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Report Hays Gender Diversity 2017
venerdì 3 novembre 2017

L’Italia non sembra essere (ancora) un Paese per donne, almeno dal punto di vista del lavoro. Le professioniste italiane, infatti, ritengono di essere pagate meno rispetto ai colleghi uomini, di avere meno possibilità di carriera e di ricevere giudizi più severi.

A confermarlo è l’edizione 2017 dell’indagine Hays Gender Diversity, condotta su un campione di oltre 200 intervistati da Hays, società leader nel recruitment specializzato, per offrire una panoramica completa sulle differenze di genere nel mercato del lavoro in Italia.

“Anche se sono stati fatti diversi passi avanti rispetto agli anni passati, la parità di genere in Italia sembra essere ancora una chimera – afferma Sofia Cortesi, Finance Director di Hays – uomini e donne hanno spesso percezioni diametralmente opposte del mondo del lavoro nel nostro Paese e il fatto che, ancora oggi, le donne che ricoprono ruoli di leadership siano così poche fa riflettere. Le donne sono un asset che il nostro Paese deve riuscire a valorizzare: è auspicabile un cambio di direzione che porti le professioniste italiane ad avere le stesse reali opportunità di crescita e di carriera dei colleghi maschi”.

Dall’indagine Hays emerge chiaramente come uomini e donne nutrano le stesse ambizioni di carriera: l’87% del campione femminile e il 90% di quello maschile, infatti, aspira a raggiungere posizioni di leadership.

I numeri cambiano significativamente però, se si sondano aspettative e speranze: una donna su due (49%), non pensa di avere le stesse opportunità del sesso opposto, al contrario del 73% dei professionisti uomini che, invece, crede nelle pari possibilità di crescita, indipendentemente dal genere.

Le donne ai vertici aziendali? Ancora un’esigua minoranza! Come dichiara il 78% delle intervistate e il 91% degli intervistati, la persona con la più alta seniority aziendale è infatti di sesso maschile. Ma non è tutto. Il 73% delle donne (vs. 86% degli uomini) ha un uomo come riporto diretto.

Differenze che sembrano assottigliarsi solo quando si analizzano i team di lavoro: il 26% di entrambi i generi, infatti, dichiara di lavorare in team dove regna equilibrio fra i due sessi. Le differenze nella percezione del mercato continuano se si prendono in considerazione gli aspetti retributivi: più della metà delle donne (52%) ritiene che i colleghi maschi di pari livello percepiscano retribuzioni più importanti; un’opinione condivisa solo dal 37% degli uomini.

Varia tra uomini e donne anche la percezione di come viene valutato il lavoro: per circa il 40% del campione femminile le performance lavorative delle donne vengono giudicate con maggiore severità rispetto a quelle dei colleghi di sesso opposto, mentre per 9 intervistati su 10 (90%) il lavoro di un uomo e quello di una donna vengono valutati in maniera imparziale. Inoltre il 31% delle intervistate ritiene che spesso il merito dei buoni risultati ottenuti dalle donne sia attribuito al lavoro di squadra, negando il merito personale.

Quando si entra nell’ambito dei giudizi di merito sul proprio capo, uomini e donne sembrano finalmente trovare un punto d’accordo. Nel dettaglio il 34% del campione femminile (vs. il 35% di quello maschile) ritiene il proprio superiore una figura positiva, capace di portare a casa ottimi risultati. E ancora secondo uomini (13%) e donne (12%) il capo è un professionista abile nel pianificare il lavoro. Decisamente più contenute, ma sempre allineate, le recensioni meno lusinghiere: il 9% delle donne e il 10% degli uomini ritiene il proprio responsabile un incompetente, mentre professioniste (l’8%) e lavoratori (9%) accusano chi è al comando di essere eccessivamente accentratore.

Deboli anche gli sforzi che le aziende mettono in campo per supportare la diversità di genere e favorire l’inserimento sul luogo di lavoro. Solo il 29% delle intervistate, per esempio, lavora in un’azienda dove ci sono strumenti finalizzati a conciliare lavoro e famiglia. Tra i più apprezzati? L’orario flessibile (55%), la possibilità di lavorare da casa (15%), l’asilo aziendale (9%), oltre al congedo di paternità (6%).


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