IFE Italia

On a case of pediatric euthanasia in Belgium/Su un caso di eutanasia pediatrica in Belgio

di Tommaso Bruni
mercoledì 21 settembre 2016

Pubblichiamo con il consenso dell’autore.

Il testo è in inglese ed in italiano. La traduzione è stata curata dall’autore stesso.

2016-09-21

Some days ago, the Belgian committee for the control of euthanasia informed the public of the first case of euthanasia on a minor in that country. The Belgian law of 28 February 2014 legalized the procedure. Here I’ll briefly examine the case.

First, almost nothing is known about the details of this case. We don’t know what condition the patient had, we don’t know how old he or she was. Second, Belgium is not the only country that allows euthanasia on minors, as Dutch law authorizes euthanasia in minors that are aged 12 or older. Third, we are talking about euthanasia, i.e. what in bioethics is usually termed as “active euthanasia.” This is not a case in which physicians suspend therapy and let nature take its course. It is not even a case of “assisted suicide” or “passive euthanasia” in which the patient administers (in most cases, orally) the lethal drug or drugs to himself or herself. By contrast, the procedure involves a physician intravenously injecting lethal drugs into the patient’s body. A protocol including sodium thiopental and pancuronium bromide is normally followed in these cases. It is very similar to the pharmacological protocol that is used to carry out the death penalty in the US. The main difference is that the US protocol for executions includes a third drug, potassium chloride, to insure cardiac arrest. It is this third drug that causes most problems in US executions.

Fourth, the Belgian law at hand is extremely strict, so that there has been only one case of euthanasia on a minor from spring 2016 to today in a country of 11 million inhabitants. In order for the pharmacological protocol to be carried out on a minor, some conditions must necessarily be satisfied: 1) the patient must be in “a hopeless medical situation that leads to death in a short time;” 2) the patient must experience “continuous, unbearable physical suffering that cannot be sedated and that is due to an incurable illness;” 3) the application must come from the patient, who must be mentally competent, and cannot be made by anyone else; 4) a medical team must examine and approve the application; 5) a psychologist or a pediatric psychiatrist that is independent from the medical team must examine the patient, verify his/her mental competence, and approve the application; 6) the legal representatives of the minor (normally the parents) must give their consent to the protocol.

There are two important objections to euthanasia in minors.

The most relevant objection has to do with a potential conflict of interest of the parents, who can be utterly exhausted due to the devastating experience of living through the serious illness of their son/daughter. Hence, the parents might want to see the end of it, no matter how. Nonetheless, this objection has some bite only if the parents’ consent is the main condition for the procedure to be carried out. Clearly, this is not the case in Belgian law, where parents alone cannot activate the procedure and the level of scrutiny from physicians and other professions is very high.

A second objection argues that active euthanasia is always morally wrong because “human life is sacred.” The objection argues that killing humans is always wrong. But killing in self-defense is not morally wrong, and killing in a just war is not morally wrong either, if one believes that there are such things as “just wars.” The “sacredness of human life” principle already wobbles in front of a cursory analysis. In addition, if the pain is unbearable, cannot be treated, and the patient is going to die very soon, not killing is tantamount to condemning the patients to hours or days of additional pain. This seems to be immoral on the basis of a widespread moral imperative: “Alleviate pain!” It is true that euthanasia takes some lifetime away from the patient, but it is the patient that is asking for that time to be taken from him/her. Moreover, that time has a specific quality: the quality of excruciating pain. It is not a good time, a time that the patient can use to her benefit, but a time that none of us would like to live.

Since the Belgian regulations are very strict and objections against active euthanasia do not apply to this case, my reaction to the Belgian news is to be sorry for a young human life that has been crushed by an implacable illness, against which modern medicine had little efficacy.

Versione italiana.

Qualche giorno fa la commissione belga per il controllo dell’eutanasia ha dato notizia del primo caso di eutanasia su minore in quel paese. La legge belga del 28 febbraio 2014 aveva legalizzato la pratica. Qui svolgerò una breve riflessione sulla questione.

In primo luogo, non si sa quasi nulla sui dettagli del caso. Non si sa di che cosa fosse malato il paziente, non si sa quanti anni avesse.

In secondo luogo, il Belgio non è il solo paese a consentire l’eutanasia sui minori, dato che la legge dei Paesi Bassi la autorizza su minori che abbiano un’età di 12 anni o superiore.

In terzo luogo, stiamo parlando di eutanasia, cioè di quella che in bioetica è di solito definita come “eutanasia attiva”. Non si interrompono le terapie e si lascia a fare alla natura. Non si è neppure in presenza di un suicidio assistito o di un aiuto alla morte in cui è il paziente a somministrarsi i farmaci (di solito per via orale). Al contrario, un medico attivamente inietta per via endovenosa nel corpo del paziente (in questo caso minore di 18 anni) farmaci atti a provocarne la morte. Di norma, si tratta di un protocollo a base di sodio tiopenthal e pancuronio che è molto simile a quello usato negli USA per la pena di morte (nel protocollo statunitense per le esecuzioni capitali si aggiunge cloruro di potassio in ultima istanza per essere certi dell’arresto cardiaco – è quest’ultima sostanza a creare i problemi peggiori).

In quarto luogo, la normativa belga in materia è estremamente rigida, tanto che, dal 2014 a oggi, vi è stato un solo caso di eutanasia su minore in un paese di 11 milioni di abitanti. Perché il protocollo farmacologico sia messo in atto, devono essere rispettate necessariamente le seguenti condizioni: 1) il paziente minore deve essere in una “situazione medica senza uscita che comporti la morte a breve termine”; 2) il paziente deve esperire “una sofferenza fisica costante e insopportabile, non sedabile, dovuta a una patologia incurabile”; 3) la domanda deve essere fatta dal paziente, che deve essere “capace di discernimento”, e non può essere fatta da nessun altro; 4) un’equipe medica deve esaminare la domanda e approvarla; 5) uno psicologo o uno psichiatra dell’età evolutiva indipendente dall’equipe medica deve esaminare il paziente, valutarne la capacità di discernimento e approvare la domanda; 6) i genitori devono dare il loro consenso a che il protocollo sia messo in atto.

Nel caso dell’eutanasia su minori ci sono due obiezioni importanti.

La più rilevante riguarda un potenziale conflitto di interesse dei genitori, che possono essere del tutto esausti per via della devastante esperienza della malattia grave di un proprio figlio e quindi potrebbero voler “chiudere la partita” in qualsivoglia modo. Tuttavia questa obiezione funziona solo quando il consenso dei genitori è l’unica condizione importante perché la procedura che conduce alla morte del minore sia attivata. Chiaramente questo non è il caso della legislazione belga, in cui i genitori da soli possono assai poco: il livello di scrutinio da parte delle professioni medica e psicologica sulla procedura è molto elevato.

Una seconda obiezione afferma che l’eutanasia attiva è sempre sbagliata perché “la vita umana è sacra”. L’idea è che uccidere umani è sempre sbagliato. Ma uccidere per autodifesa non è moralmente sbagliato, così come uccidere in una guerra giusta, posto che uno creda nell’esistenza di “guerre giuste”. Già a un’analisi superficiale la sacralità della vita umana regge poco come principio assoluto. Ma in particolare, in presenza di un livello di sofferenza non-sedabile come descritto in 2) e di una prognosi infausta nel giro di poco tempo, non uccidere significa condannare il paziente a ore o giorni di atroce dolore supplementare. Questo sembra essere immorale sulla base di un imperativo morale largamente condiviso: “Allevia il dolore!”. È vero che l’eutanasia sottrae al paziente tempo di vita, ma è lui stesso a chiedere di esserne privato. Inoltre quel tempo sottratto ha una qualità ben precisa: la qualità del dolore atroce. Non è un tempo buono, di cui il paziente si possa giovare, ma un tempo che nessuno di noi vorrebbe vivere.

Dato che la normativa belga è molto severa e che le obiezioni contro l’eutanasia attiva non si applicano a questo caso, la mia reazione alla notizia che viene dal Belgio è dispiacermi per una giovane vita umana che è stata spezzata da una malattia gravissima e implacabile, contro cui purtroppo poco hanno potuto i potenti mezzi della medicina odierna.


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