IFE Italia

Intervista a Sonia Mitralia

a cura di Rosy Isella - IFE Italia/Albese (CO)
giovedì 14 marzo 2013

Abbiamo rivolto alcune domande a Sonia Mitralia, l’amica greca della Rete Europea per l’annullamento del debito presente in Italia per la presentazione di “Quando tutte le donne del mondo” , la campagna di solidarietà con le donne greche per il diritto alla salute organizzata da numerose associazioni e realtà femministe che si riconoscono nel cartello “donne nella crisi”.

d. Sonia, potresti farci un quadro generale della situazione in Grecia?

r. Il quadro generale è sconfortante. Tre anni fa, circa, con il primo memorandum della “troika” europea (Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea, Commissione europea) , a cui ne sono seguiti altri 2, è iniziata la cura da cavallo per far rientrare il debito pubblico greco. Ci hanno spiegato che siccome avevamo vissuto sopra le nostre possibilità ci eravamo indebitati troppo e quindi dovevamo restituire all’Europa il debito accumulato. Una motivazione alquanto bizzarra se si tiene conto che sono stati proprio alcuni Paesi europei a sostenere l’aumento di spesa pubblica in Grecia facendo giungere a questo disgraziato paese il denaro necessario. La restituzione del debito (40 miliardi circa all’anno) costringe lo Stato (o meglio quel che ne resta) a dimezzare i fondi per il sostegno dei sistemi pubblici di protezione sociale (meno 40% alla sanità con oltre 3 milioni di greche e greci - 1/3 dell’intera popolazione - privati dell’assistenza sanitaria pubblica) , ad aumentare le tasse e a tagliare il numero dei dipendenti pubblici ( meno 150.000 unità nei prossimi 2 anni) . Nel contempo diminuiscono i salari o addirittura non vengono più garantiti ( emblematica la situazione delle e dei lavoratori dei supermercati , in alcuni dei quali il salario è sostituito dall’erogazione di generi alimentari). L’impoverimento aumenta in modo esponenziale ( un taglio medio mensile di 30mila contratti per l’erogazione di energia elettrica, mobili e legna recuperata nei boschi usati per il riscaldamento domestico, un ritorno obbligato alla famiglia allargata per dividere le spese di affitto, …). Le donne sono quelle che pagano il prezzo maggiore, negli anni ’80 abbiamo assistito ad un aumento significativo dell’occupazione femminile tanto che il tasso di inattività era scese al 12%. Negli ultimi tre anno questo tassi è arrivato al 30% e addirittura al 62% per le giovani donne!

d. Hai usato l’espressione “quel che resta dello Stato” . Perché? Cosa volevi intendere?

r. Le politiche di austerità fondate sulla logica del debito stanno modificando la natura e la funzione dello Stato. I diritti costituzionali sono tranquillamente ignorati anche se non ancora formalmente cancellati, il parlamento non legifera praticamente più, il governo assume decreti leggi immediatamente eseguibili senza bisogno di un avvallo parlamentare, la repressione e le violenze sono all’ordine del giorno. La democrazia è sotto scacco e proprio nel paese che ne è stato la culla.

d. Torniamo alla condizione delle donne. In particolare per quanto riguarda la salute riproduttiva.

r.La situazione è talmente precaria ed ansiogena che le nascite, negli ultimi tre anni, sono diminuite del 20%. Le donne hanno timore a mettere al mondo una figlia o un figlio. per chi decide di farlo la strada è tutta in salita. Negli ospedali la riduzione degli organici ha inciso sui reparti di maternitá e di ginecologia che non sono più in grado di garantire un’assistenza degna di questo nome. Gli esami clinici durante la gravidanza costano e non tutte se lo possono permettere, in particolare chi ha perso il lavoro e ne ha uno precario. Per queste ultime poi è complicato anche partorire perchè è saltata la copertura pubblica e quindi le donne devono pagare da 600 a 800 euro per un parto normale ed il doppio in caso di un parto cesareo. Se la donna è un’immigrata senza permesso di soggiorno il costo si raddoppia. Se capita un parto prematuro lasciare la o il neonato in incubatrice presso l’ospedale costa 200euro al giorno che per 2 mesi ( qualora il parto prematuro avvenga ai 7 mesi di gravidanza) di ricovero fa circa 4000 euro! Una cifra esorbitante. Le donne che non possono pagare il parto o il ricovero della o del figlio sono costrette a contrarre un debito con l’ospedale che a suo volta lo gira al fisco che provvede a riscuoterlo pignorando alle interessate tutto ciò che può essere pignorato. Se non siamo alla barbarie poco ci manca.

d. Tutto ciò che riflessi ha sulle persone?

r.Angoscia, depressione, paura sono gli stati d’animo più diffusi. La situazione che la società greca sta subendo è paragonabile a quello che provano le donne che subiscono violenze domestiche, fisiche o psicologiche. L’impatto delle politiche di austeritá è talmente violento e scioccante che frantuma le difese ed i punti di riferimento, spersonalizzandoti a livello individuale e collettivo.

d. E quindi tutto è perduto?

r.Le greche ed i greci da sole/i non possono farcela. Per questo sono importanti campagne di solidarietá come la vostra perchè ci aiutano a non sentirci abbandonate e ci offrono strumenti per continuare a resistere. Non solo la solidarietá può manifestarsi concretamente sostenendo, come volete fare, le esperienze di resistenza attiva ed autogestita che sono nate in Grecia. Quindi raccogliere fondi per fare in modo che Elleniko, una clinica autogestita da personale medico e paramedico che presta cure gratuite alle porte di Atene, possa dotarsi di un consultorio non ha solo una valenza umanitaria ma assume anche un forte valore politico. Se si riuscisse poi a dare a questa campagna di solidarietá una dimensione europea sarebbe ancora più incisivo.

d. Per adesso abbiamo creato la lista “donne nella crisi” ed avremmo il desiderio di farla diventare una rete….

r.La costruzione di una rete è un processo importante che va agito con cura. Ma è un processo necessario, in particolare per noi donne femministe. Le strutture di potere dominanti sono talmente invasive da richiedere a chi le vuole contrastare la capacità non solo di diffondere pensieri altri ma di organizzarsi per sperimentare pratiche coerenti e, se possibile, incisive. La solidarietà concreta nei confronti di una struttura sanitaria che cerca di rispondere a bisogni materiali essenziali può essere un’ottima base da cui partire per la costruzione di una rete. Su scala nazionale ed anche europea. Al lavoro, dunque!

Intervista a cura Rosy Isella (IFE Italia / Albese/Como)


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