Nuovi principi per un’altra politica sull’immigrazione
Negli anni scorsi, nel mio lavoro presso il Consiglio regionale della Lombardia, mi sono occupata di politiche immigratorie. Alla luce delle esperienze fatte concordo con quante/i sostengono che il governo italiano si è infilato in un vicolo cieco riguardo alla gestione degli sbarchi a Lampedusa. L’Italia, infatti, a causa delle normative in vigore e dei comportamenti politici assunti dalle forze di governo, si trova nelle condizioni peggiori per poter affrontare in modo efficace il problema. La legge sull’immigrazione (la Bossi Fini del 2002 ) è stata più volte più volta indicata da molte istituzioni internazionali (fra cui Amnesty International) come non adatta ad affrontare le questioni relative all’immigrazione in particolare quelle legate al “diritto d’asilo” e la legge 94 del 2 luglio 2009 che introduce in Italia il reato di immigrazione clandestina hanno prodotto così forti vincoli ideologici da ostacolare ad una gestione “laica” delle politiche immigratorie. E’ utile ricordare che se è vero che il reato di clandestinità esiste in altre Paesi Europei, va osservato che “negli ordinamenti francese e britannico non esiste l’obbligatorietà dell’azione penale: l’autorità procedente può quindi decidere di affrontare l’immigrazione clandestina senza ricorrere all’incriminazione dello straniero”. Il reato previsto dalla legislazione italiana prevede invece l’incarcerazione e un processo anche se vige sempre la possibilità di espulsione immediata. Non è un caso che la legge 94 /2009 ha suscitato diverse critiche da parte di ambienti differenti ( il “Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti”, moltissime associazioni anche internazionali che si occupano di immigrazione, intellettuali e giuriste/i). La corte Costituzionale stessa ha più volte messo in luce gli aspetti di questa legge fortemente incompatibili con la Costituzione Italiana e con le norme internazionali in materia (in particolare sulla parte per la quale la legge non prevede il “giustificato motivo”). Non bisogna essere particolarmente intelligenti per comprendere che queste leggi sono quanto di più demagogico ed obsoleto possa esistere per poter affrontare in modo efficace l’emergenza sbarchi. C’è poi un aspetto squisitamente politico. Sulle politiche immigratorie l’attuale governo ha da sempre snobbato le direttive europee. Agitando la sciagurata “bandiera” del “padroni a casa nostra” insieme a quella del “ghè pensi mì” l’ Italia per “ eliminare l’immigrazione alla fonte” (come fosse semplice!) si è accordata particolarmente con la Libia, a spese dello Stato italiano e in sprezzo al riconoscimento dei diritti delle persone universalmente riconosciuti , molte e molti immigrati sono stati inviati in territorio libico per poi essere rispediti nei loro Paesi di origine, in genere l’ Africa subsahariana o centrale. Giova ricordare che questa politica ha determinato ripetute proteste da parte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che ha più volte sottolineato come la "politica dei respingimenti", come viene comunemente definita, non tiene in dovuto conto che fra persone respinte potrebbero esservi dei richiedenti asilo politico. Giova altresì ricordare che, attualmente, il nostyro Paese è in guerra contro il “governo” libico. Da questo punto di vista gli attuali richiami all’Europa (al di là che non sia affatto condivisibile l’insopportabile immobilismo degli organismi politici dell’Unione) da parte del ministro Maroni e del governo paiono francamente fuori luogo perché incapaci di riaprire quel dialogo politico che si sarebbe dovuto imbastire già da tempo. Inoltre v’è anche da dire sull’”emergenza sbarchi”. Intanto è utile ricordare che , come più volte sostenuto anche dall’UNHRC (quindi da una fonte istituzionale) stante il “processo di mondializzazione, la mutata natura dei conflitti, la crescente complessità dei movimenti di popolazione e le nuove forme dell’azione umanitaria, la persistente esigenza di trovar soluzioni durature al problema dell’esodo forzato” la pace e la stabilità nel mondo dipendono dalla sicurezza delle e dei singoli individui a cui vanno riconosciuti, in ogni luogo del mondo, i diritti universali riconosciuti in tutte le normative internazionali. Invece a causa delle leggi vigenti nel nostro Paese si è sprecato molto tempo a discutere sul come andavano definite le persone che sbarcavano ( richiedenti asilo o clandestini?) creando a Lampedusa una situazione che non è esplosa solo grazie al buon senso e alla solidarietà delle e degli abitanti dell’isola e alla “disperata pazienza” delle e degli immigrati. Poi si è gridato, come si è soliti fare quando non si vuole risolvere i problemi ma alimentarli, all’”invasione biblica” mentre i numeri che si sono dovuti affrontare non sono certo di quelli impossibili. Dati recenti ONU ci dicono che “nel mondo sono 43 milioni le persone costrette a movimenti forzati. Si tratta di 15,2 milioni di rifugiati, 27,1 milioni di sfollati interni e 983 mila richiedenti asilo. In questo quadro l’Italia non gioca un ruolo fondamentale. Infatti, per numero di rifugiati che ospita si posiziona tra i ’’meno virtuosi’’ in Europa, insieme alla Grecia. … i rifugiati in Italia sono 55 mila e nel 2009 nel paese sono state presentate circa 17 mila domande d’asilo (17.603, un dato quasi dimezzato rispetto al 2008 quando erano 30.492), cifre molto basse rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea, in termini sia assoluti che relativi. A titolo di comparazione, la Germania accoglie quasi 600 mila rifugiati ed il Regno Unito circa 270 mila, mentre la Francia e i Paesi Bassi ne ospitano rispettivamente 200 mila e 80 mila. In Danimarca, Paesi Bassi e Svezia i rifugiati sono tra i 4 e i 9 ogni 1.000 abitanti, in Germania oltre 7, nel Regno Unito quasi 5, mentre in Italia appena 1 ogni 1.000 abitanti.” Gli sbarchi a Lampedusa dunque pur se consistenti non sono certo impossibili da gestire, a patti che si sappia o si voglia gestirli. Per concludere il mio ragionamento vorrei sottolineare un ultimo aspetto: logica vorrebbe che nell’Europa del “libero mercato e della libera circolazione delle merci” i governi “amici” (quelli per intenderci che condividono l’applicazione delle politiche liberiste nonostante che tale applicazione aumenti la povertà e la precarietà, alimenti le ingiustizie sociali e cancelli diritti collettivi ed individuali) dovrebbero essere in grado, per similitudine, di promuovere azioni comuni per affrontare e risolvere problemi comuni , al contrario ciascuno pensa al proprio “interesse di bottega” e “chissenefrega” del resto del mondo. Come si fa a non vedere che è arrivato il tempo di riaffermare altri valori e principi e quindi di cambiare politica? Nicoletta Pirotta
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