IFE Italia

Censura, potere patriarcale, maternità surrogata e movimenti

di Daniela Danna
giovedì 16 giugno 2016

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Continuiamo la pubblicazione di articoli che aiutano a riflettere sul controverso tema della "maternità per altri"

Quando una decina di anni fa mi sono messa a scrivere – in termini positivi, perché questi sono stati i risultati delle mie ricerche sull’accoglienza sociale delle famiglie fondate da lesbiche – di “omogenitorialità”, mi sembrava chiaro ed evidente che dietro al neutro “omo” ci fosse una realtà composta soprattutto da donne lesbiche con figli, concepiti in precedenti unioni o voluti da sole, in coppia con una donna, o in altre costellazioni genitoriali. Di lì a poco avrei subìto la prima censura all’interno di Famiglie Arcobaleno. Durante l’assemblea dell’associazione tenutasi a Prato nel 2007, le manifestazioni di violenza verbale di Tommaso Giartrosio e dei padri “da surrogata” di Trieste che rifiutarono di discutere il punto della Carta etica che un gruppo di professioniste (psicologhe, avvocate, e io in quanto sociologa) aveva proposto, riuscirono a togliere questo punto dall’ordine del giorno del dibattito (vedi il mio post “Io e Famiglie Arcobaleno” su www.danieladanna.it).

All’epoca ritenni l’episodio un’autodifesa del pugno di coppie gay che avevano avuto figli all’estero da “portatrici” (come le chiamano nell’associazione), illudendosi di non aver pagato per avere i figli ma per semplici “servizi gestazionali” (le “portatrici” come fornetti per embrioni impiantati). In realtà, facendo firmare a queste donne un vero e proprio contratto avevano piuttosto assunto una posizione di soggetto dispotico. Il contratto è stilato dagli avvocati delle apposite agenzie di surrogazione, sorte nei paesi che ritengono legali queste transazioni, e le obbliga, dietro sanzioni economiche e con la minaccia di ricorrere ai tribunali californiani nei quali questi contratti erano già stati validati (Corte suprema della California, Calvert v. Johnson, 1993), a cedere ai padri i figli nati da loro, anche contro la loro volontà. Mi sembrava insomma una questione riguardante pochi ricchi che decidevano di comprarsi i figli all’estero, venendo difesi o comunque non contrastati dalle altre socie di Famiglie Arcobaleno, che è sì un’associazione politica, ma anche un luogo di incontro per bambini che condividono l’esperienza di crescere con due genitori dello stesso sesso, i cui legami sociali vengono privilegiati rispetto alla riflessione politica. La censura provocò comunque il distacco di molte altre socie dall’associazione.

Non fu un episodio isolato. Era l’inizio di una campagna di censura che più parti del movimento GLBT stanno operando, allo scopo di affermare un obiettivo politico, la cui origine attribuisco personalmente a Tommaso Giartrosio, ma che è parte dell’espansione della sfera del mercato nella nostra economia-mondo capitalistica, richiesta dalla logica del profitto. L’obiettivo politico è ottenere mano libera da parte di ricchi che non possono o non vogliono avere figli con la loro gravidanza, nell’acquistare neonati da donne più povere, grazie all’introduzione di una regolamentazione della maternità surrogata anche in Italia – un evento che evidentemente beneficerà soprattutto le coppie eterosessuali, che sono la stragrande maggioranza di coloro che fanno ricorso a questa pratica contrattuale, ma che – saggiamente – non la rivendicano apertamente.

La legge sulla famiglia della California infatti attribuisce la genitorialità legale anche a coloro che hanno “l’intenzione” di diventare genitori, ovvero comprano i gameti, li fanno fecondare in una clinica che impianta l’embrione in una donna prezzolata, la cui esperienza di maternità, al momento della nascita dei figli, non verrà riconosciuta nemmeno come potenzialità dallo Stato californiano. L’obiettivo politico è quindi quello di cancellare le madri, togliendo loro ogni diritto a riconoscere la propria prole, se vogliono venire meno a eventuali patti faustiani che hanno firmato spinte dal denaro o persuase dalle agenzie o dalla mistica della femminilità autosacrificale interiorizzata. I giornali esteri sono pieni di notizie sconvolgenti sui conflitti tra madri “portatrici” e committenti, che vengono mascherate nel dibattito italiano dalla figura di una donna libera e generosa che dona bambini che non considera suoi – cosa che non esaurisce affatto il quadro in cui la maternità surrogata, cioè per contratto, avviene nei pochi paesi al mondo che la consentono. Di cosa si celi dietro al quadretto idilliaco dipinto nel dibattito italiano ho parlato estesamente in Contract children. Questioning surrogacy (Ibidem, ottobre 2015), che riporta un’ampia rassegna della letteratura scientifica, e non posso in questa sede ripetere quanto scritto.

Ora voglio parlare da cittadina, non da studiosa: sono convinta che l’”omogenitorialità” si è ormai tramutata in un diritto cui credono i gay. Se per me era evidente che il neutro dell’omogenitorialità rispecchiasse in massima parte l’esperienza femminile della maternità lesbica, ho imparato invece che – come sostiene il femminismo del pensiero della differenza – non può esistere un vero neutro, ma solo un mascheramento del maschile. E così lo hanno inteso molti gay, soprattutto giovani, per i quali “omogenitorialità” oggi significa “avremo figli comprandoli, facendo firmare un contratto alla loro ‘portatrice’”.

Nessuno però ha diritto di diventare genitore, perché non è un diritto ma una potenzialità di coloro il cui organismo è in grado di farlo. E una quota crescente di esseri umani non vi riesce proprio a causa dell’aumentato inquinamento da sostanze artificiali e nocive che la nostra tanto celebrata “economia” introduce nell’ambiente – per lo più con lo scopo di risparmiare il costoso lavoro umano ed aumentare i profitti. E una quota crescente di donne, sotto pressione nella loro vita lavorativa, non riesce più a generare perché nel frattempo le ovaie invecchiano. E poi chi avrebbe il corrispettivo dovere di generare per soddisfare tale presunto diritto? Forse le servizievoli donnine che non vedono l’ora di fare questo sacrificio, che donano dietro rimborso spese. E perché si dovrebbe da una parte chiedere questo a una donna, e dall’altra togliere una creatura alla sua fonte di nutrimento e rassicurazione (come dimostrano le ricerche sui neonati)? “Vogliamo avere figli per essere accettati, come fanno anche gli etero”, mi hanno risposto i gay di Diversity, studenti in Bocconi, all’incontro da loro organizzato. Così finalmente faranno contente loro le mamme, finora deluse dalla mancanza di nipotini, aggiungo io. Un antico sogno patriarcale, quello di fare figli – e magari tornare a vivere – rendendo invisibili le donne e il loro lavoro? I gay, che spesso non ci amano in nessun modo, sono stati i primi a credere alla favola che i figli li porta la surrogata, una “portatrice” a loro disposizione con generosità e autosacrificio femminile. Le mie descrizioni di cosa significa introdurre il commercio di bambini creano problema. Non si possono confrontare i sogni con la realtà, andrebbero in frantumi, quindi non bisogna farmi parlare. È in atto, da tempo, una diffamazione ai miei danni che ha portato alla cancellazione della presentazione del mio libro a Udine il 28 maggio 2016 – e all’impossibilità di organizzare un simile evento in molte altre città.

Quello che è successo a Udine è che approssimandosi all’evento in calendario da febbraio altri (Arcigay, lesbiche fuori da Arcilesbica, chi altri? forse Famiglie Arcobaleno?) cominciano a protestare. Lo fanno pretestuosamente allo scopo di annullare l’invito, sostenendo che io sarei contro la paternità dei gay. La fonte è un articolo che ho già smentito sul mio sito, e in tutta la mia produzione scientifica e divulgativa sfido chiunque a trovare una sola parola in tal senso. Ma non serve smentire, perché non c’è bisogno di informarsi – magari facendomi una telefonata? – quando si pone in atto una diffamazione. Quando questa mia presunta posizione ha cominciato a circolare, Yvette Corinchigh, che ha letto il mio libro e avrebbe dovuto presentarlo, ha confermato nel gruppo di whatsapp dove si presa la decisione censoria, che questa voce non aveva alcun fondamento – ma non è stata ascoltata! Era l’unica persona del circolo che il mio lavoro in inglese l’avesse effettivamente letto – ma gli altri miei lavori in italiano sull’argomento sono liberamente disponibili sul mio sito. Tuttavia è più facile coltivare la propria ignoranza, anche perché il vero scopo di questa vicenda è una prova di forza all’interno del movimento glbt tra chi, in modo censorio e verbalmente violento, vuole far passare a Udine e in tutta Italia, senza discussione, una posizione che – e non sono la sola – ritengo gravissima e foriera di contraccolpi che ci travolgeranno tutti, lesbiche, gay, trans, bisessuali, che siamo o non siamo a favore dell’oggetto della contesa, cioè l’introduzione in Italia della compravendita di bambini. Una volta accettato il concetto che i figli si possono comperare, le altre barriere “etiche” cadranno: l’acquisto è molto costoso per il made in California, poco per il made in India, e così qualche consumatore ricco sceglierà l’opzione etica, gli altri andranno dove il portafoglio permette loro, magari chiedendo questo “dono” in loco, alla badante o a qualche giovane disoccupata, lavandosi la coscienza con l’etichetta di “rimborso spese” dato al prezzo della prole, come si fa in Canada – l’ultima infatuazione del movimento.

A Udine la motivazione ufficialmente addotta per la cancellazione dell’evento è che non era previsto un contraddittorio. Una volta erano i preti a voler essere sempre presenti quando si parlava di omosessualità, ora sono i sacerdoti del commercio dei bambini che non osa dire il suo nome. Io comunque al contraddittorio non sono contraria, e se qualcuna, interna o esterna ad Arcilesbica, lo avesse desiderato, da febbraio ad oggi mi pare ci sarebbe stato tutto il tempo di organizzarlo. E inoltre la presentazione di una ricerca non è una messa, è appunto la creazione di uno spazio di dibattito pubblico, in cui chiunque può intervenire.

A Palermo Arcigay ha cercato di cancellare l’evento perché “offensivo per Famiglie Arcobaleno”, a Milano la presidente del CDM rifiuta il confronto perché” divisivo”. Così erano chiamate le istanze delle donne nei confronti della lotta di classe, delle lesbiche nei confronti delle donne, delle nere nei confronti delle bianche. “Tacete, perché le vostre rivendicazioni sono fonte di divisione”, veniva detto a chi le sollevava. Siamo in ottima compagnia! Quanto alle presunte offese arrecate, il mio lavoro non ha l’intento di offendere nessuno, e voglio sperare che la maggioranza delle socie e anche dei soci di Famiglie Arcobaleno alla fine si renderanno conto di aver sostenuto una posizione eticamente e anche politicamente sbagliata e nociva al movimento. Il mio libro è stato scritto per informare chi, etero o gay, pensa di fondare una famiglia comperando bambini grazie a contratti firmati con le madri (che, come dice Muraro, non ne possono in realtà disporre perché non sono di loro proprietà) – non si tratta di mostri ma di persone spesso in buona fede su molte cose, come quale sia l’impegno richiesto a una donna che fa una gravidanza per altri, come si sviluppa una nuova creatura umana, quali sono le implicazioni etiche e materiali dei contratti che le agenzie propongono loro (queste ultime al fine di trarne un profitto), cosa si sa dei bambini nati da questi accordi e in generale dalle tecniche di riproduzione assistita (ripeto: non necessarie). Il quadro più generale, che trovo anch’esso criticabile, è la cultura pro-natalista in cui siamo immersi, in cui si pensa che diventare genitori sia una tappa obbligata del divenire adulti. A Palermo, a dispetto della mossa censoria, la mia presentazione si è tenuta lo stesso, in assenza di Arcigay e con la presenza di due padri divenuti tali con la maternità surrogata, che hanno anche portato il loro contratto al pubblico scrutinio, dimostrando che è possibile confrontarsi e avviare un vero dialogo su questa pratica, che il contraddittorio può venire dal pubblico, e che non tutti fanno ricorso alla censura.

Io davvero mi auguro che questo atteggiamento cessi, che il movimento glbt, di cui mi considero ancora parte ricordando le sue origini negli anni 70 (quando il “femminile” si è rivoltato apertamente e vittoriosamente contro la misoginia, e contro l’omofobia che ha le sue radici in quest’ultima), si apra alla presentazione di quella che è la ricerca più approfondita su questo tema da parte di un’autrice italiana, invece di coltivare l’ignoranza, e di pretendere di mascherare un fatto basilare: che quando passa del denaro mentre qualcos’altro passa di mano nella direzione opposta, si tratta di una compravendita. Io certamente concepisco – come cosa rara – che una donna possa voler aiutare gli infertili per i quali prova affetto, e che una volta nata la creatura possa decidere di separarsene a favore del padre naturale (ma se un bambino “passa di mano” senza parentela biologica, con l’acquisto di gameti, si tratta di infrazione alle leggi sull’adozione). Yvette persino aveva pensato di farlo – guarda un po’ come siamo nemiche entrambe della maternità per altri! Ma, come Arcilesbica ha concordato nell’assemblea nazionale del 2012, un contratto che introduca pagamenti alla gestante e di conseguenza il suo obbligo, economico, giuridico o anche sociale, di consegnare il suo prodotto configura una società ancora più inumana di quella in cui viviamo. L’obbligo sociale sorge quando una donna che diventa madre di nascita viene convinta che quello che sta facendo non è la sua creatura, ma quella di qualcun altro, che così può vantare diritti sul suo corpo (ad esempio, secondo i contratti californiani, quello di farla abortire), qualcuno che, avendo pagato ed essendo in possesso di un contratto, se lei – che alla nascita è la madre di cui il neonato ha bisogno – vuole allevare la sua creatura non esiterà a usare ogni mezzo per entrarne in possesso, invece di riconoscere la relazione primaria tra madre e neonata basata sui nove mesi di gravidanza. Nemmeno il movimento antagonista, le giovani femministe e queer, capiscono questo fatto basilare: si tratta di una questione di classe e di sfruttamento del corpo delle donne ogniqualvolta la maternità per altri non sia volontaria e gratuita. Anche loro, soprattutto le giovani donne, esitano a prendere una posizione di elementare autodifesa come donne e nella lotta di classe. In questo quadro, in cui i campioni della maternità surrogata siamo chiamati ad essere tutti noi gay e lesbiche e trans che partecipiamo al movimento, impedendo ogni discussione intorno a questa scelta scellerata, è evidentemente necessaria la mia diffamazione. Ma per chiedere cosa? Per chiedere alle donne non di donare dei figli (cosa che peraltro possono già tentare) ma che le loro gravidanze diventino un lavoro, e che i bambini nascano come prodotti da separare dalle loro fattrici. E, se ciò non bastasse per qualificare questa richiesta come “dispotica”, ricordiamoci la pericolosità di un simile lavoro: nessuno è mai morto di paternità, ma di maternità sì, nonché di “donazione” di quegli ovociti estranei fecondando i quali si fa credere alla donna che rimane incinta, che ha una gravidanza e che ha partorito di non essere una madre (di nascita).

Infine: si fa un gran parlare di volontarietà: ma dove sta la volontarietà della neonata nel distacco dalla madre? Lei sola ha conosciuto per nove mesi, durante i quali i suoi sensi si sono sviluppati, di lei ha bisogno per il suo nutrimento ottimale e per essere rassicurata nel mondo nuovo in cui è stata gettata. L’obiettivo del contratto è recidere il legame non solo contro la volontà della/o neonata/o, ma perfino di sua madre.

La censura continua, e di soppiatto l’obiettivo politico di chi vuole comperare legalmente i bambini diventa l’obiettivo del movimento glbt, sotto la maschera dell’Ammore che fa una famiglia e tutto giustifica, come ben sanno le donne eterosessuali per cui Ammore significa lavoro domestico e di cura a favore degli uomini. Attenzione, però: il re è nudo, e non è incinto. Lo dico io (nemmeno per prima), e lo possiamo dire tutt*. Moltissime persone incontrate alle presentazioni finora fatte mi hanno ringraziata, sollevate per aver finalmente sentito quello che pensavano e non potevano esprimere temendo le accuse di omofobia: che la maternità surrogata è una compravendita di bambini.

I censori nel movimento lgbt, femminista, queer, pensano forse che se nessun* di noi dice che il contratto di surrogazione configura una compravendita di bambini, nessuno se ne accorgerà? Forse vi è sfuggito il Family day, 300.0000 persone in piazza contro gli “uteri in affitto”, e in realtà contro l’omosessualità. Ma noi siamo a favore degli uteri in affitto o no? Se non prendiamo una posizione etica contro il mercato di bambini, le conseguenze ricadranno – stanno già ricadendo – su tutt* noi. Infine: mettere le donne le une contro le altre, Arcilesbica contro di me, le donne di Famiglie Arcobaleno contro chi vuole discutere della compravendita di bambini, è il divide et impera del potere maschile. Fomentare l’ignoranza, impedire il confronto tra potenziali o attuali sue vittime, bloccare le verità scomode è una tattica del potere vecchia come il mondo.


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