Sesso e politica nel post-patriarcato
Lo scambio tra sesso, potere e denaro, nel caso-Berlusconi, parla del degrado della cosa pubblica. Dell’uso privato delle istituzioni e del potere. Dell’asservimento dell’informazione - non tutta, ma la maggior parte -, con conseguente aggressione ai pochi spazi di libertà e di critica.
Sesso e politica nel post-patriarcato Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Tamar Pitch, Bianca Pomeranzi
Lo scambio tra sesso, potere e denaro, nel caso-Berlusconi, parla del degrado della cosa pubblica. Dell’uso privato delle istituzioni e del potere. Dell’asservimento dell’informazione - non tutta, ma la maggior parte -, con conseguente aggressione ai pochi spazi di libertà e di critica. Ma resta oscurato, nella rappresentazione che ne è stata data, quello che è il cuore della vicenda: la sessualità maschile e il rapporto con le donne di un uomo di potere. Ci troviamo di fronte a una sessualità e a un potere maschili che si esercitano su donne ridotte a corpi rifatti, per essere oggetti compiacenti di consumo. Nell’harem, a pagamento o meno, di Berlusconi la virilità è messa in scena come protesi del mito del capo. E le donne sono disponibili, perché subalterne a quella messa in scena. O al più interessate a uno scambio. Siamo all’eterno ritorno dei ruoli tradizionali? L’uomo al centro, da vero protagonista, le donne intorno, interscambiabili, accomunate e confuse in una stessa immagine? Noi pensiamo di no. La vicenda sessuale e politica del premier e della sua corte ci parla, al contrario, del dopo-patriarcato: intendendo con questo termine non la risoluzione, ma una nuova configurazione del conflitto fra i sessi. La sessualità maschile è, in tutta evidenza, in crisi. Non (solo) di prestazione, con relativo corredo di protesi tecnologiche e farmacologiche: bensì di desiderio, e di capacità di relazione. Gli uomini hanno ancora potere e lo usano nei rapporti con le donne. Ma è un potere senza autorità: nudo, come è nuda la miseria di una virilità tradizionale che si tenta di ripristinare contro la destabilizzazione dei ruoli sessuali provocata da quarant’anni di femminismo. Quanto a noi donne. Siamo davvero tutte accomunate in quell’immagine del corpo femminile plastificato, privo di cervello e oggetto del godimento maschile? O c’è uno scarto tra la fiction del femminile allestita dal regime televisivo e politico berlusconiano e la realtà delle vite e dei desideri delle donne? Certamente, quella fiction produce effetti di realtà e ha un forte potere di colonizzazione dell’immaginario e delle aspirazioni femminili. Tuttavia noi crediamo che fra quella fiction e la realtà uno scarto resti, e che proprio questo scarto abbia reso possibili le parole e i gesti di libertà di alcune donne coinvolte nella vicenda, prima tra tutte Veronica Lario, e di quante fra noi hanno dato a quelle parole e a quei gesti rilevanza politica. Si può dunque, e come, lavorare sullo scarto tra fiction e realtà? Spetta a noi leggere la condizione femminile inforcando le lenti giuste per riconoscere tracce di libertà e forme di resistenza e dissociazione che si sviluppano anche laddove la politica e l’informazione non le vedono. In donne differenti tra loro, e anche in quelle in tutto dissimili dalle femministe di ieri e di oggi. Vistoso è, nello scambio fra sesso, potere e denaro, il degrado della politica. Lo si denuncia sempre oscurandone, però, il segno sessuato. Certo, non è di oggi la perfetta continuità fra le aziende-spettacolo del presidente e il suo uso privato della cosa pubblica e delle istituzioni. Ma la novità è che il premier-imprenditore dispensa, in cambio di sesso, un provino da velina o un posto da parlamentare come fossero equivalenti. E ancora: Berlusconi si appella al «gradimento degli italiani», pubblico (l’audience) e privato (la complicità sulla sua presunta prestanza sessuale) per sottrarsi a qualsiasi regola di democrazia e di trasparenza. Di più: il «gradimento» legittima la menzogna, o meglio crea la verità di regime «della maggioranza». Ma la politica così degradata perde ogni residua autorevolezza. Lo conferma il modo in cui tutta questa vicenda (non) è stata affrontata nelle istituzioni politiche. Per mesi, uomini e donne della maggioranza, ma anche dell’opposizione, si sono attestati sulla linea Maginot della distinzione fra il pubblico e il sacro «privato dell’alcova». Il disprezzo verso le donne è stato coperto con le accuse al «moralismo dei parrucconi». E la manipolazione della verità ad opera dei media controllati dal premier con il rifiuto del gossip. Anche negli appelli alla mobilitazione in nome della democrazia e dei diritti, però, la questione sesso e potere resta opaca. Perché oggi, come e diversamente dagli anni ’70, quell’intreccio chiama in causa una trasformazione radicale della politica, e un’autocritica ruvida delle connivenze culturali dell’opposizione con il berlusconismo. Ed è troppo scomodo per i partiti di opposizione, presenti in parlamento e non, perché mette in questione il patto a cui tutti si attengono nella selezione e cooptazione del ceto politico, femminile e maschile. Mai come oggi i rapporti tra i sessi sono il cuore della politica. Dopo la rivoluzione femminile, nel disordine del presente, si può e come riprendere parola su sessualità e politica? A partire da quali esperienze di relazione (o non) con gli uomini? Da quale desiderio? C’è da confrontarsi sui mutamenti del presente. Sono molte le donne che oggi si sentono schiacciate dalla suddetta fiction del femminile, e invocano una nuova stagione di lotte femministe. Ma c’è da chiedersi quanto siamo state disposte a rischiare, ciascuna nel suo contesto, perché «il modello dominante» fosse meno visibile o meno coccolato, e di converso il pensiero femminista fosse registrato, la parola femminile diventasse più autorevole, la bellezza femminile non venisse colonizzata. La questione dirimente è quella delle pratiche femminili quotidiane di resistenza, conflitto, secessione, autonomia, libertà. Sono queste le pratiche che hanno reso forte il femminismo in Italia e altrove, e molecolare la trasformazione dei rapporti fra i sessi che la fiction berlusconiana combatte e occulta, ma non vanifica. Come valorizzare queste pratiche, sottraendole all’occultamento? Come rilanciare il senso politico della libertà femminile, strappandola al suo stravolgimento in libertà di competere sul mercato del corpo? Come dare alla parola femminile una forza più duratura dell’indignazione? Di tutto questo invitiamo a discutere donne e uomini il 10 ottobre, h.10, alla Casa internazionale delle donne di Roma.
Sul testo di convocazione , come IFE Italia, abbiamo inviato alle amiche che l’hanno scritto le nostre impressioni. A partire da due ordini di ragionamento intrecciati fra loro. • Preferiamo parlare di NEO PATRIARCATO piuttosto che di POST PATRIARCATO perché crediamo oggi la contraddizione sessuale si declini in una rinnovata affermazione della “ legge del Padre” sia nella versione volgarizzata del “papi” sia in quella altrettantanto inquietante delle gerarchie religiose (in particolare delle tre religioni monoteiste) . Nell’agonia sempre più evidente del principio di laicità diviene sempre più forte il potere delle gerarchie religiose che provano, appunto, a “rimettere ordine in nome del Padre” intervenendo sul rapporto fra le donne e gli uomini e più in generale fra la persona e lo “Stato” con l’evidente intento di contenere il diritto all’autodeterminazione femminile.. Ritorna prepotente un ordine patriarcale che colpisce soprattutto le donne perché sebbene le gerarchie religiose non abbiamo inventato l’idea di una inferiorità “naturale” delle donne è altrettanto vero che i “patriarchi” hanno trasformato in dogma, in verità divina le regole sociali dominanti fondati sul predominio del genere maschile. L’attacco alla laicità non riguarda solo l’Italia ma è fenomeno quantomeno europeo che agisce in Croazia come in Polonia, in Ungheria come in Francia . Segnaliamo a questo proposito che sarà lanciato in questi giorni un appello femminista internazionale sull’urgenza di affermare ovunque il principio di laicità, proposto da Nawal El Saadawi scrittrice e femminista egiziana oltrechè premio Nobel e sostenuto da molte associazioini femministe europee e internazionali fra le quali l’IFE (Iniziativa Femminista Europea); • la crisi del modello liberista rende sempre più evidente che il formidabile processo di restaurazione capitalista che si è manifestato nel corso degli ultimi trent’anni ha dato vita ad una costante scomposizione dei diritti al lavoro e del lavoro, allo svuotamento del principio di uguaglianza (ed noi crediamo che non si possa essere differenti se prima non ci si afferma uguali), alla restrizione del concetto di cittadinanza con la conseguente precarizzazione della vita delle persone. Nel prevalere dei sentimenti di solitudine, insucurezza, paura, rifluisce la partecipazione, viene svalorizzata la dimensione pubblica, si enfatizza il privato non solo nella dimensione economica ma anche in quella sociale e individuale. Due le conseguenze ormai evidenti : il declino della democrazia (che potrebbe addirittura trasformarsi in regressione di civiltà) e la morte della politica intesa nel suo valore autentico di partecipazione alla vita della “polis” e di azione trasformatrice della realtà. Negli anni 70 il movimento femminista diede corpo alla democrazia e alla politica affermando che “il privato è politico” oggi drammaticamente “la politica è il privato”. Una torsione in tutta evidenza non solo semantica.
Possiamo come femministe ritessere i fili fra questione economica e sociale, fra democrazia e laicità? Possiamo tenere insieme il piano materiale e quello simbolico, il desiderio e la realtà? Ci auguriamo che l’incontro di sabato 10 ottobre , che avete opportunamente proposto, sia il primo passo di un lungo cammino comune. Se non ora quando?
Per IFE ITALIA ( Danila Baldo, Cinzia Colombo, Rita Fiorani, Emanuela Garibaldi, Anita Giuriato, Nicoletta Pirotta)
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