OXI!NO.
Pubblichiamo, con il consenso dell’autrice, un commento a caldo sul voto referendario in Grecia.
Oxi! No! Malgrado la campagna di terrore che ha preceduto il referendum, più del 61% dell’elettorato ha votato contro il piano dei creditori internazionali, BCE e Fondo Monetario Internazionale, a cui era stato trasferito il debito greco per salvare gli istituti di credito tedeschi e francesi.
I giovani hanno dato un contributo decisivo alla vittoria: il 37% degli over 55 e il 67% delle persone nella fascia d’età tra i 18 e i 34 anni hanno votato per il no. Le ragioni sono ovvie, ma il dato merita una forte sottolineatura, che aiuti a comprendere di che cosa il risultato del referendum davvero ci parli. Molti, amici e nemici del governo greco, temevano o speravano la vittoria del sì. In modo particolare la direzione politica della Germania e le istituzioni europee, che nel referendum avevano visto l’ insperata occasione di liberarsi di Syriza. Non è andata così e bisognerebbe aver chiaro che cosa questo significhi, per evitare sia di banalizzare il risultato in vista dei gravissimi problemi del presente e del futuro prossimo, sia di non vederli in nome dello straordinario risultato.
Chi avesse avuto voglia di passare la notte del 5 luglio, saltando da un canale all’altro per ascoltare i commenti, avrebbe goduto di un istruttivo spettacolo. Notabili di partito, giornalisti al soldo ed economisti scriteriati hanno dato il meglio di sé in quanto ad attitudine alla menzogna o pura e semplice incapacità di spingere lo sguardo oltre la punta del proprio naso. L’insonne sarebbe stata colpit@ soprattutto dalla ripetizione. E’ probabile che con l’aspettativa dell’affermazione del sì non abbiano fatto in tempo ad aggiornare gli argomenti, che l’esito del referendum ha reso lisi come abiti troppo usati, indossati in una ricorrenza che avrebbe richiesto qualche capo nuovo. Insomma, i Greci hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità, possono accedere a laute pensioni poco più che adolescenti e pretendono di vivere a sbafo a spese degli altri 18 popoli dell’eurozona. Ma il mantra dominante e più diffuso attribuisce la crisi della Grecia al nuovo governo: seguendo i buoni consigli delle istituzioni europee, l’economia greca aveva ricominciato a crescere, quando un governo irresponsabile ha deciso di precipitarla nella disperazione e nella miseria. Anche i canali che di solito per decenza lasciano spazio a voci critiche, hanno dato l’impressione di avere elevato un muro che impedisse ad altre voci di passare.
Tra gli elementi che spiegano le prime reazioni non c’è solo il servilismo nei confronti dei mercati finanziari, ma anche un meccanismo di autodifesa. I successi elettorali di Syriza e di Podemos avevano già rappresentato l’apertura di un nuovo orizzonte rispetto a quello dell’ossequio universale al liberismo. L’ottusa convinzione che non esistano alternative alla sottomissione ai mercati finanziari si infrange sulla realtà: emerge un’altra sinistra capace di resistere a suo modo alla troika, conquistando consensi e spazi. La novità consiste nella rottura di uno stereotipo consolidato che dagli anni Settanta del secolo scorso ha regolato i rapporti tra quelle che venivano chiamate le “due sinistre”. L’una maggioritaria, capace di sporcarsi le mani, ottenendo così ciò che era realistico sperare e possibile ottenere; l’altra minoritaria e testimoniale, incapace di raccogliere i consensi elettorali necessari a contare qualcosa che andasse oltre l’etica, l’estetica e una ridotta capacità di pressione. Ciò che l’ex-sinistra dovrebbe più di ogni altra cosa temere, è di subire la stessa sorte dei partiti liberali dei primi due decenni del secolo scorso. Essi divennero a un certo punto strumenti inservibili a garantire il consenso o la rassegnazione dei sudditi, a vantaggio di partiti di classe, rivoluzionari o riformisti o di formazioni politiche di destra aggressive e militanti.
La storia si ripete? No naturalmente, ma le dinamiche sociali hanno proprie logiche e quelle logiche sono caratterizzate anche da costanti. Il breve discorso di Tsipras, quando le dimensioni della vittoria sono state chiare, mostra la consapevolezza che la posta in gioco non è solo greca e che Syriza deve ora misurarsi con la dimensione europea della critica. Il 3 luglio Repubblica ha intervistato Thomas Piketty, docente di economia alla Paris School Economics e autore di un testo assai citato “Il Capitale del XXI secolo” (2013). Nell’intervista Piketty, oltre a pronunciarsi per il no ma a temere il sì, rivolge al capo del governo greco la critica di non aver saputo comunicare che si trattava per trovare soluzioni per tutta l’eurozona e non solo per la Grecia.
Dopo il referendum Tsipras ha rilanciato proprio su questo terreno, cioè sull’esigenza di riarticolare il debito di tutti per tutti. E questo è proprio ciò che la troika e i partiti ossequienti vogliono evitare, come vogliono evitare anche qualcosa d’altro che il referendum ha messo invece a rischio. La cosa riguarda le modalità e i siti delle decisioni più importanti per la sopravvivenza di una comunità. E’ noto e stradetto (ma non è una buona ragione per non dirlo ancora) che in Europa i luoghi delle decisioni e del potere reale si sono collocati in zone umbratili del tutto al riparo dall’opinione popolare e dai suoi tradizionali strumenti di partecipazione. Se è utile ricordare che la sostanza della democrazia liberale è in ultima analisi questa, non serve ridurre a uno ciò che è molteplice e a semplice ciò che è invece complesso. La democrazia liberale ha come minimo due facce, una quando subisce la pressione di un movimento che organizza e politicizza i settori popolari subalterni organizzati in classe. L’altra quando questa pressione viene a mancare per fenomeni di depressione o di frammentazione oppure perché il potere si è reso scarsamente visibile. L’Europa delle banche si è imposta non solo ma anche, sottraendosi a ogni forma di controllo, anche se parziale o in gran parte illusorio. Si potrebbe dire, utilizzando le tre categorie che costituiscono il 61% dell’oxi, che con il referendum cittadinanza, popolo e classe hanno invaso per un momento il territorio riservato alle élites di potere e ne hanno provocato fibrillazioni e inquietudini.
Qualcosa di importante è quindi accaduto. Eureka, come titola come titola stamattina Il Manifesto; oxi! Oxi! Ma i nodi da sciogliere sono per il governo greco particolarmente stretti. Anche se Tsipras e Varoufakis ostentano ottimismo, che l’accordo con le istituzioni europee sia dietro l’angolo è tutto da dimostrare. Anzi le prime reazioni lascerebbero pensare il contrario. Il vice- cancelliere tedesco Sigmar Gabriel (Spd) dice che Tsipras ha rotto ogni possibilità di compromesso, mentre Martin Sculz, presidente dell’europarlamento, parla di aiuti umanitari alla Grecia. Non è ben chiaro che cosa questo significhi. Significa che il popolo greco sarà messo a tal punto in mutande da aver bisogno di latte per i bambini e tende per gli ammalati, come i più poveri del mondo colonizzato? A mettere in mutande la Grecia del resto ci ha già provato la BCE, chiudendo i rubinetti della liquidità al suo sistema bancario. Abbiamo spesso e opportunamente criticato la pratica di soccorrere le banche con i soldi dei contribuenti, ma con la vicenda greca si verifica che la troika può fare persino di peggio. Vale a dire non soccorrere il sistema bancario di un paese che decide di mettere in ginocchio. Intanto la polizia greca controlla supermercati e banche per il timore di assalti e le banche prevedono di non poter consentire nemmeno i prelievi quotidiani di 60 euro.
E tuttavia non è affatto detto che la trattativa non riprenda. Una Grecia lasciata senza altra alternativa che scelte radicali , per le quali la maggioranza di Syriza non sarebbe vocata, è politicamente forse più pericolosa di una Grecia a cui finalmente sia concessa la ristrutturazione del debito che le era stata promessa. I dirigenti europei avevano infatti promesso che si sarebbero impegnati per una ristrutturazione del debito greco, quando il paese fosse stato in una situazione di avanzo primario del bilancio statale. Questo risultato è stato raggiunto nel 2014, ma l’impegno non è stato mantenuto ed è stata questa una delle ragioni della caduta del governo Samaras.
Ciò di cui oggi dovremmo discutere non è quel che accadrà nel prossimo futuro, anche perché molto presto ce lo diranno i fatti. E nemmeno che cosa dovrebbe fare Syriza. Dobbiamo chiederci come prima cosa in assoluto che cosa possiamo fare noi per la Grecia e in ultima analisi per noi stess@. La partenza per Atene di una pattuglia di rappresentati di ceto politico nostrano e gli entusiasmi per il risultato non possono farci dimenticare che troppo poco è stato fatto in Italia finora, mentre da tempo l’esigenza di mutuo soccorso bussa alle nostre porte.
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