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La politica non è il personale

Liza Featherstone
lunedì 28 agosto 2023

"Lo dicono i movimenti femministi: il personale è politico. Dunque, i problemi delle donne devono essere affrontati collettivamente. Fuori da quel contesto, questo slogan rischia di assecondare la deriva verso l’individualismo"

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Fonte: https://jacobinitalia.it/la-politic...

Utilizzi ancora «persona di colore» invece di Bipoc [Black, Indigenous, & People of Color, Ndt]? Attento al tuo linguaggio, è violento. La peggiore cosa che puoi fare al mondo è avere un bambino. In realtà, è addirittura peggio servire in tavola un tacchino, specialmente se posti la foto sui social, che è a sua volta più grave che mangiare il tacchino stesso dato che stai promuovendo l’idea che consumare carne sia alla moda, nonostante gli effetti disastrosi sull’ambiente.

Giudicare ed essere giudicati è estenuante. Forse guardi lo sport e i programmi di intrattenimento come una scappatoia dalla sfera politica. Rischi di sbagliare ancora. Devi sostenere esclusivamente squadre e celebrità con le corrette opinioni politiche e che compiono azioni individuali inattaccabili. Tra questi di certo non troviamo Kyrie Irving, per esempio, la star dell’Nba che ha fatto notizia per aver rifiutato il vaccino anti-covid, o Tom Brady, il campione di football amico di Donald Trump.

Probabilmente stai seguendo il messaggio secondo cui – non importa quanto possa sembrare personale o irrilevante – tutto ciò che fai e dici è politico. Questo tratto della politica odierna è opprimente per la maggior parte di noi, che cerchiamo semplicemente di superare la giornata. Ma, anche se nessuno è perfetto, probabilmente non saremo noi il bersaglio dell’ira collettiva.

Colpire noi stessi e i nostri simili per errori individuali è un diversivo allo sguardo verso le persone che causano realmente i problemi del mondo: la classe dirigente.

La cosa ancora peggiore è che questa ossessione verso le implicazioni politiche di ogni azione individuale non ci fa vedere il nostro potenziale collettivo.

Lo studio di un politologo del Wellesley College ha rilevato che gli americani bianchi più sensibili e preoccupati per l’ingiustizia e le disuguaglianze razziali classificano le risposte «ascoltare le persone di colore» ed «educare me stesso sulla questione del razzismo» come più importanti del «portare problemi di razzismo all’attenzione dei funzionari eletti» o dei votanti.

È abbastanza evidente che in questi tempi stiamo prendendo la politica troppo sul personale.

Origini radicali L’idea per cui «il personale è politico» è stata un’intuizione brillante. Durante la seconda ondata del movimento femminista, alla fine degli anni Sessanta e inizio Settanta, le donne si riunivano in gruppi di autocoscienza per parlare delle loro vite. Le discussioni sul sesso, sul lavoro domestico e di cura o sulle gravidanze indesiderate hanno aiutato le donne a comprendere la loro collettiva mancanza di potere, portandole ad agire e a organizzarsi per ottenere cambiamenti sociali.

La fondatrice del movimento femminista radicale noto con il nome Redstockings, Kathie Sarachild, ha scritto che questa iniziale presa di coscienza ci ha portato a «compiere azioni politiche su aspetti della nostra vita di donne che non avremmo mai pensato potessero essere affrontati politicamente, ma che pensavamo di dover gestire al meglio da sole». Molti degli avanzamenti del femminismo della seconda ondata, compresi il diritto all’aborto, l’accesso al controllo delle nascite e l’integrazione delle donne in alcuni ambiti professionali, sono il frutto di tale presa di coscienza. Processo che ha condotto alla stesura di alcuni dei classici del femminismo, tra cui The Dialectic of Sex di Shulamith Firestone e The Myth of the Vaginal Orgasm di Anne Koedt, entrambi pubblicati nel 1970.

L’intuizione che il personale fosse politico caratterizzò l’intero movimento femminista: dal saggio di Jane O’Reilly sulla rivista femminista Ms., «Click! The Housewife’s Moment of Truth» [«Click! Il momento di verità della casalinga», Ndt], per protestare ed esigere l’emendamento sulla parità dei diritti, all’organizzazione e alla presa di parola delle donne contro la cultura dello stupro.

Nel contesto del femminismo degli anni Settanta, «il personale è politico» significava che i problemi che le donne credevano di vivere in solitudine – una retribuzione disuguale, la mancanza di accesso a settori dominati dagli uomini (dalla medicina all’edilizia) o episodi di violenza domestica – non erano fallimenti personali ma conseguenze di un sistema patriarcale e dunque problemi che richiedevano un’azione collettiva.

Chiaramente, dato l’ethos individualista della società dei consumi, il concetto iniziò a evolversi rapidamente. Lo schema e l’intuizione dei gruppi di autocoscienza femministi sono stati rapidamente ripresi dalle comunità hippie nei loro «gruppi di incontro», poiché le classi medie cercavano comprensibilmente di liberarsi dall’alienazione della società borghese. Ma invece di lavorare per costruire nuovi assetti economici e sociali, hanno cercato di liberarsi come individui. Questa nuova concezione della pratica dell’autocoscienza è stata rapidamente assorbita anche da Madison Avenue [famosa via di Manhattan in cui nei primi anni Venti nacque l’industria pubblicitaria, Ndt], che ha sviluppato gruppi di discussione per ottenere informazioni sulle donne, non per favorire la loro organizzazione, ovviamente, ma per vendere loro prodotti.

La palude del moralismo Oggi, l’idea che «il personale è politico» si è sviluppata ulteriormente. Invece di credere che le nostre esperienze individuali condivise con gli altri possano costituire la base per l’azione collettiva, crediamo che «la politica è il personale», una perversione neoliberista di un’idea che è stata progettata per essere collettiva.

«Il personale è politico» ha aiutato le donne a capire che un fidanzato violento o un capo che fa mobbing non era né colpa loro né un problema che dovevano affrontare da sole, ma piuttosto un problema politico con soluzioni politiche. Ma l’idea che «la politica è il personale» fa il contrario. Prende il nostro impulso politico, il nostro desiderio di analizzare il mondo in termini politici e cambiarlo, e lo rivolge verso il privato.

In un mondo in cui «la politica è il personale», diventa importante esibire la propria integrità politica. Mettere nel proprio giardino un cartello con scritto «In questa casa, crediamo». Iniziare una riunione del consiglio aziendale con un ringraziamento alla terra. Sembrano cose innocue, ma il corollario di tutta questa integrità individuale è andare a caccia dei cattivi. Quando «la politica è il personale», dobbiamo lavorare per identificare quegli individui che incarnano tutto ciò che è politicamente scorretto – magari qualcuno che ha fatto un «brutto tweet» – e punirlo come tale.

Ultimamente lo spettacolo dell’accanimento è quasi quotidiano negli ambienti di sinistra, nonostante sia consapevolezza diffusa che sia poco utile per far avanzare la nostra battaglia politica. Di recente un podcaster di sinistra ha fatto un tweet dicendo di trovare il comico Dave Chappelle [al centro di polemiche per alcuni suoi spettacoli comici considerati omo e transfobici, Ndt]… divertente. La reazione è stata veloce e furiosa; da allora ha lasciato Twitter dopo aver ricevuto minacce di violenza su sua moglie e i suoi figli. Animato dalla missione di trovare le persone cattive e denunciarle, Twitter ha portato persone a perdere il lavoro, a rompere amicizie e a una serie di disagi.

Ma nella cancel culture è tutto giustificato perché, come ha osservato Natalie Wynn nel suo programma YouTube ContraPoints, non è solo l’azione o l’offesa che è negativa e deve essere cancellata, ma è la persona stessa. Mentre il cristianesimo ci spinge ad «amare il peccatore, ma odiare il peccato», i seguaci de «la politica è il personale» assumono una visione più protestante: sei predestinato a essere buono o cattivo e le tue azioni dimostrano semplicemente se fai o meno parte degli eletti.

Sui social media, gli eletti godono di una ricompensa – sotto forma di Like – per la condanna dei cattivi. E i cattivi vengono puniti attraverso la citazione di loro tweet con osservazioni che mostrano quanto sono cattivi.

Ogni sistema di credenze ha i suoi rituali, e questi sono quelli che alimentano l’idea per cui «la politica è il personale».

La deriva moralista di questo tipo di politica è profondamente anti-collettiva e anti-maggioritaria, dal momento che la bontà è totalmente individuale. Questa bontà si potrebbe anche considerare come una qualità utile alla competizione, un «bene posizionale» – termine che, nel gergo economico, si riferisce a una cosa che ha valore perché è rara, come suggerisce il titolo del libro di Catherine Liu sulla politica della classe professionale-manageriale, Virtue Hoarders. Come la carta igienica in pandemia, la bontà individuale in questo clima è precaria e difficile da trovare.

Il personale può ancora essere politico È incoraggiante, tuttavia, che il vecchio spirito di coscienza collettiva secondo cui «il personale è politico» sia ancora vivo.

Le campagne elettorali socialiste di massa degli ultimi anni, per esempio, hanno aiutato molti a comprendere – e ad affrontare – i fattori strutturali che si celano dietro i propri problemi individuali. Quando la deputata Alexandria Ocasio-Cortez era, citando le sue parole, «una cameriera molestata sessualmente» che non guadagnava abbastanza per vivere e non aveva assistenza sanitaria, credeva davvero di non meritare uno stipendio maggiore o cure mediche gratuite. Aveva interiorizzato l’ideologia del neoliberismo per cui se sei povero è perché hai fallito come individuo. Semplicemente non ce l’hai fatta.

Come ha raccontato Alexandria Ocasio-Cortez, la campagna elettorale per Bernie Sanders, che chiedeva un mondo diverso, le ha fatto capire che era un essere umano che meritava una vita confortevole e che le difficoltà che ha dovuto affrontare non erano dovute ai propri fallimenti personali ma a quelli del sistema che ora lotta per trasformare.

I migliori leader politici del movimento socialista in questo momento sono quelli che, come Bernie Sanders o Alexandria Ocasio-Cortez, aiutano le persone a connettere le loro esperienze personali a un movimento politico e a una soluzione politica.

L’organizzazione degli inquilini parla con gli affittuari dei problemi che vivono con i loro proprietari e li aiuta a superare la sensazione di impotenza e rassegnazione mostrando loro che tutti gli altri inquilini nell’edificio hanno gli stessi problemi. È così che si costruisce lo sciopero degli affitti – e qualsiasi altra azione collettiva – ed è così che le persone combattono la classe dominante e vincono. È l’unico modo.

Quando i promotori del disegno di legge Medicare for All parlano con le persone dei loro problemi di salute individuali, queste cominciano a rendersi conto che l’assistenza sanitaria a scopo di lucro sta rovinando le loro vite.

Il personale è ancora politico, e l’intuizione ci fa avanzare e ci politicizza. Ma ciò non significa che la tua preferenza per un film Marvel rispetto a un altro sia politica, né che boicottare singole persone significhi compiere un’azione politica. È solo in quanto parte di un movimento che produciamo un qualsiasi cambiamento politico.

Come mi ha detto una volta l’attivista per il clima, Bill McKibben: «Quando le persone chiedono: Cosa posso fare come individuo per salvare il pianeta? Io rispondo sempre: La cosa migliore che puoi fare è essere meno individuo».


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