

Sono quattro le principali componenti di questo progetto: la soppressione e la violazione del voto, l’esclusione dei migranti e delle loro famiglie, la restrizione dei diritti delle donne ed il carattere militarista che si accompagna ad una contrazione dei diritti dei cittadini. Queste minacce alla democrazia sono diventate parte integrante della politica estera degli Stati Uniti, un allarme rosso in quest’anno di elezioni controverse in America Latina.

La prima componente si basa sul fatto che Trump non crede nel voto popolare, o nel principio “una persona, un voto”, né che ogni suffragio abbia lo stesso peso. La sua campagna elettorale non ha puntato sulla maggioranza dei voti, ma si è concentrata sui voti chiave per trionfare al Collegio Elettorale e neutralizzare i voti contrari. Per Trump il voto popolare e il fatto che quest’ultimo sia rispettato è un tabù. Il suo governo si sta prodigando per cambiare le leggi e gli iter in modo da poter sopprimere o negare in maniera permanente il voto delle persone che rappresentano una minaccia al progetto patriarcale, nativista e capitalista che promuovono.

Il disprezzo che ha nei confronti del principio di sovranità popolare è stato evidente durante le elezioni in Honduras. È emerso che ci sono stati dei brogli elettorali in favore di Juan Orlando Hernández, un presidente che si è rivelato utile agli interessi del governo statunitense nella regione. È stato evidente a tal punto che la missione di osservazione elettorale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) ha concluso che non era in grado di stabilire un vincitore a causa delle molteplici irregolarità. Il governo di Trump, dal canto suo, ha riconosciuto l’elezione di Hernández e ha dato il suo appoggio alla tradizione della volontà popolare espressa alle urne. Le elezioni rubate in Honduras con l’appoggio degli Stati Uniti sono, senza dubbio, un malaugurio per il Messico.

Il governo di Trump mette a rischio la democrazia anche attraverso le politiche contro la popolazione migrante. Il cambiamento demografico negli Stati Uniti rappresenta la minaccia più grande al progetto di supremazia bianca di Trump e compagnia. Secondo alcune proiezioni, le cosiddette minoranze (afroamericani, latini, asiatici e i popoli nativi) insieme saranno ben presto la maggioranza. L’esercizio della democrazia rappresentativa in un paese dove il “nemico” (cioè i non bianchi, di sinistra o qualsiasi gruppo che si oppone al potere delle élite) rappresenta la maggioranza, è un problema.

Trump ha reagito con una serie di misure volte ad escludere i migranti e le loro famiglie, tra cui alcuni cittadini statunitensi, da qualsiasi possibilità di votare, preferibilmente attraverso l’espulsione fisica dal territorio nazionale. Quasi 11 milioni di migranti senza documenti sono esposti alla detenzione e alla deportazione, è stata proibita l’entrata a persone provenienti da alcuni paesi musulmani e si riduce sempre di più l’ingresso di migranti e rifugiati. È stato ritirato il programma Estatus de Protección Temporal (TPS) per centroamericani e haitiani, si è messo fine al programma DACA per giovani migranti e si è creato un clima di costante intimidazione. La scommessa è quella di garantire che la diversità, una realtà in quasi tutte le comunità statunitensi, si riduca e soprattutto che non emerga nel processo elettorale.

Con la stessa logica, il governo di Trump ha limitato sempre di più alle donne l’accesso ai diritti democratici, senza i quali non esiste la democrazia. Il divieto di ricevere aiuti stranieri per i servizi di salute riproduttiva, le decisioni che riducono l’accesso agli aborti legali e agli anticoncezionali, il tentativo di eliminare il diritto di scelta non solo mettono in pericolo la salute ma anche la capacità delle donne di partecipare pienamente in una società democratica, non potendo pianificare le proprie gravidanze. La maternità obbligata diminuisce le opportunità di studiare e le esclude dal mercato del lavoro. L’atteggiamento blando con cui si considerano le molestie sessuali dalla Casa Bianca non è altro che un’altra espressione del patriarcato accentuato di questo governo.

La quarta minaccia per la democrazia promossa da Trump è rappresentata dal regime militarista. Oltre ai generali che ricoprono alte cariche nel governo (Kelly, McMaster, Mattis), nel 2019 il budget per la difesa sarà di 716 miliardi – pari ad un aumento del 10%. Questo budget, che alimenta il complesso militare-industriale fino a renderlo sovrappeso, aumenta l’atmosfera di paura e minaccia costante, preconfezionato e consegnato a domicilio dai mass media.

Con l’esportazione del progetto antidemocratico di Trump si riducono gli spazi per i progressi democratici, ma non si chiudono. Non è una novità che il paese che più parla di democrazia, è anche il paese che la protegge di meno, e tuttavia è importante riconoscere questo dato. In un sistema in cui l’esercizio della democrazia rappresentativa serve come facciata per nascondere gli interessi dietro le quinte, la manipolazione dei voti e dell’opinione pubblica diventa una necessità, oltre ad essere un business vantaggioso.

Questa è la zona grigia del processo elettorale che nessuno vuole ricordare, ma esiste un’ampia documentazione che dimostra come sia accaduto nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti nel 2000, in Messico nel 2006 ed il caso già citato dell’Honduras nel 2017, solo per fare qualche esempio. Le frodi possono essere appoggiate da tribunali favorevoli al potere o dalla repressione aperta delle forze democratiche, e portano a situazioni di instabilità in cui i nuovi governi sono soliti ricorrere a soluzioni militariste come rimedio alla loro mancanza di legittimità. L’appoggio degli Stati Uniti alle frodi o persino all’elaborazione delle frodi rappresenta una minaccia più che latente.

In Messico ci troviamo di fronte ad una situazione a rischio per la sovranità e la democrazia. Mentre Videgaray elogia il governo anti messicano di Trump (“la relazione Messico-USA oggi è più fluida, è più vicina di quanto lo sia stata con le amministrazioni precedenti”), la realtà è che si tratta di un governo assolutamente avverso agli interessi del Messico e della democrazia. È necessario prestare attenzione ai suoi prossimi passi, serve creare degli antidoti per le probabili pratiche interventiste durante queste elezioni, ed è necessario costruire una vera democrazia nel paese.



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