IFE Italia

“Donne di fronte alla crisi economica ed alla mutazione del sistema pubblico di welfare”

di Nicoletta Pirotta
venerdì 15 febbraio 2013

Prime riflessioni sul seminario non in forma pubblica di IFE Italia /Bergamo, 2 febbraio 2013

Il seminario ha rappresentato, per IFE Italia, la naturale continuazione del lavoro di riflessione e confronto sui temi del lavoro delle donne iniziato nel 2010 con il seminario presso l’Università di Bergamo "Differenti ma non diseguali. Prima giornata di studio su lavoro, welfare, eguaglianza" continuato nel seminario annuale di Ife Italia del 2012 in ValSerina "Dove stiamo andando su questa tera? Femministe in relazione per un’azione politica condivisa su potere, desideri, lavoro, diritti, laicità", i cui materiali sono stati pubblicati sul sito www.ifeitalia.eu

Riflettere sulla mutazione del sistema di welfare ci è sembrato ancor più necessario nel momento in cui , a livello europeo, le politiche di austerità , fondate su una strumentale gestione del debito pubblico, hanno sferrato un attacco senza precedenti ai sistemi pubblici di protezione sociale, come abbiamo denunciato, insieme ad altre associazioni e reti di donne nell’assemblea femminista "Donne di fronte alla crisi, al debito ed alle politiche di austerità: alternative femministe e pratiche di resistenza", tenutasi nel Forum Sociale Europeo "Firenze 10+10" del novembre 2012.

Sistemi pubblici di protezione sociale ( diritti del lavoro, scuola, sanità in primis) grazie ai quali anche nel nostro paese sono migliorate le condizioni di vita delle donne e degli uomini tanto da consentire un aumento delle aspettative di vita. Ma la crisi economica consente di spostare l’attenzione dai risultati ai costi facendo dire senza vergogna al premier uscente del Governo italiano che non siamo più in grado di reggere il sistema sanitario pubblico (sic!). Esemplare anche un testo del Fondo Monetario Internazionale (FMI) messo in circolazione da poco ed intitolato, guarda caso, " I rischi della longevità" nel quale il vivere più a lungo viene ad essere considerato un disvalore dal punto di vista economico a causa della spesa pubblica che un tale obiettivo comporta. Apro una breve parentesi per ricordare che nel 1999 lo stesso FMI mise in circolazione un testo di tutt’altra natura nel quale invitava a considerare le enormi opportunità economiche offerte dalla gestione dei servizi per anziani e per le persone non autosufficienti invitando gli operatori economici privati a coglierne i vantaggi. Guarda caso nel nostro paese ma non solo gli ospedali cancellarono i reparti di lungo degenza per i malati cronici non autosufficienti , anziani e non, dando il via al business delle case di riposo, gestite in larga parte da privati e sostenuti sia da denaro pubblico sia da contributi delle e degli utenti e delle loro famiglie. Le persone dunque possono vivere a lungo oppure no solo in ragione del business.... È il capitalismo bellezza!

Il seminario di IFE Italia ha voluto dunque ragionare su crisi e attacco al modello di welfare per coglierne i nodi di fondi e cercare di capire non solo come resistere ma anche con quali proposte provare a sovvertire le prospettive in atto.

Prima di tutto abbiamo convenuto con quante/i analizzano la crisi economica del mondo occidentale dalla prospettiva della messa in discussione del lavoro come elemento centrale della cittadinanza (attraverso i processi di precarizzazione in corso da decenni), così come si era andato configurando all’interno di un quadro di diritti e di protezioni. Questa prospettiva consente di cogliere il legame tra le sorti del lavoro e quelle del sistema pubblico di welfare.

Siamo poi tornate a denunciare la rimozione della dimensione di genere ( inteso sia come elemento costituivo dei rapporti sociali fondato sulle differenze percepibili fra donne ed uomini e sia come modalità di significare i rapporti di potere) che si è operata sia nella lettura della fase neoliberista che dell’attuale crisi economica. Ed abbiamo ricordato i tre processi che si colgono se non si opera una tale rimozione: A) la femminilizzazione del lavoro cioè il fenomeno , dagli esiti complessi e contraddittori, fondato sia sull’ aumento dell’occupazione femminile ( cosa di per sé positiva perché in grado di migliorale le condizioni materiali e simboliche delle donne e di svelare la struttura sessuata del lavoro) sia sulla generalizzazione delle condizioni di accesso e permanenza al lavoro storicamente prerogativa delle donne ( precarietà, part-time, tempo determinato, flessibilitá, bassi salari,....); B) l’intreccio fra lavoro produttivo e di riproduzione sociale, domestica e biologica che costringe le donne ad accettare flessibilità e precarietà se si desidera accedere e mantenere un lavoro salariato oppure ad abbandonare l’attività produttiva rinunciando alla propria autonomia economica, oppure ancora, e se ce lo si può permettere, ad utilizzare manodopera femminile, per lo più immigrata, nel ruolo di colf e badanti con il risultato che l’emancipazione femminile si svuota del proprio carattere conflittuale per trasformarsi in un “affare di donne”. Per le donne dunque si produce al contempo una doppia alienazione ( del prodotto della propria fatica e del tempo per sé); C) i tagli alla spesa pubblica operati dalle manovre finanziarie del 2011 e da quelle del governo attuale (decreto "Salva Italia", Spending Review e Legge di Stabilità) e dalle misure imposte dalla cosiddetta Troika Europea (FMI, Commissione e Banca centrale europee) trovano la loro massima espressione ideologica nell’obbligo imposto agli Stati del Pareggio di bilancio, che il nostro Paese ha introdotto in Costituzione con il beneplacito di tutto il Parlamento. Non bisogna essere premi Nobel per immaginare che i tagli agiranno sulla dismissione da parte del settore pubblico di molti servizi sociali ed educativi che finiranno per dover essere garantiti solo dal lavoro gratuito delle donne ( che aumenterà esponenzialmente condizionando la possibilità di accesso al lavoro salariato).

In questo quadro generale abbiamo quindi iniziato ad analizzare il sistema pubblico di welfare nella sua evoluzione storica e nella situazione attuale con la consapevolezza che l’odierna crisi economica è di tale portata che potremmo uscirne solo attraverso una trasformazione strutturale della realtà sociale, economica, politica, sottolineando che le mutazioni di struttura non potranno non riguardare il sistema produttivo industriale, le forme organizzative dello Stato insieme alla natura e alla funzione dei sistemi pubblici di welfare. E’ stato così anche in epoche storiche di grandi trasformazioni (dallo Stato monarchico allo Stato nazione Liberale e da quest’ultimo allo Stato nazione democratico). L’ analisi, che dovrà necessariamente continuare, ci ha permesso per il momento di evidenziare alcuni aspetti (sui quali continueremo l’approfondimento) che in sintesi riportiamo: a) i primi interventi pubblici nascono fra la fine dell’800 ne l’inizio del ‘900 in materia di scuola e sanità (e parzialmente di previdenza), l’artefice di tali iniziative è Bismarck. L’intento non è solo quello di modernizzare la dimensione statale e da agevolare al meglio le relazioni economiche prevedendo una maggior attenzione alle condizioni di vita della “forza lavoro” ma altresì quello di contenere la “pericolosità” sociale delle forme di mutuo aiuto (case del popolo, società di mutuo soccorso, leghe) fondate sull’autorganizzazione (l’esperienza della Comune di Parigi ne ha rappresentato un modello) che avrebbero potuto diffondere una maggior coscienza /consapevolezza fra le classi “proletarie” ed estendersi a macchia d’olio; b) è con l’avvento dello Stato Nazione Democratico che assistiamo alla nascita ed allo sviluppo di un welfare vero e proprio. Gli elementi strutturali che ne hanno consentito la nascita possono essere rintracciati sul piano finanziario ( accordi monetari di Bretton-Woods e sistema tariffario del GATT -General Agreement on Tariffs and Trade) , sul piano produttivo (nascita di un sistema industriale a ciclo completo a livello nazionale ), sul modello produttivo vero e proprio ( il “fordismo” cioè l’avvento della grande fabbrica e della produzione standardizzata), sul modello politico (democrazia parlamentare, generalizzazione dei diritti, spesa pubblica orientata al criterio del “deficit spending” (esatto contratto della “spending review” per agevolare la crescita economica, la piena occupazione e i consumi di massa). Il modello di welfare che si afferma è quello teorizzato da Beveridge, fondato sul riconoscimento dei diritti universali e sulla loro esigibilitá in grado di garantire prestazioni “dalla culla alla bara”; c) nel nostro paese in particolare, la realizzazione del sistema di welfare pubblico è anche, se non soprattutto, frutto delle lotte specifiche delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno posto la questione dei diritti di cittadinanza come elementi costitutivi di una democrazia sostanziale e non solo formale; d) sempre negli anni ’70 il movimento delle donne, in particolare, ha posto l’esigenza di promuovere la partecipazione delle e dei cittadini alla gestione dei servizi educativi e sanitari in modo da non delegare unicamente all’”autorità” medica o istituzionale “il potere” dell’educazione e/o dell’assistenza sanitaria. Con questa impostazione vennero realizzati, per esempio, gli asili nidi comunali e i Consultori: e) dalla fine degli anni ’70 agli anni ’90 viene progressivamente demolita la precedente architettura nazionale di welfare pubblico ( “dalla culla alla bara”, “deficit spending”, piena occupazione) e cominciano ad essere operati tagli alla sanità, alla scuola ed ai servizi sociali mentre sul piano occupazionale assistiamo ad una diffusa precarizzazione del lavoro ed un consistente taglio dei salari. Non solo, dagli anni ’80 con l’avvento del modello neoliberista globalizzato si afferma un ordinamento transnazionale (l’Europa dell’euro) che impone un sistema a-democratico, di natura privatistica, che consente di imporre agli Stati provvedimenti assunti da organismi (Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale (ed Europea) e la Commissione europea) non eletti dalle e dai cittadini europei. Quello che è recentemente successo con l’imposizione del fiscal compact e del pareggio di bilancio in Costituzione (la cosiddetta “regle d’or”) è il frutto malato di una tale scelta di fondo. Nel nostro Paese, per non farci mancare nulla, si è provveduto , attraverso la modifica dell’art. V della Costituzione,a “regionalizzare” i sistemi sanitari con il risultato di rompere o frammentare il modello sanitario nazionale “creando” 20 modelli regionali di sanità, grazie ai quali la spesa sanitaria è schizzata alle stelle; f) dentro la crisi economica ed in un quadro di riferimento politico e legislativo completamente cambiato, la spesa pubblica viene erosa se non addirittura sussunta dall’obbligo di pareggio di bilancio, la precarietà diffusa del lavoro rende incerte le entrate, le tasse pagate dalle lavoratrici dipendenti non servono più ad ottenere servizi ma a pagare il debito pubblico. Il modello pubblico di welfare viene considerato obsoleto e torna in auge l’idea ottocentesca cioè quella di un welfare pubblico residuale (destinato sostanzialmente alle e ai poveri) fondato non sul diritto ma sulla carità (si consiglia a questo proposito la lettura del Libro Bianco di Sacconi, già ministro del welfare nel governo Berlusconi). E si alimenta , come talune sottolineano, il mito della “big society” cioè l’idea che la comunità (considerata astrattamente come un tutt’uno coerente ed omogeneo perché si vuole fingere di non vedere i conflitti ed i differenti interessi che la abitano), o ancora meglio la famiglia, possono rispondere di più e meglio delle istituzioni pubbliche ai bisogni delle persone. Si esalta il mutualismo, svuotato dal carattere “rivoluzionario” che lo contraddistinse nel suo nascere per utilizzarlo , strumentalmente, contro il principio di universalità.

Per tutto ciò, a nostro avviso, si riconferma la necessità che un’azione politica femminista che sappia :

- mettere al centro due punti irrinunciabili : un diverso modo di produrre e di riprodurre che consideri il lavoro nella dimensione non alienata di attività umana capace di produrre benessere collettivo e scopra il valore sociale della cura intesa sia come "saper prendersi cura" sia come "saper fare con cura".
- porre una questione ineludibile: la crisi si configura anche come occasione per mutare la natura e la funzione dei sistemi di welfare. Tale mutazione è già in atto e utilizza , sul piano materiale, il debito e le politiche di austerità per convincere dell’insostenibilità di un welfare pubblico mentre sul piano simbolico è già al lavoro per indicare i "nuovi" principi di fondo cui ispirarsi : il merito ( come ebbe a dire Monti nel giorno del suo insediamento il merito va premiato e la ricchezza è un merito che va riconosciuto e sostenuto) ; la carità al posto del diritto; il differenzialismo al posto dell’universalismo. Messaggi che in tempi di crisi hanno molta presa e quindi rappresentano un crinale pericoloso. Come donne sappiamo bene che l’universalismo dei diritti che si è sin qui affermato contiene elementi di ambiguità che abbiamo denunciato più volte (è un universalismo, abbiamo detto, che non sa contenere l’uno ed il multiplo e che spesso ha rimosso o dimenticato il genere femminile) e pur tuttavia soltanto un diritto universale è un diritto esigibile, come mirabilmente scritto nell’articolo 3 della nostra Costituzione.

La nostra discussione ha infine posto una domanda che, nella sua contraddittorietà, accompagnerà la nostra riflessione: da un punto di vista di genere e ribadendo come irrinunciabile il principio dell’’ universalità dei diritti possiamo provare, come una delle risposte ai processi di smantellamento del sistema pubblico di protezione sociale, a sperimentare un mutualismo inteso come pratica rivoluzionaria perché fondata non solo sulla necessità di offrire risposte ad un bisogno ma anche e soprattutto sulla capacità di promuovere sentimenti quali l’ empatia e la solidarietà e di agire i necessari conflitti?

Nicoletta Pirotta IFE Italia www.ifeitalia.eu


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