IFE Italia

Quanti gradini abbiamo disceso?

di Anna Foggia
martedì 2 agosto 2016

Quanti gradini della scala della decenza e della rispettabilità abbiamo disceso primo di giungere a una bambola di gomma portata sul palco di un comizio politico? Sono certa che ognuno saprà mentalmente ritrovare i propri scalini. I miei emergono dalla memoria in ordine sparso.

Uno.

Quando all’incontro con l’assessore regionale di centro destra insieme ai rappresentanti istituzionali di centro sinistra il discorso doveva essere sull’emergenza sociale ma si è spostato subito sul bell’aspetto dell’unica donna presente all’incontro, in veste di assessora. Lei lo ha fatto notare, stizzita, e tutti insieme hanno riso, schernendola. Saltava ogni schieramento su questo argomento.

Due.

Quando due dirigenti (donne) hanno discusso tra loro per l’interpretazione di una norma di bilancio pubblico ma i vertici (uomini) presenti hanno commentato che era troppo stressante lavorare con le donne e bisognava evitarlo. E poi, inevitabile, “Dai, era una battuta, mica te la vuoi prendere?”.

Tre.

Quando i compagni di partito andavano ad attaccare i manifesti la sera e ammazzavano il tempo con battute a sfondo sessuale sulle compagne di sezione. Quando fu loro rimproverato si accanirono ancora di più… Col tacito (ma neanche tanto) benestare di qualche compagna anziana, ex militante femminista, perché quelli erano “bravi compagni” e non li si poteva riprendere per una roba del genere.

Quattro.

Quando un pezzo grosso ministeriale è venuto a fare ‘formazione’ al collegio docenti e tra una slides e l’altra ci infilava battute sugli interessi femminili – la cura delle unghie e cose del genere – e il collegio a quasi totalità femminile veniva piacevolmente accattivato dalla simpatia che queste battutine esprimevano.

Cinque.

Quando nell’ascensore un collega mi chiedeva perché mai fossi ancora a una riunione ad ora di cena mentre a casa avevo tre figli cui badare; lui ne aveva quattro, ma ricordarglielo fu come andare fuori argomento: che c’entrava?

Sei.

Quando la rappresentante di un movimento ecologista europeo fece una bellissima relazione densa di spunti a un convegno e all’intervento successivo un esponente istituzionale nazionale di spicco le fece i complimenti, ma per la sua mise originale. Sui contenuti nemmeno una parola. Tutti e tutte risero.

Sette.

Quando il dirigente sanitario illuminato e progressista mi spiegò perché cercava di reclutare medici (uomini) e non dottoresse, le quali avevano una serie di immaginabili “problemi” legati alla loro vita di donne e le sue collaboratrici presenti annuirono convintamente.

Otto.

Le barzellette sconce e sessiste ogni volta che il tavolo istituzionale si riuniva e l’unica donna oltre me alzava gli occhi al cielo con aria di benevolo scoramento….non per le porcate che uscivano da quelle bocche (altrove anche colte e gentili) ma perché io, dopo aver dichiarato invano la mia insofferenza, avevo cominciato ad uscire sbattendo la porta ogni volta che il copione si ripeteva.

Nove.

Quando al superpranzo familiare di Natale la parte progressista e quella conservatrice della famiglia per una volta concordarono e ammisero che, certo, i sempre più frequenti episodi di cronaca erano terribili, ma certe donne un po’ troppo disinibite nei costumi se la cercavano.

Dieci.

Quando il noto giornalista ha dato la sua disponibilità a presentare il suo libro inchiesta sul femminicidio sul nostro territorio ero emozionata, poi i compagni e le compagne mi dissero che andava benissimo la sua visibilità ma… gli si poteva chiedergli di parlare di argomenti più “impegnati”, tipo l’economia, l’ecologia?

Undici.

Quando in macchina andavamo al convegno con i colleghi (alternativi e di sinistra) e si parlava di una collega che aveva preso una cantonata al lavoro, l’alternativo di turno commentò che le dinamiche tra donne lui non le avrebbe mai capite; dopo tanti anni ancora mi sto chiedendo cosa c’entrasse il genere con la lettura di una tabella a doppia entrata.

Dodici.

Quando osservo che gli uomini che ho scelto di avere intorno nella mia vita privata e in quella pubblica perché condivido con loro la visione del mondo e il sistema di valori, non riescono ancora a fare muro ed azione contro il patriarcato, il sessismo e la violenza che sta mostruosamente e indecentemente pervadendo le nostre vite e i nostri futuri.

Mi fermo. Io sono una e la mia vita è piccola, ma già questi fotogrammi bastano a rappresentare una discesa agli inferi collettiva; se si moltiplicano per i grandi numeri delle esperienze di ognuna e di ognuno, danno conto del perché (...) quella bambola di gomma stava dove stava ad umiliarci tutte e tutti.

Davanti ai tanti episodi che vivo e osservo ogni giorno mi vengono in mente i cento passi che separano il bene dal male nel film dedicato a Peppino Impastato diretto da Marco Tullio Giordana. In quel film Lo Cascio/Peppino dice:“Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!”.

Quante volte l’ho rivisto, quante volte mi sono ripetuta queste parole.

Quindi ora basta. Ogni scala si può scendere e si può risalire, è solo un po’ più faticoso, ma si può fare. Inverti il senso di marcia e ad ogni azione rispondi con una reazione, ostinata e contraria, senza delegare, però, perché il tempo della delega è finito.


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