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Un nuovo patto sociale per rispondere alla crisi

lettera aperta delle e dei leader sindacali europei
domenica 11 dicembre 2011

L’Unione europea attraversa la crisi più profonda della sua storia. Una crisi finanziaria ed economica che ha gravi conseguenze sociali ma che è divenuta, soprattutto, crisi politica della stessa Ue. Chi poteva immaginare, appena due anni or sono, che tante voci, anche molto qualificate, potessero prevedere una possibile rottura dell’euro? Significherebbe la distruzione dello stesso progetto europeo. Come si è potuti arrivare a questo?

La radicale virata politica del Consiglio d’Europa del 9 maggio 2010 fu dichiarata necessaria per recuperare fiducia dei mercati finanziari e permettere ai loro agenti di finanziare gli stati europei con tassi di interesse ragionevoli. Da quella data, il Consiglio, la Commissione e la Bce hanno promosso, o imposto, politiche di austerità basate sulla riduzione delle spese pubbliche e sulle famose "riforme strutturali" consacrate nel Piano di governance economica e nel Patto Europlus. Il prossimo vertice del Consiglio europeo, il 9 dicembre, lancerà il dibattito sulla riforma del Trattato di Lisbona per mettere queste politiche al centro di una governance economica rafforzata della zona Euro.

Il fatto è che queste politiche sono naufragate. Sul piano economico, la crisi dei debiti sovrani si è propagata ed aggravata. Le conseguenze sociali della riduzione dei salari e delle pensioni, della contrazione delle spese della protezione sociale, dell’istruzione e della salute sono evidenti. Parallelamente, la solidarietà tra paesi si sta riducendo. Fatto inedito, le istituzioni europee incoraggiano una profonda erosione del modello sociale.

Le istituzioni europee e di molti paesi stanno per rompere quel patto sociale che aveva permesso, dopo la seconda guerra mondiale, di costruire gli Stati previdenziali europei e il progetto comune che ha portato all’Unione europea. Il sindacalismo europeo, riunito in seno alla Confederazione europea dei sindacati Ces, ha rifiutato fermamente tali politiche e si è mobilitato.

Non è chiaro, finora, fino a che punto i fatti stiano dando ragione alle sue proposte ed analisi. Costruiamo a sostenere che non ci sia altra soluzione che approfondire il progetto europeo, ma con formule ben diverse dalle politiche sbagliate e ingiuste che gli attuali responsabili europei ci impongono. Non è il momento di rimettersi ai governi di tecnocrati, c’è bisogno di maggiore azione politica e di partecipazione dei cittadini.

Cosa proponiamo per uscire da questa crisi economica e politica dell’Ue? Innanzitutto, fermare i meccanismi della speculazione, garantire la capacità finanziaria di tutti gli stati membri. Il solo annuncio, credibile, di una garanzia assoluta dei debiti sovrani porrebbe un freno alla speculazione dei mercati. Tale garanzia potrebbe concretizzarsi nell’emissione di euro-obbligazioni e nella trasformazione della Bce in prestatore di ultima istanza. Anche il sindacalismo europeo è molto preoccupato della stabilità delle finanze pubbliche. Non si può tuttavia raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit e del debito annientando le economie.

Pensiamo che oggi più che mai si abbia bisogno di una nuova politica monetaria, economica e sociale, nel quadro di una governance economica forte della zona Euro, coordinata con quella dell’Ue a 27, ma con contenuti assai diversi da quanto propostoci dai governi. Affrontare l’insieme delle sfide europee è impossibile con un esangue stanziamento che arriva appena al 1% del Pil. Abbiamo bisogno di una istituzione europea che emetta debito e non soltanto di una banca centrale la cui unica missione è controllare l’inflazione.

Il Consiglio europeo del 9 dicembre dovrà risolvere problemi immediati del debito e della crescita, nonché dare chiare indicazioni sulla prospettiva che noi proponiamo. Il movimento sindacale europeo non difende una posizione di parte: noi cerchiamo di proteggere l’interesse generale. È necessario un nuovo patto sociale.

Il patto fiscale, le politiche di redistribuzione delle ricchezze, il diritto del lavoro e la negoziazione collettiva sono stati il collante del più lungo periodo di prosperità economica e democratica in Europa. Tale collante ha consolidato relazioni del lavoro moderne, permettendo un forte coinvolgimento dei lavoratori, attraverso le loro organizzazioni, nella vita delle imprese. Soltanto basandoci su questi valori, che hanno definito il modello sociale europeo si potrà uscire dalla crisi.

Esigiamo che venga realizzata una futura revisione dei trattati integrando la dimensione sociale. I diritti sociali fondamentali, in particolare quelli riguardanti la negoziazione collettiva, debbono essere rispettati ed inclusi in tutte le misure anticrisi.

Il progresso dell’Unione europea si deve basare sulla coesione sociale e la solidarietà interna tra gli stati membri e nella solidarietà e la coesione politica tra essi. Per raggiungere questo, bisogna agire in un quadro comune europeo e rafforzare il dialogo sociale. È per questo che avanziamo queste proposte, esigendo che non si marginalizzino i lavoratori nella ricerca delle soluzioni, manifestando la volontà di mobilitarci in un quadro europeo, per ottenerle.

Susanna Camusso, segretario generale Cgil; Fernandez Toxo, segretario generale Ccoo Spagna; Candido Mendez, segretario generale Ugt Spagna; Michael Sommer, segretario generale Dgb Germania; Bernard Thibault, segretario generale Cgt Francia; François Cherèque, segretario generale Cfdt Francia; Anne Demelenne, segretario generale Fgtb Belgio; Claude Rolin, segretario generale Csc Belgio



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