IFE Italia

7 giugno 2013, Atene : l’ASSEMBLEA INTERNAZIONALE DELLE DONNE APRE L’ALTERSUMMIT

di Nicoletta Pirotta
giovedì 6 giugno 2013

da Atene alcune riflessioni

Da venerdì 7 a domenica 9 giugno 2013 si terrà ad Atene l’incontro internazionale dell’ALTERSUMMIT. L’incontro sarà organizzato dai movimenti sociali greci e delle organizzazioni della società civile, i sindacati, le ONG, le personalità politiche e culturali provenienti da tutta Europa. L’Alter Summit ad Atene sarà un passo in avanti nella costruzione di una maggiore convergenza tra i movimenti che si oppongono alle politiche anti-sociali e anti-ecologiche attualmente promosse dai governi e dalle istituzioni europee. Sarà un incontro altamente simbolico, dal momento che la Grecia, laboratorio dell’applicazione delle politiche di austerità , può anche diventare il laboratorio della resistenza contro l’austerità. L’incontro sarà aperto , venerdi 7 giugno 2013 dall’Assemblea generale delle donne che vedrà la presenza di reti, associazioni, movimenti e singole provenienti da tutta Europa e non solo.

L’Assemblea ci offrirà l’occasione di confrontarci con altre donne europee e non solo per fare il punto della situazione e promuovere, se ne saremo capaci, iniziative comuni.

Del resto è’ indispensabile e irrimandabile prendere posizione di fronte alla crisi economica e alla sua drammatizzazione in Europa.

Una crisi determinata ricordiamolo dalle politiche neoliberiste centrate sulla costruzione del mercato globale, sulla frammentazione dei luoghi di lavoro e delle filiere produttive, sul raddoppio della forza lavoro in particolare femminile, sulla precarizzazione del lavoro con la conseguente decostruzione dei diritti collettivi , su un formidabile dumping sociale e sulla finanziarizzazione dell’economia.

La crisi , attraverso l’enfatizzazione del debito pubblico e l’imposizione delle politiche cosiddette di di austerità ma nella sostanza di estorsione e salasso, viene utilizzata ovunque per concentrare la ricchezza nelle mani di pochi e per intensificare lo sfruttamento della forza lavoro colonizzando i corpi e le menti di donne e uomini.

Una colonizzazione però diseguale perché noi donne siamo posizionate in modo diverso nelle gerarchie di potere economico, politico, sociale e simbolico. Proprio per questo, dentro la crisi, l’esistenza delle donne è condizionata di più ed in modo specifico.

Purtroppo le differenti analisi che sono state fatte sull’applicazione globalizzata del modello neoliberista e sull’attuale crisi di tale modello hanno ignorato, sottovalutato o rimosso la struttura di genere , cioè le persistenti diseguaglianze tra donne e uomini generate dall’intreccio dei due sistemi di potere dominanti : il patriarcato e il capitalismo. Chiarisco che intendo per genere sia l’ elemento costituivo dei rapporti sociali fondato sulle differenze percepibili fra donne ed uomini e sia una delle modalità di significare i rapporti di potere.

La specificità della condizione femminile è un elemento strutturale per la comprensione della realtà e per la conseguente azione sociale e politica.

Indico come esempio concreto tre aspetti di questa specificità:

A) la femminilizzazione del lavoro, che ha caratterizzato il neoliberismo degli ultimi vent’anni, non ha significato solamente l’ aumento dell’occupazione femminile ( cosa di per sé positiva perché in grado di migliorale le condizioni materiali e simboliche delle donne favorendone da un lato l’emancipazione e quindi l’autonomia personale ed economica e svelando dall’altro la struttura sessuata del lavoro che si fonda sul pregiudizio i natura patriarcale secondo cui il lavoro delle donne ha da svolgersi soprattutto dentro le mura domestiche ed essere finalizzata alla riproduzione della forza lavoro) ma è servita, soprattutto, per generalizzare le condizioni di accesso e permanenza al lavoro storicamente prerogativa delle donne in modo da consentire il diffondersi della precarietà, del part-time, del tempo determinato, della flessibilità, dei bassi salari e degli scarsi diritti;

B) la strumentale suddivisione fra il lavoro produttivo e quello di riproduzione sociale, domestica e biologica che determina la diseguale redistribuzione fra i generi del lavoro di riproduzione domestica continua a costringere le donne che vogliono accedere ad un lavoro salariato ad accettare flessibilità e precarietà oppure ad abbandonare l’attività produttiva rinunciando alla propria autonomia economica, oppure ancora utilizzare manodopera femminile, per lo più immigrata, nel ruolo di colf e badanti con il risultato di svuotare l’emancipazione femminile dal proprio carattere conflittuale per trasformarla in un “affare fra donne”. Non è un caso che in una al nord Italia una fabbrica metalmeccanica in crisi tentò di licenziare per prima le donne con la motivazione le donne avrebbero comunque potuto comunque lavorare occupandosi delle faccende domestiche! Il genere femminile dunque subisce al contempo ed in ogni caso una doppia alienazione : del tempo per sé attraverso il lavoro casalingo e del prodotto della propria attività;

C) i tagli alla spesa pubblica determinati dalle misure imposte dalla Troika Europea (FMI, Commissione e Banca centrale europee) attraverso le politiche cosiddette d’austerità trovano la loro massima espressione ideologica nell’obbligo imposto agli Stati del pareggio di bilancio, che in Italia è stato addirittura introdotto in Costituzione con il beneplacito di tutto il Parlamento. I tagli determinano, la Grecia ne è un esempio concreto, la cancellazione, parziale o totale, dei sistemi pubblici di welfare. Questo non solo peggiorerà la qualità della vita di tutte e di tutti ma determinerà un aumento del lavoro gratuito delle donne che vedranno fortemente ridimensionata la loro possibilità di accesso al lavoro salariato ed un aumento della disoccupazione femminile vista l’alta percentuale di donne che lavorano nel settore pubblico dei servizi..

La specificità della condizione femminile aiuta a comprendere meglio e di più altri processi in atto.

L’utilizzo strumentale del debito e le conseguenti politiche di cosiddetta austerità aiutano a rimettere in discussione il principio di eguaglianza, uno dei principi fondativi della democrazia. Oggi sull’eguaglianza prevale il privilegio che costruisce una società fortemente asimmetrica escludente, ingiusta e violenta dove si affermano con maggior facilità arroganza, invidia, paura ,disagio ed insicurezza. Le donne conoscono bene questa situazione perché siamo sempre state meno eguali a causa della perdurante subordinazione materiale e simbolica operata dal sistema di potere patriarcale nei nostri confronti. E’ evidente dunque che la rimessa in discussione del principio di eguaglianza rischia di colpire ancora di più il genere femminile svuotando nella sostanza il diritto all’autodeterminazione e creando un terreno fertile alla riproposizione (già in atto) dei più tradizionali stereotipi femminili ( la mitizzazione della maternità e del ruolo domestico o di contro la riproposizione ossessiva del corpo delle donne come oggetto sessuale). Per questo riaffermare oggi il diritto all’eguaglianza non può significare né limitarsi alle pur necessarie pari opportunità né dover essere uguale a chi si ritiene superiore o “più potente” , al contrario il voler “essere eguale” presuppone un processo, individuale e collettivo, capace di sovvertire le strutture, personali e sociali, che hanno determinato l’ineguaglianza e costruito sistemi di potere escludenti e asimmetrici.

L’affermazione del privato non solo nella sua dimensione economica e sociale ha senza alcun dubbio a che vedere con la volontà dei sistemi di potere economici di assicurarsi un profitto sempre maggiore. Se si va ancora più a fondo però si può scoprire che la separazione fra pubblico e privato trova la sua radice più profonda nelle relazioni fra donne ed uomini. A questo livello infatti agisce un modello di natura patriarcale secondo il quale nella sfera privata sarebbe ammissibile anche ciò che in quella pubblica è inopportuno o disdicevole. La democrazia si ferma sull’uscio perché dentro le mura di casa tutto è consentito, anche la violenza che come ben sappiamo nella sua versione domestica è per le donne una delle maggiori cause di morte. Ed allora battersi contro la privatizzazione deve anche significare riscoprire uno delle più rivoluzionarie “scoperte” del movimento delle donne e cioè che che “il personale è politico” per ribadire che le regole che valgono per la sfera pubblica non possono essere differenti nel privato, a tutti i livelli.

In questo quadro la democrazia è in pericolo con il rischio di una possibile regressione di civiltà. Una democrazia debole, perché non sostanziata dal principio di eguaglianza e minacciata dall’esaltazione del privato svuota di significato i diritti collettivi faticosamente conquistati e nel contempo uccide il diritto all’autodeterminazione che è precondizione a tutte le altre libertà e a tutti gli altri diritti umani, anche ai più fondamentali perché presuppone il libero esame di qualsiasi idea, la capacità critica verso tutte le verità stabilite, il rigetto di qualsiasi dogma, a partire da quelli tanto “coltivati” dalle gerarchie ecclesiastiche che hanno nutrito fanatismi e oscurantismi di varia natura il cui bersaglio preferito è stato quasi sempre il diritto delle donne a disporre del proprio corpo. Ecco perché non basta riaffermare il principio di eguaglianza se insieme non si riafferma anche quello della laicità. Servono entrambi infatti per poter affermare l’ autonomia soggettiva ed il “potere” di autodeterminazione di sé stesse/i.

Le considerazioni che ho sin qui espresso e con le quali ho cercato di dimostrare come sia necessaria la categoria del genere per conoscere meglio la realtà, materiale e simbolica, interrogano anche noi stesse.

Mai come , infatti, le donne sono oggettivamente al centro del conflitto e poiché il femminismo “le ha rese soggettivamente meno disponibili e pazienti, esse possono divenire un soggetto collettivo capace di trasformare l’esistente”.

Da anni ci ripetiamo che le donne possono cambiare il mondo ma dobbiamo ora prendere atto che, perché questo avvenga, serve un salto di qualità della coscienza e delle pratiche.

Serve cioè non solo comprendere la gravità del contesto in cui siamo state gettate, ma anche il tipo di femminismo di cui abbiamo bisogno

Per quanto mi riguarda sono interessata ad un femminismo che non “accompagni ” i processi in atto ma li sovverta ed agisca le necessarie rotture di senso e di pratiche.

Se il femminismo si “accoda” acriticamente alla ripetizione di ritornelli o di slogans ormai svuotati del loro carattere conflittuale , se si accontenta dei bla bla bla fra un incontro e l’altro rischia di non essere più capace di leggere e comprendere la realtà e quindi di non essere più in grado di promuovere una coscienza critica , di proporre un’idea alternativa di società e di agire le necessarie rotture attraverso il conflitto.

Non si tratta di modificare qualche ingrediente oggi dobbiamo essere capaci di cambiare la ricetta.

Dobbiamo esigere che si debba non solo produrre ma anche riprodurre diversamente rimettendo in discussione le strutture di potere che agiscono sia sui luoghi di lavoro che nei rapporti famigliari.

Dobbiamo pretendere un welfare pubblico capace di affermare un universalismo dei diritti non di facciata ma in grado di contenere l’uno ed il multiplo e quindi di non dimenticare o rimuovere il genere femminile.

Dobbiamo ribadire che eguaglianza e laicità devono essere affermati congiuntamente perché vicendevolmente si rafforzano e sostanziano.

Dobbiamo affermare che siamo interessate al “potere” ma ad un potere come verbo e non come sostantivo per poter essere e per poter fare ciò che desideriamo.

Dobbiamo rifiutare la classica contrapposizione fra ragione e sentimento, perché vogliamo impegnarci ad affermare un diritto provando nel contempo empatia, compassione, solidarietà, generosità. Sentimenti oggi quasi rivoluzionari in grado di riconsegnarci un’ immagine non frammentata e non frammentaria di noi stesse, come singole e come collettivo, per dare forza e vigore alla nostra azione.

In una parola abbiamo bisogno di crederci e di viverci come soggetto collettivo capace di trasformare lo stato di cose esistenti.

In questa dimensione in Italia la lista “donne nella crisi” (www.donnenellacrisi.net) , nata durante il forum sociale di “Firenze 10+10”, ha dato il via ad una campagna di solidarietà con le donne greche che si è , per il momento concretizzata in una raccolta di fondi a favore del Dispensario sociale autogestito che opera in una caserma occupata di Elleniko, alle porte di Atene, e offre aiuto a persone che hanno perso l’assistenza pubblica e non possono pagarsi la privata. La campagna ha un risvolto solidaristico e , soprattutto, politico perché nel fare conoscere la situazione greca si vorrebbe attivare un protagonismo sociale capace di riaffermare l’universalità del diritto alla salute, in particolare per quel che riguarda la salute riproduttiva delle donne, e l’importanza dei sistemi sanitari pubblici che rendono esigibile questo diritto.

Solidarietà, diritti, azione, rete tutti sostantivi che caratterizzano la campagna ed alludono ad un’altra Europa.

L’augurio è che non solo l’Assemblea delle donne ma tutto l’ALTERSUMMIT di Atene sappia sostenerci in questa direzione

Nicoletta Pirotta IFE Italia/FAE

www.ifeitalia.eu


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