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I fantasmi di Marx con cui fare i conti

di Lea Melandri
lunedì 7 gennaio 2019

Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, gli scritti giovanili dove Marx non sembrava ancora Marx, compariva a margine della critica dell’economia politica un interrogativo radicale, indicato come l’“enigma della storia”: che cosa spinge “originariamente” l’uomo a quel “sacrificio di sé” che è la consegna del proprio lavoro, e del prodotto del medesimo, nelle mani di un altro uomo che se ne fa in questo modo “proprietario”.

Questa domanda richiamava per me l’altra, non meno essenziale, posta da Freud come “enigma del sesso”: il sacrificio di sé che viene chiesto alla donna – espresso indirettamente nel “rifiuto del femminile” – affinché da forza attiva e centrale nel processo generativo si trasformi in “tramite” o mediazione ad una discendenza solo maschile, di padre in figlio.

Mi piaceva anche nei Manoscritti che si parlasse di “ritorno all’umano”, inteso come “totalità di manifestazioni di vita umana”, quella “autorealizzazione” da parte dell’uomo che il Sessantotto ha creduto di prefigurare nella “tensione utopica” che permette di vedere il possibile “attualmente impossibile”, e che a Franco Fortini sembrava invece un “benefico sovrappiù”, conseguente “solo” alla trasformazione del mondo, cioè alla rivoluzione.

L’uscita dalla dimensione essenzialmente “privata” della vita mi è stata possibile quando, per l’improvviso capovolgimento di gerarchie date come “naturali”, immodificabili, si è cominciato a ragionare e a prospettare cambiamenti su quell’area di esperienze, individuali e collettive, che è stata considerata “non politica” e di conseguenza sui “limiti” e le inadeguatezze della politica tradizionalmente intesa: un’area vastissima, estesa quanto il tempo che occupano vicende cruciali dell’essere umano, come la nascita, la morte, l’invecchiamento, il gioco, l’amore, la memoria, sulle quali si possono vedere i segni di una “disumanizzazione “ non meno violenta di quella che agisce nello sfruttamento economico.

È l’area che la sinistra ha sempre considerato genericamente “improduttiva”, popolata da “fantasmi” che stanno, dice Marx, “fuori dal regno della produzione”, soggetti variabili, diversamente dall’operaio, soggetto per eccellenza, che resta fisso anche quando è in via di sparizione: studenti, pensionati, disoccupati, ecc.; variabili anche nel posto che occupano nell’elencazione, come capita per le donne, sempre difficili da “collocare”.

Oggi questi orfani della politica, assegnati in epoche di gloriose lotte operaie al “territorio” circostante la fabbrica, assomigliano sempre più ai “fantasmi” descritti da Marx: “i furfanti, gli scrocconi, i mendicanti, i disoccupati, l’uomo da lavoro affamato, miserabile e delinquente”, una parte considerevole di umanità che esiste solo “per gli occhi del medico, del giudice, del poliziotto”.



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