IFE Italia

"Cosa ho fatto? Non ho fatto niente"

di Alessandra Magliaro
sabato 13 febbraio 2016

"Emilia Kamvisi ha 85 anni, vive a Lesbo, dove non smette di aiutare i profughi a trovare riparo. Figlia di rifugiati, dice che non ha dimenticato la sua infanzia sotto l’occupazione nazista. ”Cosa ho fatto? Non ho fatto niente”, ha detto Emilia, quando ha saputo che una sua foto - in cui è ritratta (insieme a due amiche, di 89 e 85 anni) mentra dà il biberon a un piccolo siriano - ha fatto il giro del mondo e qualcuno vuole candidarla al Nobel per la pace.(...) "

Riceviamo dalla rete e volentieri pubblichiamo.

Fonte:http://comune-info.net/2016/02/lesbo-2/

Foto : da theotoc.gr

Mentre l’Europa si divide sulle quote d’ingresso e mette in pericolo l’accordo di Schengen, mentre paesi confinanti come l’Ungheria alzano muri e paesi come Svizzera e Danimarca confiscano i beni ai richiedenti asilo (....) c’è chi in questi mesi di esodo biblico ha aperto le proprie case per accogliere e salvare i rifugiati: bambini, donne, uomini in fuga dalle guerre e dal terrore. Pescatori, pensionati, insegnanti, casalinghe, ordinary people, residenti nelle isole greche o volontari andati lì per aiutare chi scappa per restare vivo.

A questi eroi, certamente loro malgrado, attualmente circa 650 mila persone – Alkmini Papadaki, un architetto cretese primo fimatario – vorrebbero dare quest’anno il Nobel per la pace, così come ai cittadini di Lampedusa nel 2014. Sulla piattaforma di petizioni on line Avaaz.org l’obiettivo sono le 700 mila firme per fare pressione e candidare quelle persone coraggiose, molte anche anziane, che ogni giorno aiutano i profughi che approdano sulle loro coste. Rettori dei più noti atenei del mondo, Harvard, Princeton, Oxford, Copenaghen, una vera e propria internazionale di docenti (i nomi dei firmatari saranno resi noti a breve) come l’ha definita Il Guardian qualche giorno fa, ha scritto e inviato il primo febbraio la lettera di candidatura all’organizzazione norvegese del Nobel per nominare quest’anno gli abitanti di Lesbo (Tornare a Lesbo per fermare la strage), Kos, Chíos, Samos, Rodi e Leros. Un premio simbolo a chi non ha davvero mai esitato ad aiutare e salvare migliaia di profughi e a tutto quel network di solidarietà che da mesi sta organizzando il soccorso e la prima accoglienza in condizioni spesso proibitive di mare.

Un potente messaggio oltre le nazioni e la politica: compassione e coraggio, empatia e sacrificio, ma soprattutto umanità. Nonne che hanno tenuto tra le braccia bambini impauriti per aiutarli a dormire, mentre insegnanti, studenti, pensionati hanno trascorso mesi ofrrendo cibo, coperte, comfort ai naufraghi rifugiati su quelle coste, si legge nella petizione. Come Antonis Deligiorgis, il 34enne soldato greco che ha portato in salvo una giovane eritrea nelle acque in tempesta di Rodi. Spyro Limneos, un attivista greco che ha distribuito aiuto nelle isole racconta: ”Mai dimenticherò le giovani ragazze salvate su una barca a Leros, erano sorridenti, non avevano valige o altro bagaglio tranne un certificato di licenza scolastica scritto in arabo. Ridevano mentre si asciugavano al sole dopo il naufragio, fu un misto di tragedia e speranza”. Proprio il sorriso dei profughi sembra essere il motivo di gioia dei salvatori, come racconta al Guardian, una tra gli organizzatori del Solidarity Networks, Matina Katsiveli, 61 anni, ex giudice in pensione a Leros.

”Non vanno in Germania o in Svezia per vacanza. Nessuno vuole abbandonare la propria dimora e buttarsi nelle braccia del mare», dice Stratis Valiamos, 40 anni, pescatore di Lesbo. Ha salvato un’infinità di migranti che stavano annegando in mare aperto. «Non dimenticherò mai un bambino, poteva avere 3 o 4 anni, galleggiare in acqua. Era annegato. Volevo prenderlo, non volevo che restasse in acqua. Ma il mare era turbolento e il corpo una volta era lì a portata di mano, l’onda successiva spariva. E non ce l’ho fatta». Come lui, Emilia Kamvisi, un’anziana donna, che ha aiutato molti profughi a trovare riparo. Figlia di rifugiati, guardare ogni giorno la stessa scena sulle coste di Lesbo – riporta in un video di Al Jazeera rilanciato da Valigia Blu – le ha ricordato la sua infanzia sotto l’occupazione nazista. ”Cosa ho fatto? Non ho fatto niente”, ha detto la Kamvisi, 85 anni, quando ha saputo che potrebbe essere candidata al Nobel. Insieme a due amici, di 89 e 85 anni, è stata fotografata in autunno che dava il biberon ad un piccolo siriano. Quattro mesi dopo, potrebbe essere tra i nomi indicati per il Nobel simbolicamente rappresentando coraggio e umanità dei greci nell’immane crisi dei rifugiati. Più che le isole nel loro complesso infatti a essere ufficialmente candidate saranno associazioni locali e singoli cittadini. Per questo motivo la candidatura è stata intitolata “Premio Nobel per la Pace per gli Isolani Greci”. Con lei , Stratis Valiamos mentre l’attrice Susan Sarandon, che ha trascorso il Natale aiutando i rifugiati in Grecia, è stata nominata dagli academici greci. Il ministro greco per le migrazioni, Yiannis Mouzalas, ha dichiarato che l’iniziativa ha il pieno supporto del governo di Atene. Ad ottobre sarà annunciato il vincitore del premio.


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