IFE Italia

PRIVATIZZAZIONI:DALLA MANOVRA UNA FRODE COSTITUZIONALE

di Gaetano Azzariti, da http://www.ilmanifesto.it
mercoledì 20 luglio 2011

Il prof. Gaetano Azzariti è ordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma "La Sapienza"

Facciamo parlare i fatti. Un mese fa la maggioranza degli italiani ha abrogato per via referendaria una specifica disposizione normativa (l’art. 23 bis della legge Ronchi) che stabiliva la privatizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. La scelta di richiedere la cancellazione, oltre che di una disposizione relativa alle tariffe dell’acqua (il secondo quesito), anche di una norma che riguardava tutti i servizi municipalizzati fu consapevolmente adottata con l’esplicito scopo di evidenziare la valenza generale del referendum. Come s’è detto sino allo sfinimento: è la questione dei beni comuni che si vuol porre al centro della discussione politica. Non solo l’acqua, ma tutti quei servizi locali che hanno a oggetto beni che, per la loro natura, risultano essere essenziali alla sopravvivenza del genere umano ovvero si pongono a fondamento del suo possibile sviluppo. Questa la sfida culturalmente "alta" che attraverso lo strumento referendario è stata lanciata. Una sfida che è stata clamorosamente vinta il 13 giugno. Si pone ora il problema di dare seguito alla volontà espressa dal corpo elettorale. Secondo quanto dispone la nostra Costituzione, infatti, mentre al popolo spetta il potere di abrogare le leggi, sono poi governo e parlamento che devono individuare la normativa positiva. Il nostro costituente ha immaginato che non si potessero contrapporre le decisioni assunte direttamente dal popolo da quelle dei suoi rappresentanti. In un sistema di democrazia rappresentativa, infatti, è ritenuto un dato indiscutibile che una determinazione del corpo elettorale su una questione specifica vincoli gli organi politici di governo. È possibile dire - in base all’esperienza passata - che la previsione del nostro costituente s’è rivelata un po’ troppo ottimistica. Il carattere esclusivamente abrogativo del referendum, l’esclusione di altri tipi di referendum più incisivi (che pure furono proposti in Assemblea costituente da Costantino Mortati), hanno provocato non pochi problemi. Tra questi v’è certamente la questione dei vincoli che determina l’abrogazione per via referendaria. È intuibile, infatti, che nel passaggio dalla normativa cancellata alla nuova regolamentazione della materia oggetto del referendum v’è un ampio spazio per far valere la discrezionalità del legislatore. In passato abbiamo avuto casi d’inerzia del legislatore ovvero d’interpretazioni dell’esito referendario molto discutibili. Su un punto però si era tutti d’accordo: il vincolo "minimo" per il legislatore è quello di carattere negativo, non potendosi riproporre la normativa espressamente abrogata. Ora è proprio questo quel che sembra stia avvenendo nel silenzio generale. Il ministro Tremonti ha annunciato che sarà proposta dal governo una normativa che indurrà i comuni a privatizzare i propri servizi pubblici di rilevanza economica. Fatti salvi - ha precisato il ministro - i servizi idrici in considerazione dell’esito referendario. Tremonti sa bene che la considerazione del referendum impone una diversa soluzione: una normativa esattamente contraria a quella che si va imponendo, che induca i comuni a pubblicizzare i servizi. Alcune conclusioni credo si possano trarre da questa storia. La prima riguarda il piano più strettamente costituzionale. Ci troviamo dinanzi ad una vera frode al referendum (che si sostanzia nell’uso del potere legislativo al fine di eludere, nuocere o ingannare la maggioranza del corpo elettorale), e che può ritenersi riflettersi in un’implicita violazione della costituzione. La seconda conclusione riguarda la dignità della politica, coinvolgendo in particolare le forze attualmente all’opposizione. Se queste aspirano a rappresentare la maggioranza del popolo italiano, esse oggi hanno un’ottima occasione per rivendicare una vittoria straordinaria che gli è stata affidata il 13 giugno. Se decideranno, invece, di dilapidare questo patrimonio acquisito, perderanno la propria anima e continueranno a vagare persi nel buio o chiusi nelle stanze anguste del potere selvaggio e senza regole. Una terza conclusione riguarda chi si era illuso fosse sufficiente la decisione popolare per "invertire la rotta". Ora diventa chiaro che la strada è ancora lunga. Riprendiamo il cammino.


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