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Manduria, i giovani permale

di Michela Marzano
domenica 28 aprile 2019

Cosa può passare per la testa di un ragazzo quando bullizza, umilia o tortura un altro essere umano? È accaduto a Manduria, in provincia di Taranto, dove quattordici ragazzi, di cui dodici minorenni, hanno segregato in casa un uomo di sessantasei anni che soffriva di disagi psichici, sottoponendolo a numerosissime sevizie. Ma, dicevo, cosa può mai spingere dei ragazzi a commettere tali atrocità? Una forma di crudeltà, senz’altro. E di totale assenza di empatia nei confronti della sofferenza altrui — immaginando magari che un disagio psichico renda impermeabili al dolore, oppure meno degni di considerazione e empatia. Ma anche una forma di stupidità, visto che solo chi non è in grado di capire che la persona che ci sta di fronte (indipendentemente dalle differenze specifiche che lo caratterizzano e dalle abilità o disabilità che porta con sé) possiede, in quanto persona, il nostro stesso valore intrinseco, può permettersi di calpestare la dignità altrui. Per non parlare poi dell’indifferenza, madre di ogni male, che porta a tapparsi le orecchie e a bendarsi gli occhi di fronte al dolore di chi ci è davanti. Anzi. Spinge addirittura a moltiplicare all’infinito la violenza, e a filmare le scene con il cellulare. Prima di condividerle su WhatsApp con tutti coloro che, indifferenti pure loro alla vulnerabilità umana, confondono la violenza con l’eroismo e la vigliaccheria con il coraggio.

Ormai viviamo in una società in cui sono molti coloro che pensano che l’unica cosa che conti sia l’”apparire”: trovare il modo per ottenere condivisioni e ” mi piace” sui social, forse perché non si è in grado di esistere in altro modo, forse perché non si riesce nemmeno più a dare valore alla propria esistenza. E allora si immagina che tutto si equivalga: fare, disfare, distruggere, cancellare. Tanto chi può mai essere turbato dalla morte di un marginale? A chi può mai mancare un uomo anziano e disabile?

Pare che nei video diffusi sulla chat di WhatsApp, i giovani si siano ripresi proprio mentre prendevano a pugni e a calci la vittima. Così come pare che l’anziano signore fosse vittima di bullismo da anni. Anni di soprusi e umiliazioni, quindi. Senza che nessuno sia mai intervenuto per mettere fine alla tragedia. Perché è di una tragedia che stiamo parlano, non di un videogioco né di un film di Tarantino. Ma forse il problema è proprio questo: aver a tal punto sdoganato la violenza che il messaggio secondo cui, in fondo, tutto è gioco, tutto è possibile, e niente è irreparabile, è ormai parte del Dna di troppi giovani. Mentre la caratteristica della crudeltà è proprio l’irreparabilità: quando il bersaglio è un essere umano, ogni gesto resta, ogni umiliazione si iscrive sulla carne, ogni calcio e ogni pugno calpestano la dignità personale. E non è vero che basti punire i colpevoli per risolvere questo tipo di problemi ed evitare che, in futuro, possano di nuovo accadere tragedie come questa.

Finché non si ricomincerà dall’Abc del rispetto e dalle basi della compassione — che non è innata, ce lo spiega bene Freud: se i più piccoli non vengono educati all’empatia, la crudeltà non ha limiti, e non c’è modo di arginarla — sarà difficile immaginare un futuro in cui i giovani sentano sulla propria pelle il dolore altrui, e capiscano il significato dei propri gesti. Il mondo delle relazioni, oggi, necessita di essere riparato. Ce lo spiega l’etica della cura, che sposta l’asse dall’individuo alle relazioni, e mostra come il vivere- insieme può essere preservato solo ricostruendo la capacità dell’”io” a riconoscere il “tu”. Ma soprattutto ce lo impone la realtà, ogniqualvolta ci costringe a fare i conti con i drammi generati dall’indifferenza, dalla stupidità e dalla crudeltà di alcuni ragazzini e a domandarci, un’altra volta, se questo è un uomo.



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