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La profezia di Hannah Arendt

di RICHARD J. BERNSTEIN
venerdì 6 luglio 2018

«Anche nei tempi più bui abbiamo diritto di attenderci una qualche illuminazione »

Nella prefazione alla raccolta di saggi del 1968, L’umanità in tempi bui, Hannah Arendt scrisse: «Anche nei tempi più bui abbiamo diritto di attenderci una qualche illuminazione » . Nei tempi bui di oggi l’opera di Arendt assume nuova importanza proprio perché è fonte di illuminazione. Arendt era dotata di notevole perspicacia nell’analizzare i problemi più gravi, i dubbi più profondi e le tendenze più pericolose della realtà politica moderna, in molti casi presenti ancora oggi. Nell’accenno ai « tempi bui » e nel suo invito a diffidare delle « esortazioni morali o di altro genere che, con il pretesto di confermare antiche verità, degradano ciascuna di queste a insignificante banalità » , leggiamo non solo una critica agli orrori del totalitarismo del XX secolo, ma anche un monito circa alcune forze largamente presenti oggi a livello politico negli Stati Uniti e in Europ a. Arendt fu tra i primi massimi esponenti del pensiero politico a sostenere che la crescita costante del numero di apolidi e profughi avrebbe continuato a essere un problema insormontabile. Uno dei suoi primi saggi, Noi profughi, pubblicato su una rivista nel 1943 e basato sulla sua personale esperienza di apolide, pone questioni fondamentali. Arendt offre una vivida descrizione di cosa significhi perdere casa, lingua e lavoro, e conclude con una riflessione più generale sulle conseguenze politiche del nuovo fenomeno, ossia la “creazione” di masse di persone costrette a lasciare le proprie case e il proprio Paese: «I profughi costretti a muoversi di Paese in Paese rappresentano l’avanguardia dei loro popoli… Il rispetto reciproco dei popoli europei è andato in frantumi quando, e perché, si permise che i membri più deboli fossero esclusi e perseguitati». Nel momento in cui scriveva tutto questo, Arendt non poteva sapere quanto le sue osservazioni sarebbero state calzanti nel 2018. Negli ultimi cent’anni pressoché tutti gli avvenimenti politici significativi hanno portato al moltiplicarsi di nuove categorie di profughi, un fenomeno apparentemente destinato a ripetersi senza fine.

Nel saggio del 1951 dal titolo Le origini del totalitarismo, Arendt scrive riferendosi ai profughi: « La disgrazia degli individui senza status giuridico non consiste nell’essere privati della vita, della libertà, del perseguimento della felicità, dell’eguaglianza di fronte alla legge e della libertà di opinione, ma nel non appartenere più ad alcuna comunità » . La perdita della comunità comporta l’espulsione dall’umanità stessa. Appellarsi ai diritti umani in astratto non serve in assenza di istituzioni che garantiscano efficacemente tali diritti. Il più fondamentale dei diritti è il “diritto di avere diritti”.

Il saggio Verità e politica, pubblicato nel 1967, potrebbe essere stato scritto ieri. L’analisi che Arendt fa della menzogna sistematica e del pericolo che essa rappresenta per la verità fattuale calza a pennello. Poiché le verità fattuali sono contingenti e di conseguenza il loro opposto è possibile, è fin troppo facile distruggere la verità fattuale sostituendola con “alternative facts”, ossia realtà alternative. In Verità e politica scrive: «La libertà di opinione è una farsa a meno che l’informazione fattuale non venga garantita e i fatti stessi siano sottratti alla disputa » . Purtoppo una delle tecniche più fortunate per sfumare la differenza tra verità e falsità è spacciare qualsiasi verità come una semplice opinione: quello che avviene più o meno quotidianamente a opera dell’amministrazione Trump. Oggi i leader politici seguono con grande successo una prassi eclatante dei regimi totalitari di un tempo, creano cioè un mondo fittizio di realtà alternative. Arendt individua un rischio ancora peggiore: « Il risultato di una coerente e totale sostituzione di menzogne alla verità non è che ora le menzogne saranno accettate come verità e che la verità sarà denigrata come menzogna, ma che il senso grazie al quale ci orientiamo nel mondo — e la categoria di verità versus falsità è tra i mezzi mentali che servono a tal fine — viene distrutto».

Le possibilità di mentire diventano illimitate e spesso incontrano scarsa resistenza. Molti progressisti restano sconcertati dall’indifferenza del pubblico di fronte alle bugie smascherate in base alla verifica dei fatti. Ma Arendt aveva capito come funziona davvero la propaganda. Le masse « si lasciano convincere non dai fatti, neppure dai fatti inventati, ma soltanto dalla compattezza del sistema che promette di abbracciarle come una sua parte». Gli individui che si sentono negletti e dimenticati anelano a una narrazione — anche fittizia — che dia un senso all’ansia che provano e prometta una sorta di redenzione. I leader autoritari traggono enormi vantaggi sfruttando queste ansie e inventando una storia a cui la gente vuole credere. Una storia inventata che promette di risolvere i problemi di ciascuno ha molta più presa rispetto ai fatti e alle tesi “razionali”. Arendt non era una Cassandra. Non si è limitata a denunciare i rischi politici, ma ha elaborato un concetto preciso della dignità della politica. Grazie alla nostra capacità di agire, siamo sempre in grado di dare vita a un rinnovamento. Il fulcro del pensiero di Arendt è proprio la necessità di assumersi la responsabilità della nostra vita politica.

La sua difesa della dignità della politica rappresenta un metro di giudizio importantissimo per molti di noi a fronte della situazione odierna, che vede diminuite le opportunità di partecipazione, di agire di concerto e di impegnarsi in un dibattito autentico tra pari. Dobbiamo resistere alla tentazione di tirarci fuori dalla politica pensando che non si possa fare nulla contro le brutture, gli inganni e la corruzione di oggi. Per tutta la vita Arendt si è proposta di affrontare e comprendere davvero il buio dei nostri tempi, senza perdere di vista la possibilità di trascendenza e di illuminazione. Noi dovremmo avere lo stesso proposito.

© 2018 The New York Times Traduzione di Emilia Benghi


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