IFE Italia

In difesa della salute

di Gustavo Zagrebelsky
lunedì 6 agosto 2012

dal quotidiano "la Stampa" del 26 luglio 2012

Episodi di «malasanità» mettono in ombra la vasta area di «buonasanità» offerta dal Servizio Sanitario Nazionale italiano. La massima sensibilità rispetto a tutto ciò che riguarda la salute è comprensibile, ma può in proposito essere utile qualche osservazione generale. Lo Stato sociale europeo e in particolare quello italiano ha ormai radici tanto forti che l’accumularsi nel tempo di diritti assicurati dalle leggi non rappresenta più soltanto un dato legislativo, contingente e mutevole nel tempo. Un alto livello di sicurezza sociale è ormai acquisito come naturale e irretrattabile. In particolare per la salute ogni insufficienza e ogni arretramento nel servizio pubblico sono vissuti come un diniego di giustizia. Il servizio pubblico sanitario si ritiene debba essere non solo tendenzialmente totale, ma anche gratuito, cosicché l’introduzione o l’aumento dei ticket non è questione che rinvia a scelte politiche, come tali discusse, ma lede diritti. Si tratta di una cultura e di una civiltà che distingue l’Italia e larga parte d’Europa, ma che è lontana dall’essere universale. Basta pensare alla battaglia politica, ancora in corso negli Stati Uniti, per l’introduzione di un sistema di assicurazione generalizzata in materia sanitaria, ove gli interessi economici coinvolti fanno leva su radicati contrasti culturali in ordine al ruolo della società e dello Stato rispetto all’individuo.

Nella Costituzione italiana la tutela della salute è riconosciuta come diritto fondamentale dell’individuo e come interesse della società. Si tratta dell’unico diritto della persona che la Costituzione qualifica come fondamentale. E’ un diritto i cui contenuti sono in certa misura indefiniti e mobili. Essi si arricchiscono con lo sviluppo della ricerca medica e l’aumento delle terapie a disposizione dell’umanità; essi però si riducono quando le risorse economiche pubbliche scarseggiano. Il Comitato delle Nazioni Unite responsabile della vigilanza sull’attuazione del Patto internazionale dei diritti economici e sociali (1966), definendo la portata del diritto alla salute come il «diritto alle migliori condizioni di salute fisica e mentale raggiungibili», ha tra l’altro affermato che esso implica il dovere degli Stati, una volta raggiunto un certo livello di garanzia della salute, di non arretrare. Si tratta di orientamento che appoggia la resistenza, oggi evidente in molti Paesi, alla diminuzione dei servizi sanitari come conseguenza di tagli alle risorse pubbliche ad essi destinate. Una resistenza che si manifesta in Italia, ma anche in Portogallo, Spagna, Francia e riguarda, senza le necessarie distinzioni, sia la vera eliminazione di servizi, sia le modifiche organizzative o gestionali dirette a diversamente utilizzare le risorse disponibili. In proposito il primo che viene in mente è il tema della geografia della medicina di prossimità e dell’articolazione sul territorio dei diversi livelli dell’intervento medico. Ad esso si riferiscono sia l’impianto del recente Piano della Regione Piemonte sia l’annunciato progetto del Ministro della Salute Balduzzi sul ruolo e l’organizzazione dei medici di base.

I provvedimenti conseguenti alla c.d. «spending review» promettono meno risorse economiche anche nel settore sanitario. Ma il ministro Grilli, pochi giorni orsono, rispondendo ad una interrogazione parlamentare, ha assicurato che la revisione della spesa sanitaria garantisce economie di spesa, senza alcuna incidenza negativa sul livello qualitativo e quantitativo dei servizi erogati ai cittadini.

C’è da chiedersi come questo sia possibile, quando si considerino le riduzioni delle risorse di origine statale insieme a quelle regionali. E’ probabile che l’effettiva erogazione dei servizi subisca una diminuzione o un rallentamento. La disponibilità teorica può non mutare, ma le liste di attesa si allungano (e cresce il ricorso alla sanità privata). La riduzione dei finanziamenti all’attività del privato sociale –spesso decisiva per rendere effettivo l’accesso alle cure - lascia intatti apparentemente il ruolo e l’ampiezza del servizio pubblico, che però diventa meno fruibile da parte di fasce sociali deboli e particolarmente vulnerabili. Con ciò si vuol dire che il termine «tagli» può condurre a equivoci e a nascondimenti della realtà. Sul piano formale si può negare che il «taglio» sia stato apportato, anche se c’è chi nella realtà lo patisce. La trasparenza in materia è molto importante, sia perché assicura la corretta informazione della cittadinanza, sia perché riporta la responsabilità delle scelte nel luogo istituzionale proprio, sia esso il governo nazionale o quello regionale. Se sono necessarie riduzioni nei servizi offerti in materia sanitaria, le scelte da fare richiedono partecipazione e chiarezza, secondo criteri di priorità razionali e non discriminatori. Partecipazione al processo decisionale, pubblicità delle scelte effettuate, non discriminazione nei loro effetti, sono criteri sottolineati da tutte le organizzazioni internazionali, come il già ricordato Comitato economicosociale delle Nazioni Unite e l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Merita uno speciale richiamo la regola della non discriminazione. Essa non vieta soltanto le dirette esclusioni di parte della popolazione dall’accesso ai servizi di prevenzione e di cura (per ragioni di razza, sesso, religione, origine, condizione economica o sociale, ecc.). Essa riguarda anche la più insidiosa discriminazione indiretta, quella che fa pesare di fatto su gruppi della popolazione le loro caratteristiche o debolezze, che non riguardano lo stato di salute, ma che incidono sulla possibilità di avvalersi dei benefici che sono a disposizione della generalità. Gli esempi sono facili. Il più evidente è quello che riguarda la c.d. accessibilità economica del servizio sanitario, legata alla sostenibilità del relativo costo. Ma l’elenco degli esempi è lungo. Se il luogo in cui è fornito il servizio sanitario viene allontanato, senza prevedere mezzi di trasporto adatti a chi, per salute, età o altro non ne dispone, una misura che sembra neutra si traduce in una discriminazione indiretta. La complessità delle procedure amministrative da seguire per accedere al servizio, se non accompagnata da una sufficiente e capillare informazione, finisce con l’escludere chi, per la non conoscenza della lingua o per altro, si perde tra gli uffici e gli sportelli, che pure – apparentemente - gli sono aperti.

Il discorso può allungarsi, ma ciò che emerge è la necessità di evitare i «tagli lineari» e di discutere invece e stabilire criteri e priorità, nel disegnare l’area coperta dal servizio pubblico e nello stabilirne l’accessibilità e il costo per gli utenti.

Altra cosa è la lotta agli sprechi e alla corruzione. Una lotta che è da appoggiare senza riserve. Essa sì può ridurre i costi complessivi a carico dello Stato e delle Regioni, senza diminuire l’ampiezza del diritto alla salute di tutte le persone.


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