IFE Italia

I ricchi di famiglia

di Chiara Saraceno
martedì 28 dicembre 2010 par ifeitalia

Paese tra i dieci più ricchi al mondo, l´Italia si colloca anche tra i più diseguali, con una concentrazione della ricchezza in una porzione molto piccola delle famiglie e viceversa un´ampia fascia della popolazione e delle famiglie che ha redditi modesti e poca o nessuna ricchezza.

È un caso esemplare di quanto il semplice dato sulla ricchezza di un paese dica poco sulle condizioni di vita della sua popolazione. La distanza non solo tra i più ricchi e i più poveri, ma anche tra i più ricchi e la maggior parte degli altri è incommensurabile, quasi che si trattasse di mondi diversi. Anche se qualche volta invece abitano non solo lo stesso paese, ma lavorano per la stessa impresa, come nel caso, sollevato in questi mesi, di Marchionne che guadagna oltre quattrocento volte di più degli operai della azienda che dirige. Più che a un paese ricco, questo livello di concentrazione della ricchezza fa venire in mente la situazione di paesi poveri con regimi autoritari, ove pochi si appropriano delle risorse disponibili. Anche se va detto che altri paesi ricchi - gli Stati Uniti, ad esempio - mostrano livelli di disuguaglianza simili a quelli italiani. L´Italia, tuttavia, ha due caratteristiche in più. La prima riguarda le differenze territoriali nel grado di disuguaglianza. Come ha segnalato un recente studio di due ricercatori della Banca d´Italia (Brandolini e Torrini), relativo solo alla distribuzione dei redditi e non anche alla ricchezza, la disuguaglianza dei redditi è maggiore nelle regioni, più povere, del Mezzogiorno che non in quelle del Centro-Nord. Si tratta di differenze di un´entità che non si trova in nessun altro paese a economia avanzata. La seconda caratteristica riguarda la scarsa mobilità sociale. In Italia, molto più che nella maggior parte dei paesi ricchi e democratici, il destino dei figli è in larga misura definito dalla posizione sociale e dalle risorse dei genitori. La disuguaglianza dei redditi e della ricchezza è cioè in larga misura ereditaria. Queste due caratteristiche, mentre confermano l´immagine, certo semplificata e semplicistica, di un paese socialmente immobile, più feudale che moderno, pongono un problema di democrazia. Occorre interrogarsi non solo sull´equità e persino tollerabilità sociale di una distribuzione così squilibrata della ricchezza, ma anche sulla sua riproduzione intergenerazionale. In una società che investe così poco sulle generazioni più giovani - che si tratti della scuola, dell´università, delle protezioni quando si perde il lavoro, della casa, dei servizi per i bambini piccoli e dei trasferimenti alle famiglie con figli - l´ereditarietà di una ricchezza così squilibrata - e delle opportunità di continuare ad accumularla - sembra particolarmente ingiusta. I nostri politici si consoleranno con il fatto che siamo - ancora - una popolazione che si indebita poco, che non fa il passo più lungo della gamba. Ciò è indubbiamente saggio, anche se proprio la Banca d´Italia qualche giorno fa ha segnalato che stanno aumentando le sofferenze, ovvero i debiti con le banche che le famiglie non riescono a saldare. Ma questa scarsa propensione a indebitarsi, e a farlo solo per acquistare casa, significa anche che non si hanno sufficienti riserve - e fiducia nel proprio futuro economico - per poter rischiare di investire in formazione, iniziare una attività imprenditoriale e simili. Chi non può contare sulla ricchezza famigliare non si indebita; ma deve spesso rassegnarsi a stare fermo.


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