IFE Italia

Intervista a Nilufer Koc, co-presidente del Congresso Nazionale del Kurdistan

di Emanuela Irace
mercoledì 7 gennaio 2015

" i jiadisti entrano in Siria con la forchetta perchè pensano di mangiare con gli angeli..."

Pubblichiamo un’ampia parte dell’intervista a Nilufer Koc di Emanuela Irace ( giornalista di Noi donne on line) ed il link per leggere tutto il testo.

È cresciuta tra guerra e politica e non sarebbe potuto essere altrimenti quando nasci in una terra di confine tra Europa e Asia - crocevia di invasioni millenarie - che nel corso dei secoli hanno visto avvicendarsi armate assire, persiane, arabe, mongole, turche e infine russie. Nilufer Koc è nata nel Kurdistan turco, in un villaggio tra Armenia e Georgia. Ha 45 anni e non ha figli. Porta occhiali e capelli sciolti. Jeans e camicia. Ceniamo al Chwarchra hotel di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Sul tavolo computer e telefonini, una bottiglia di Pastis, acqua e spiedini di kebab. Nilufer è la co-presidente del KNK, il Congresso Nazionale Kurdo, organismo potente che raggruppa tutti i partiti kurdi nei quattro Stati in cui, dalla fine della prima guerra mondiale, le potenze coloniali hanno spezzettato il suo popolo, suddividendolo tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Una spartizione violenta iniziata nel 1923 con il trattato di Losanna: “A Losanna si smembra e si separa. Le Potenze europee dividono il Kurdistan ottomano tra Turchia, Iran e Siria, il Kurdistan persiano resta inglobato nei confini dell’Iran. L’ideologia degli stati nazionali a base etnica ritiene le minoranze un pericolo. Iniziano le persecuzioni e i kurdi perdono diritti, di lavoro, proprieta’, studio. I Governi varano politiche di assimilazione violenta, pulizia etnica e trasferimenti coatti”.

I risultati di quelle politiche sono cronaca di oggi e in Turchia si continua a sparare contro i kurdi.

Si, le prigioni turche sono piene di kurdi. Anche i loro avvocati vengono arrestati, fanno un mese di prigione e poi escono, perché non esistono capi di accusa. E’ un abuso che il Governo si permette impunemente. Durante i Nevroz, il nostro Capodanno, la polizia spara addirittura sulla folla. Alla frontiera con la Siria periodicamente vengono uccisi o spariscono decine di combattenti kurdi che cercano di entrare in Rojava per dare aiuto alla popolazione di Kobane.

I jiadisti dello Stato Islamico si sono scagliati violentemente contro il popolo kurdo in Siria e Iraq.

La guerra del Daesh a Kobane è la guerra della Turchia. Due zone sono andate fuori dal controllo degli arabi: il Kurdistan iracheno e Kobane (cantone del Rojava, enclave kurda nel nord della Siria, n.d.r). Se il Daesh, ossia lo Stato Islamico perde a Kobane salta il piano della Turchia di bloccare l’autonomia del Rojava. Il Governo turco vuole il controllo di questa regione perché la Turchia vuole essere il capo di tutti i sunniti del Medio Oriente. Dopo Kobane e Rojava tocca al Kurdistan iracheno, che guarda caso è il forziere petrolifero del pianeta.

Quindi la religione c’entra poco..

La religione è uno strumento. Un ombrello sotto cui mettere gli interessi delle potenze regionali che finanziano lo Stato Islamico. Tra i terroristi jiadisti ci sono dei veri e propri fanatici, gente che non ha niente a che fare con l’Islam, alcuni entrano in Rojava senza scarpe come in Moschea perché lo considerano il Paradiso. Altri con una forchetta in mano perché pensano di mangiare con gli angeli. E’ una follia che gioca sulle corde della “mancanza”, del vuoto esistenziale e del bisogno di far parte di un’organizzazione che decida per te e che ti dia soldi, tra i jiadisti del Daesh che vengono anche da occidente e Cina, il 10% sono turchi.

Tagliano le teste ma in fondo, come dici, sono bambini..

In qualche modo si, sono deboli, sono stati formati alla guerra e per questo sono pericolosi perché sono accecati dall’odio che dà loro movente all’azione. Non hanno senso critico né autonomia. Ci sono campi sulle frontiere turche dove nessuno può entrare, neanche le Ong ed è lì che vengono formati. Sono dei disperati. Se non andassero a combattere con lo Stato Islamico la loro vita sarebbe davanti alla tv o a un computer. Il loro capo, Abu Bakr al-Baghdadi è stato allenato dalla Cia, c’è un disegno e una strategia geo-politica ben precisa dietro tutto questo. Niente in Medio Oriente è mai nato per caso.

In che senso?

Basta leggere i libri di storia. La devastazione del nostro territorio è iniziata con il trattato di Losanna, il “dividi et impera” caro ai britannici. La volontà di parcellizzare la nostra terra in tanti piccoli stati a base etnica. Il bisogno di appropriarsi delle ricchezze del sottosuolo. La giustificazione all’esistenza dello stato di Israele. Oggi si ripercorrono le stesse direttrici di allora e sempre sulla pelle delle minoranze. Vogliono creare tanti piccoli stati in Iraq e Siria. E il califfato islamico di Abu Bakr si muove in questa direzione. L’indipendenza del Kurdistan iracheno sarebbe l’inizio della fine.

Ma oggi tutti parlano dei kurdi..

È vero, il Daesh ha contribuito a far conoscere al mondo la nostra storia. Siamo su tutti i giornali e su tutte le tv. Il Daesh è riuscito a unire tutte le voci interne ai partiti kurdi nei quattro stati. Come sai anche il popolo kurdo al suo interno è diviso. Il KNK dialoga con tutti i partiti kurdi. Nessuno può decidere da solo. Facciamo un congresso annuale e stabiliamo la strategia. Nell’ultimo congresso abbiamo stabilito come priorità la difesa del Rojava. Il che significa che per tutti i partiti kurdi di Siria, Turchia, Iraq e Iran hanno questo come obiettivo>>.

E il Pkk è d’accordo?

Ovviamente, il Congresso dialoga con tutti i partiti, e se il Pkk fa la guerra noi siamo arbitri. Il Pkk non può decidere da solo. Il Pkk è considerato un organizzazione terrorista in base alla volontà dei singoli Stati. Se l’Italia per esempio ritiene di poterlo depennare dalla lista può farlo. Ma è una decisione che implica strategie di alleanza e questioni politiche più vaste. La posta in gioco adesso è una sola e riguarda la nostra terra e il nostro popolo. Noi vogliamo vivere in autonomia e insieme alle altre minoranze. Noi non vogliamo uno stato etnico. Vogliamo continuare a vivere come abbiamo sempre fatto insieme a cristiani, turcomanni, aziri, armeni, ebrei. La nostra è una terra per tutti. È questo che dà fastidio.

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