IFE Italia

Partigiane/i di beni comuni

di Nicoletta Pirotta
martedì 31 gennaio 2012

Napoli, 28 gennaio 2012

FORUM DEI COMUNI PER I BENI COMUNI Tavolo tematico su : “ Beni comuni, partecipazione, servizio pubblico”

Nelle relazioni che hanno aperto questo interessante ed opportuno Forum e negli interventi che mi hanno preceduto si è affermato il desiderio, se non la necessità, di costruire un nuovo “senso comune” che consenta di dare prospettiva alla nostra comune volontà di trasformazione dell’esistente. In un’epoca segnata dalla solitudine e dall’estranazione (nel significato che Hanna Arendt assegna ai due termini) ritengo anch’io opportuno e desiderabile ricercare un nuovo senso comune , contribuendo al formarsi collettivo di una coscienza di sé e del mondo sia nella sfera materiale e che in quella simbolica, nella realtà oggettiva e in quella soggettiva.

Cercherò dunque di condividere con voi alcuni spunti di riflessioni che sto approfondendo e sui quali stiamo producendo attività politica sia come Iniziativa Femminista Europea (una rete di donne presente in una quindicina di paesi dell’Europa) sia come rete@sinistra.

Gli spunti riflessivi riguardano una questione , due principi ed alcuni strumenti.

La questione : credo che i processi di privatizzazione di cui si discute anche in questo forum , e oggetto del recentissimo decreto governativo abbiano senza alcun dubbio a che vedere con la volontà dei sistemi di potere economici che governano il mondo di assicurarsi un profitto. Credo però che, se si va ancora più a fondo, la separazione fra pubblico e privato trovi una potente “significazione” altresì nelle relazioni fra esseri umani ed in particolare fra generi. A questo livello infatti agisce un modello di natura patriarcale secondo il quale nella sfera privata sarebbe ammissibile anche ciò che in quella pubblica è disdicevole. Ricordo molto bene come ,nelle vicende meschine dell’uomo di Arcore, i suoi strenui difensori si affannavano ad affermare, ad ogni piè sospinto, che “ciascuno nel proprio privato è libero di fare quel che vuole”. Anche chi ne era disgustato, però, si limitava a rispondere che questo non poteva valere quando si ha a che fare con un personaggio pubblico senza dunque mettere in dubbio l’assunto che il privato sia il regno della libertà ed anche della licenza. Come dire, cioè, che la democrazia si ferma sull’uscio perché dentro le mura di casa tutto è consentito. Una simile concezione ha molto a che fare, a mio avviso, con un mai superato modello di dominazione maschile che si esercita nella dimensione privata e determina ancora fortemente la natura dei rapporti fra genere producendo dissimmetria ed alienazione. Lo spiega bene Cristine Delphy , filosofa femminista, che invita a riflettere sulla funzione di tale dominazione che si riversa nella sfera sessuale e nell’espropriazione del tempo delle donne attraverso il lavoro casalingo. Dunque il modello che determina la separazione fra pubblico e privato è funzionale ai sistemi dominanti e per questa ragione , nella costruzione di un nuovo senso comune, dovrà essere messa in discussione riaffermando, a mio avviso, quello che fu il più rivoluzionario “slogan” del movimento delle donne e cioè che “il personale è politico” per ribadire che le regole che valgono per la sfera pubblica non possono essere differenti nel privato.

I principi: invito a considerare alcuni principi, due in particolare, come beni comuni purchè si sia in grado di risignificarli compiendo le necessarie rotture, materiali e simboliche, con la realtà data.

Uno di questi principi è quello dell’eguaglianza. Dopo gli anni furibondi del capitalismo nella sua versione neoliberista e nella ferocia delle ricette proposte dal neoliberismo nmedesimo per uscire dall’attuale crisi economica e sociale, sia tempo che tale principio venga declinato non solo nella versione strumentalmente pacificata delle pari opportunità, cioè di semplici accomodamenti, pur se a volte necessari, dentro sistemi che restano immutabili. Il principio di eguaglianza , come invitano a fare altre filosofe femministe fra le quali Nicole Thevenin e Genevieve Fraisse, va agito come processo in grado di sovvertire l’esistente in quanto organizzatore di pensiero e di politica capaci di rivoluzionare le strutture, personali e sociali, che determinano l’ineguaglianza e l’asimmetria di potere. Non voglio, quindi, essere uguale a chi mi opprime ma voglio lottare per modificare le strutture che determinano l’oppressione. Lo voglio fare non solo perché donna, condannata ad essere secondo sesso a prescindere, ma in quanto essere umano e mi piacerebbe davvero tanto che il genere maschile, almeno quello più illuminato, agisse insieme a me questo conflitto e questa rottura.

Il secondo principio, non per importanza ovviamente, è quello di laicità. In un’epoca come quella attuale di grandi migrazioni che fanno convivere in uno stesso luogo culture e tradizioni differenti, il principio di laicità diventa essenziale. E lo diventa non solo nel suo più alto significato di separazione fra Stato e Chiesa (intesa come gerarchia) e di distinzione fra secolarizzazione e religiosità ma anche come capacità di abbandono di dogmi, di fanatismo e di fondamentalismo, in particolare religiosi. La laicità dunque come principio di governo della propria vita che rinvia all’autonomia soggettiva e si sostanzia nel potere di autodeterminazione di se stesse e se stessi (si veda a qs proposito l’elaborazione del gruppo europeo di IFE sulla laicità coordinato da Soad Baba Aissa e Nina Sankari rispettivamente franco-algerina e polacca, www.ifeitalia.eu). Un principio di laicità così inteso non potrebbe considerare accettabile una cultura che non riconosce i diritti delle donne come diritti universali svelando i rischi ed i pericoli di un multiculturalismo superficiale.

Risignificare in questa prospettiva eguaglianza e laicità aiuterebbe non solo la costruzione, su un piano politico-culturale, di un nuovo senso comune ma potrebbe addirittura rivelarsi utile nel ripensare, in un quadro di diritti certi, le politiche locali in materia di servizi alla persona.

Infine gli strumenti. Ne indico due, una pratica ed un sentimento.

La pratica è quella dell’educazione popolare intesa come percorso di formazione ed autoformazione permanente e collettiva per “redistribuire” il potere della conoscenza e della consapevolezza di sé e del mondo.

Il sentimento è quello dell’empatia intesa non solo nella capacità di “mettersi nei panni dell’altra/o” ma nella sua dimensione politica che , come propone la giurista Martha Nussbaum, ci fa capaci di costruire “salda comunanza” e ci costringe ad imparare a “prenderci cura” di noi stesse/i e del mondo.


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