IFE Italia

"La violenza di genere e le discriminazioni nei confronti delle donne sono un elemento strutturale"

di Chiara Ronzani
martedì 5 settembre 2017

Riceviamo dalla rete e volentieri pubblichiamo

Nel surreale dibattito sulla nazionalità degli stupratori, leggo commenti di persone convinte che ci sia il rifiuto, da parte della sinistra, di affrontare il problema degli stupri commessi da stranieri. Io invece sono convinta che il grande rimosso della sinistra sia riconoscere che la violenza di genere e le discriminazioni nei confronti delle donne siano un elemento strutturale, trasversale e diffusissimo nel paese in cui viviamo. Indipendentemente da chi le commette. E agire di conseguenza per combatterle. E’ questo di cui dovremmo occuparci.

Come spiegano i criminologi specializzati in reati sessuali, chi stupra non lo fa per soddisfare un bisogno fisico – come sostiene la vulgata – bensì per esprimere un controllo, per mandare un messaggio di potere. Ti rimetto al tuo posto, donna. E il tuo posto è la sottomissione. Questo è frutto della cultura sessista in cui siamo immersi, in questo come nei paesi d’origine degli stranieri. Gli stranieri – si dice - arrivano da paesi in cui la cultura codifica la sottomissione delle donne. Vero. Ma come possiamo pensare che la nostra non lo sia?

Un paese in cui a parità di mansione le donne guadagnano in media il 20% in meno, in cui soltanto nel 1996 lo stupro è diventato reato contro la persona e non più contro la morale, un paese in cui fino al 1981 esisteva il delitto d’onore, in cui dopo la maternità una donna su tre lascia il lavoro, in cui una donna su tre, nel corso della vita, subisce un qualche tipo di violenza. Fino al 1963 le donne non potevano entrare in magistratura perché si riteneva che a causa delle mestruazioni non potessero esprimere giudizi. Non parliamo poi dell’accesso a posti di potere, nelle aziende e in politica. Oggi. Questo è il nostro rimosso.

Si dirà, ma in Arabia Saudita non possono guidare l’auto, in altri paesi sono obbligate ad indossare il burqa o cose del genere. Verissimo. I passi avanti che sono stati fatti in Italia però, sono frutto della lotta di un movimento femminista che soltanto negli anni ’60 e ’70 ha portato ad abbattere alcune di quelle codificazioni di inferiorità. Con una enorme resistenza della controparte. Per gli uomini è molto più comodo fare la classifica dei paesi in cui “si sta peggio” e millantare una presunta superiorità culturale (che è una postura chiaramente patriarcale e paternalistica) piuttosto che fare i conti con il proprio privilegio. Quanto dovremo aspettare perché ci sia una presa di parola su questo?

Ma cosa possiamo fare per “educare” gli stranieri alla nostra cultura rispettosa? - chiedono altri. Se chi arriva in un paese ci trova una cultura paritaria e soprattutto se vede che gli atteggiamenti sessisti sono socialmente condannati e stigmatizzati, agirà di conseguenza. Invece la violenza sulle donne in Italia è tollerata, sminuita e giustificata, continuamente.

Quante volte sentiamo dire che chi ha subito violenza “se l’è cercata”, analizziamo come fosse vestita, cosa avesse bevuto? Voglio uomini che smettano di essere complici. Che decidano di voler vedere il privilegio, accettino di rinunciarvi, riconoscano la violenza, e la combattano sul piano culturale. Che facciano i conti con le proprie fragilità, invece di scaricarle sulle donne. Che si rifiutino di fare o ridere alle battute sessiste. Che nelle piccole e grandi cose dicano basta, ogni giorno.

C’è un altro grande, enorme, incredibile rimosso nel dibattito di questi giorni sulla nazionalità degli stupratori. Restiamo su stranieri e violenza sessuale. Nessuno parla delle migranti. Delle decine di migliaia di ragazze e donne che vengono costrette a prostituirsi in Italia. Quelle straniere vanno bene. Quelle non le vediamo. Perché? Perché sono funzionali al patriarcato, quello di cui dovremmo davvero parlare.


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