IFE Italia

Senza famiglia

di Tonina Santi
domenica 3 luglio 2011

Pubblichiamo, con il permesso dell’autrice, un interessante punto di vista che si può trovare anche sul sito www.protagonisteinrete.it/

L’ultima che ho sentito è quella di mandare tutti e tutte in pensione all’età di 70 anni (gulp!). Poi ci si è fermati - si fa per dire - a 67 anni. Sembra sia meglio far lavorare gli anziani anziché i giovani. Al ministro Sacconi però non va bene l’equiparazione dell’età per uomini e donne, perché si verrebbero a creare problemi di sostenibilità sociale in quanto le nonne italiane tra i 60 e 65 anni (anche oltre signor ministro, glielo assicuro) svolgono lavoro di cura per i nipoti e per i famigliari. Forse gli è sfuggito involontariamente, ma si è trattato del riconoscimento che le politiche di welfare per la conciliazione lavoro-famiglia sono sostenute gratuitamente dalle donne e che producono ricchezza, poiché fanno risparmiare a chi governa l’onere finanziario per la costruzione di servizi indispensabili in un paese civile, un paese in cui si blatera di ritenersi paladini della famiglia. Comunque, poiché l’equazione giusta sembra quella che se campi di più devi lavorare di più, nessuno ha il coraggio di chiedere dove staranno e con chi i ragazzini. Siamo tutte badanti dunque, e la cura dei propri cari si chiama lavoro: lavoro di cura, che potrebbe essere quantomeno ricompensato con contributi figurativi, come propose tempo fa la sociologa e ricercatrice Marina Piazza, anziché mandare le donne in pensione a 67-70 anni. A meno che non si coltivi il recondito pensiero di farle tornare a casa, come ho sentito auspicare da un amico mentre bevevo un caffè al bar. Non succederà. Le donne non intendono tornare al focolare domestico a tempo pieno, chiedono invece che sia considerata la loro fatica, che siano messe a punto politiche di welfare uguali a quelle di cui godono le donne norvegesi, tedesche, francesi, inglesi e non solo: europee come loro. Vogliono sentirsi europee a pieno titolo, nei fatti. Sul sito Donne al volante Barbara, di 38 anni, laureata in economia alla Bocconi, madre di due bimbi, trasferitasi in Lussemburgo dice. “... Mi piacerebbe tornare in Italia? Certo che si e credo di poter parlare a nome dei tanti giovani professionals che ho conosciuto negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Lussemburgo. Ma come? dove? Qui ci sono scuole bellissime per i nostri bambini che crescono studiando l’inglese, il francese e il tedesco con insegnanti madre lingua, vanno in piscina pagando 1 Euro e mezzo – a Roma persino le piscine sono un miraggio, un privilegio per pochi eletti – giocano a rugby, calcio , danza tutto l’anno per 50 euro. Le città sono piene di parchi meravigliosi e di spazi pensati per i bambini. A Roma/Piazzale degli eroi, l’unico divertimento a portata di mano erano le giostrine davanti al GS in mezzo al traffico e allo smog e un misero parco giochi circondato da automobili. Per due anni abbiamo ricevuto da Comune di Lussemburgo 500 euro al mese quando mio marito ha deciso di stare a casa il pomeriggio con la piccola, nonché contributi di vario genere e sgravi fiscali per contenere i costi della baby-sitter e/o del nido. Non c’è giorno che non mi chieda perché tutto questo non sia possibile nel mio bel paese”. E’ così che si riconosce il valore sociale della maternità. Ma non ci sono soldi dice il corrente ritornello. E’ vero. Però negli anni in cui si poteva creare un’Italia migliore i soldi dei cittadini sono stati sperperati forsennatamente: ne hanno usufruito i faccendieri delle varie cricche; si è preferito stipendiare un numero spropositato di parlamentari, ministri, sottosegretari a tutto quanto la fantasia consente, che si sono regalati privilegi e compensi che le nazioni europee più ricche di noi non si permettono; si è continuano ad elargire a piene mani soldi ai partiti anche con rimborsi elettorali non dovuti; abbiamo visto proliferare le inutili provincie mentre si assicurava che sarebbero state eliminate; abbiamo assistito all’arricchimento delle varie mafie che, come si sa, si nutrono di denaro pubblico e all’estendersi della corruzione. L’elenco sarebbe lungo e ciascuno di noi ormai lo conosce.

Ci voleva la crisi per svegliarci, per vedere finalmente ciò che avevamo davanti agli occhi da anni: ciascuno di noi attaccato al proprio partito, acriticamente, ha preferito continuare a rimuovere la realtà, accettando il silenzio su questioni tacciate di moralismo: ci siamo comportati da popolo sfiduciato più che sovrano. Ora, con l’acqua alla gola, si approva la manovra finanziaria di Tremonti in cui si prevede, insieme a lacrime e sangue per chi ha meno, il taglio di alcuni privilegi della casta. Occorrerà tuttavia vigilare che ciò avvenga davvero, perché i più avveduti già sostengono che tra i vari commi delle norme relative ai tagli, si annida la possibilità che ciò che esce dalla porta possa rientrare dalla finestra. Discorso populista? Forse. Ma non è detto che il popolo parli sempre a vanvera.

Tonina Santi


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