IFE Italia

La Repubblica Democratica del Congo: teatro della 3a azione internazionale della Marcia mondiale delle donne

di Nadia De Mond
martedì 1 febbraio 2011 par ifeitalia

La violenza sessuale è considerata una caratteristica costitutiva della guerra nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).Lo stupro collettivo e massivo di donne e ragazze è stato documentato anche in Sierra leone, Ruanda, Liberia, Uganda Sudan e nei Balcani. Ma nella RDC lo stupro collettivo viene utilizzato in modo sistematico come un’arma di guerra da tutti gli attori armati.

Lo International Rescue Committee ha registrato 40.000 casi di stupro nella sola provincia del Sud Kivu tra il 2003 e il 2008. Da uno studio sulle donne curate all’Ospedale Panzi* a Bukavu risulta che le vittime sono donne di tutte le età – da 9 a 79 anni - , di tutte le etnie, per la maggior parte contadine. Gli stupratori sono per la maggior parte uomini in divisa, che agiscono in bande (gang rapes), in prossimità delle case delle vittime. Gli aggressori arrivano per saccheggiare i villaggi e stuprano le donne per sottomettere le comunità, scardinare la coesione sociale, spingere gli abitanti a sloggiare o a accettare di lavorare in condizioni di schiavitù.

Si tratta di milizie di ogni tipo: truppe provenienti dal Ruanda, Hutu e Tutsi, signori della guerra congolesi al soldo di interessi internazionali o agenti "in proprio", lo stesso esercito nazionale "riformato", milizie a carattere tribale,... La posta in gioco è la stessa, il controllo del territorio ricco di metalli preziosi: oro, diamanti, coltan (utilizzato nella fabbricazione di cellulari e portatili e reperibile in soli due posti al mondo: l’Australia e il Kivu) e molti altri.

Le violenze documentate sono tremende: l’introduzione di oggetti taglienti nella vagina è una pratica comune, così come quella delle armi azionate all’interno del corpo della donna. Padri sono costretti a violentare le figlie e fratelli le loro sorelle. Ragazze vengono rapite e utlizzate come schiave sessuali fino a quando la comunità non paghi per riscattarle. Ma la stigmatizzazione delle donne violentate è forte e l’abbandono sia da parte dei mariti che della comunità – anche per paura di rappresaglie – è alto. Lo studio registra un altro dato preoccupante che consiste nel forte aumento dei casi di stupro commessi da civili – tra l’altro come corollario di furti o rapine - il che denota una banalizzazione della violenza sessuale nella società.

Ufficialmente la RDC è considerata un Paese postbellico. Nello scorso decennio sono stati firmati vari accordi di pace e disarmo tra le forze belligeranti. Una forte missione delle Nazione Unite** dovrebbe vegliare sulla pacificazione, in particolare delle province orientali del Congo. In realtà le donne denunciano la totale inefficacia di questa presenza militare e l’impunità di cui godono queste truppe nei casi – non rari - in cui esse stesse sono autrici di violenza contro le donne.

Formalmente la RDC risulta una democrazia – nel 2006 si sono celebrate le elezioni in cui è stato eletto presidente Joseph Kabila, tuttora al potere. In realtà le istituzioni rimangono corrotte e i sevizi pubblici risultano praticamente inesistenti. Per la popolazione urbana rimane valido il famoso Articolo 15, noto sotto il regime di Mobutu, equivalente ad un "arragiatevi come potete". Nelle aree rurali, potenzialmente ricche del Kivu, la fame regna. Le donne hanno paura di allontanarsi dai villaggi per lavorare i campi, maestre/i e altri funzionari pubblici non vengono pagati – sono gli stessi genitori che si quotizzano per retribuire gli insegnanti e mantenere così un minimo di educazione scolastica.

Il quadro qui sopra brevemente dipinto racchiude i motivi per cui la Marcia mondiale delle donne, movimento femminista globale, ha scelto il Kivu come centro della sua 3a azione internazionale, un’azione focalizzata sul tema della violenza contro le donne in aree di conflitto, uno dei quattro campi di azione sui quali la Marcia si è mossa in questi anni. Come nelle precedenti edizioni – nel 2000 e nel 2005 – le attività di sensibilizzazione e di mobilitazione sul tema della pace e della smilitarizzazione sono cominciate a livello locale a partire dall’8 marzo, per confluire in iniziative regionali – per l’Europa si è realizzato un concentramento femminista a Istanbul alla vigilia del FSE a fine giugno – e finalmente concentrare le forze in un unico punto del pianeta, ritenuto emblematico per la problematica affrontata. Il raduno internazionale ha come scopo di andare a rafforzare le azioni locali delle associazioni di donne che, normalmente, godono di scarsa visibilità e potere d’impatto – malgrado il valore intrinseco del lavoro che svolgono sul terreno in termini di cura delle vittime, ricomposizione del tessuto sociale e costruzione delle condizioni di pace. Si tratta di creare un contesto – con gli occhi della stampa internazionale puntati – in cui si agevola la denuncia da parte delle attrici locali e si mettono palesemente i politici nazionali e internazionali davanti alle loro responsabilità.

Bukavu, tristemente noto come capitale della violenza sessuale, è stato scosso per 5 giorni dalla presenza di 2.500 donne, provenienti da tutte le province del Congo e da 42 paesi stranieri, che hanno gridato la loro ferma decisione di mettere fine alla violenza contro le donne del Kivu. Cinque giorni di dibattiti sulle stategie da adottare, scambio di esperienze e testimonianze, conclusi con una manifestazione massiccia di 30.000 donne nelle vie di Bukavu. Una mobilitazione che è andata al di là delle aspettative delle organizzzatrici, che ha coinvolto le donne dei villaggi – a volte venute a piedi per molte ore – e della città, costringendo le autorità locali e nazionali a fare i conti con il loro clamore.

Certo uno scossone non è un cambiamento durevole. Dopo la grande mobilitazione si ritorna alla minacciosa quotidianità del conflitto mai assopito, le promesse delle autorità accorse sul posto vanno monitorate e fatte rispettare smascherando i tentativi di recupero e di strumentalizzazione da parte di poitici/che in funzione delle prossime elezioni, la situazione rimane estremamente complessa e va seguita anche a livello internazionale. Però abbiamo la netta sensazione di aver contribuito , con un atto si solidarietà diretto e concreto, ad alleviare per un momento le pene delle donne in Kivu, alimentando la loro speranza e il loro coraggio nella quotidiana lotta per la pace.

*Ospedale privato, sostenuto dalla cooperazione internazionale, specializzato nella cura delle conseguenze fisiche e psichiche delle violenze sessuali con una capacità di accoglienza di 10 -12 casi al giorno – comunque non sufficiente a rispondere alla domanda

**Il budget della Monuc per l’anno luglio 2009/luglio 2010 era di 1 miliardo 350 milioni di dollari, mentre il bilancio dello Stato congolese per il 2009 era di circa 1 miliardo e 800 milioni.


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